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“The Host”: gli alieni secondo Stephenie Meyer

Dopo la saga di Twilight torna al cinema un romanzo scritto dalla madre di “Twilight”, Stephenie Meyer.
Stiamo parlando di “The Host”, l’adattamento cinematografico del libro scritto quasi in contemporanea con la saga dei vampiri Cullen, ma notevolmente distante per trama e ambientazione, a partire dai suoi protagonisti.
Dimenticate infatti canini, glitter e lupi mannari! I protagonisti di questa nuova (e singola) avventura sono gli ultimi umani rimasti in vita e una razza aliena molto…invasiva.

 “The Host” è uno sci-fi pieno di buoni sentimenti in cui gli esseri umani sono quasi totalmente estinti dal pianeta Terra a causa della colonizzazione di alieni che si impossessano dei corpi umani insinuandosi all’interno di essi. In questo contesto la protagonista Melanie (Saoirse Ronan) lotta per sopravvivere e si oppone all’egemonia aliena, ma durante una rivolta viene catturata, e all’interno del suo corpo viene innestata l’aliena Wanda.
Il forte spirito di volontà e di voglia di vivere di Melanie permetterà all’extraterrestre di capire il valore degli esseri umani, e di comprendere che la missione aliena non è esattamente una missione di pace come viene interpretata dagli alieni stessi.
In questo viaggio alla scoperta dell’umanità Wanda conosce l’amore, sentimento da cui era estranea, e a causa del quale scaturirà un triangolo sentimentale molto particolare con i due protagonisti maschili, interpretati da Max Irons e Jake Abel.

“The Host” ha tutte le carte in regola per essere un buon film. Ben realizzato e con buone interpretazioni dei protagonisti, fotografia e ambientazioni ben curate, visual effects degni di nota. C’è però qualcosa di stonato nella sua melodia, tanto da renderlo un film avvincente solo a tratti, con un buonismo di fondo imperante che poco si addice a scontri alieni e lotta per la sopravvivenza umana.

Nelle sale dal 28 marzo distribuito da Eagle Pictures.

ALCUNI COMMENTI DELLA CRITICA:

Maurizio Porro, Corriere della Sera
D’accordo che Niccol ha scrittoTruman show, ma la rendita finirà se non riacquista ritmo e humour. Che mancano in questi 125′ di un futuro in cui alieni, le Anime, entrano nel corpo umano. Ispirato al libro della Meyer, la fantasia s’arena sullo scoglio spirituale rovistando senza estro tra carte e colpe, insistendo su un unico registro.

Maurizio Acerbi, il Giornale
Questo è un buon film di fantascienza che può vivere tranquillamente di luce propria, facendo anzi impallidire (è il caso di dirlo) la saga con i “parenti vampiri” (l’autrice è la medesima) (…) Un thriller futuribile che mette tensione, ben interpretato anche se i dialoghi non sono proprio il massimo della fantasia.

Marco Minniti, Movieplayer.it
Andrew Niccol tenta di dare personalità e spessore alla prima storia scritta da Stephenie Meyer dopo il ciclo di Twilight: il suo tocco, però, resta praticamente sepolto sotto l’impianto narrativo costruito dalla scrittrice.

Mauro Donzelli, ComingSoon.it
The Host si perde per strada, fra banalizzazioni e qualche trovata discutibile, come le voci della protagonista che si trova con due anime in un corpo solo.
Da notare che, così come nella saga di Twilight, la mormona Meyer non manca di inserire nella storia riferimenti religiosi, insistendo sulla dicotomia luce e buio, con l’attrazione sessuale sempre sublimata e casta e la tendenza a nobilitare la morte come atto di sacrificio salvifico.

Mattia Pasquini, Film.it
L’incontro dei due non sembra un matrimonio dei meglio assortiti, in realtà. Un conflitto irrisolto traspare, infatti, dal film e dalla sua storia produttiva. Già il fatto che per qualche mese del 2011 il timone sia passato alla regista televisiva – e dell’indimenticabile Tata Matilda e il Grande Botto – Susanna White potrebbe essere indicativo, se non fosse che è il tono stesso e lo svolgersi della storia che oscilla senza troppa decisione tra la ‘epica storia d’amore’ del lancio e l’ambientazione futuristica tanto cara al regista neozelandese. E non aiuta l’assolvere alla necessità di ampliare il pubblico potenziale rendendogli possibile l’empatizzare anche con il ‘cattivo’. Perché rendere umano, anche solo nelle sue debolezze, l’alieno più irregimentato (vedi il Mr. Smith di Matrix, tanto per citare uno dei più noti) o più asettico come in questo caso? La dinamica è già vista, la sorpresa manca, la coerenza cade.

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