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Oblivion: uno sci-fi che ricorda Wall-E

Tom Cruise ritorna nel mondo sci-fi diretto da Joseph Kosinski in un action thriller che omaggia la filmografia fantascientifica

È il 2077 e Jack Harper e Vika sono gli unici due umani rimasti sul pianeta Terra. Il loro compito è portare a termine la missione di estrarre le ultime risorse vitali e trasferirsi poi su Titanio, insieme al resto della popolazione terrestre rimasta in vita dopo una feroce guerra contro gli alieni cominciata nel 2017.

Tom Cruise e il resto del cast (composto da Olga Kurylenko, Morgan Freeman, Andrea Riseborough e Nikolaj Coster-Waldau) convincono con le loro interpretazioni. Soprattutto Mr. Cruise, che cerca di migliorare la sua performance attoriale e non renderla simile a quella de “La Guerra dei Mondi”, altro sci-fi di cui fu protagonista qualche anno fa e con cui è facile fare un paragone.

In “Oblivion” convincono due cose. Una è sicuramente la colonna sonora (è proprio il caso di dirlo) “spaziale”. Gli M83 (già adusi al prestare i loro servigi, e le loro canzoni, per grandi soundtrack cinematografiche) hanno realizzato una soundtrack ad hoc per il film, che miscela con criterio gli elementi thriller e soft della pellicola di Joseph Kosinski.
Il secondo elemento convincente è sicuramente costituito dai visual effects, un tripudio della tecnologia moderna, rendendo realistico un contesto post apocalittico e futuristico. I droni, e tutte le apparecchiature tecnologiche (compresi i velivoli di trasporto) grazie all’utilizzo della CGI sembrano estremamente reali, tanto da far venire voglia a fine spettacolo di comprare almeno un paio di quei gingilli tecnologici.

“Oblivion” vive di continue citazioni a film capisaldi del settore fantascientifico, come “2001: Odissea nello spazio”, “The Matrix”, “Independence Day”. Dei veri e propri omaggi, non copiature, che rendono il film ancora più piacevole.

Vivamente consigliato a chi ha voglia di “rifarsi gli occhi”, e non solo per la bellezza dei protagonisti, ma soprattutto per la visione in stile “Wall-E” e post apocalittica che Kosinski ha voluto dare al film.

 “Oblivion” esce nelle sale italiane l’11 aprile 2013, distribuito da Universal Pictures.

ALCUNI COMMENTI DELLA CRITICA:

Paolo Mereghetti, Corriere della sera
(…) Oblivion assomiglia molto a un concentrato di tutte le possibili paure e suggestioni sul nostro apocalittico futuro, affastellate senza un vero «gusto» delle proporzioni e dell’insieme (…) Oblivion di Joseph Kosinski squinterna allo spettatore un repertorio fin sovrabbondante di idee, allusioni e citazioni (o forse di «plagi»…).

Alessandra Levantesi Kezich, La Stampa
Joseph Kosinski, il regista di Tron: Legacy, aveva scritto questa storia anni fa, ma solo quando Tom Cruise si è innamorato del progetto, il film è decollato. Attore preciso ed efficace, Cruise ha fatto scrivere la sceneggiatura a misura del suo talento di atleta e pilota, affrontando al solito in prima persona spericolate scene di volo, acrobatiche corse in motocicletta nei immensi, desertici paesaggi islandesi di cui il direttore di fotografia Claudio Miranda (La vita di Pi) ha saputo mettere a bene frutto la cristallina luminosità; e dove si ergono i resti di quel che fu l’America – una parete di uno stadio di baseball, l’obelisco di Washington.

Fabio Ferzetti, Il Messaggero
Oblivion non farà data nella fantascienza, si può sempre apprezzare la cura smagliante della realizzazione. Dalla bravura degli attori all’inventiva dispiegata nel design di scenografie e tecnologie. In testa i veri “cattivi” del film, quegli inaffidabili e terrificanti droni assassini (argomento attualissimo negli Usa, e non solo). Senza dimenticare la strepitosa Melissa Leo, che dall’inizio alla fine appare solo su un monitor in bianco e nero ma ruba la scena a tutti. Compreso Cruise.

Dario Zonta, l’Unità
Se anche la fantascienza non ha più immaginazione, allora siamo messi proprio male! Nel suo accedere molesto a tutto quello che è stato immaginato in materia d’apocalisse, Oblivion è il manifesto involontario di questa desertificazione, ultima e definitiva tappa dell’involuzione del post-moderno. (…) Oblivion ha prosciugato qualsiasi fonte legata alla tradizione letteraria e cinematografica della “fantascienza della fine”, lasciando lacerti spezzettati che sarà difficile ricomporre un “domani”, quando avremo bisogno di immaginare un’altra fine, sempre che si superi questa.

Maurizio Acerbi, il Giornale
Che guazzabuglio questo blockbuster fantascientifico (…) Trama da mal di testa, con colpi di scena spesso inspiegabili: Roba da patiti del genere, insomma. Impressionante la bella resa grafica, soprattutto in formato IMAX.

Justin Chang, Variety
Moderatamente intelligente e distopico con un impulso umano gratificante, nonostante alcuni sviluppi narrativi discutibili lungo la strada.

Federico Pontiggia, Cinematografo.it
A funzionare è solo il Tom centauro, metà uomo e metà macchina: a bordo della sua navicella fa pensare a Top Gun, e tocca accontentarsi.
Tutto il resto (RIP Califano) è noia, affidata alle incapaci mani di Kosinski che dopo TRON: Legacy spazza via i residui dubbi: davvero non ci sa fare. Si potrebbe, eppure si rischia di svelare troppo (ma c’è invero qualcosa da svelare?), parlare di clonazione e slittamento dal principio d’identità al principio di congruenza della fantascienza ultima scorsa, ovvero quella post-clonazione della pecora Dolly. Scriveva Dick, ma gli androidi sognano pecore elettriche? Oggi la risposta è cambiata, eppure, Oblivion non (ce) la ricorda.

Gabriele Niola, MYmovies.it
Come la miglior fantascienza Oblivion sfrutta un contesto avventuroso per affrontare la dialettica tra speranze e timori per quelle evoluzioni dell’uomo e del pianeta che è possibile intravedere oggi, e lo fa attraverso il rapporto che egli intrattiene con la tecnologia e le sue possibilità. La visione cinematografica di Kosinski rimane sbilanciata sull’audiovisivo più che sul narrativo, sempre pronta a sacrificare la coerenza e l’inattaccabilità della sceneggiatura per una trovata visiva in più, purtroppo però la “normalizzazione” di questo secondo film porta con sè anche un ribaltamento del pensiero fondante del precedente, un ritorno alla tradizione del genere, ovvero il racconto della lotta per la riconquista della supremazia dello spirito sulla tecnologia. Non viene così portato avanti quel discorso molto più moderno e attuale di riscoperta dell’umanesimo proprio dentro il tecnologico e non in sua opposizione che poneva Tron: Legacy all’avanguardia nel genere.

Mattia Pasquini, Film.it
Blade Runner, Matrix, La fuga di Logan, Io sono leggenda, Star Trek, Independence Day e persino un tocco di Bond: c’è di tutto (anche a livello tematico) in questa comunque gradevole sintesi fantascientifica moderna. E c’è Tom Cruise, sempre molto a suo agio in questi ruoli carismatici e salvifici, anche se età ed esperienza iniziano a renderlo ancora più credibile nei ruoli più tormentati e conflittuali.
Speriamo ne prenda coscienza e limiti al minimo le sue Mission: Impossible, che richiedono una cura dell’inquadratura sempre maggiore e approfittano volentieri – quando possibile, come in questo caso (si veda la ‘chicca’ del corpo a corpo nella Zona Radiattiva) – di un reparto digitale particolarmente abile.

Alessia Starace, Movieplayer.it
Ancora una volta, Tom Cruise torna a dimostrare ciò che lo rende insostituibile, quella capacità di bucare lo schermo con lo sguardo ardente, vitale e per sempre giovane dell’eroe puro. Un eroe a cui tutto è possibile.

Federico Gironi, ComingSoon.it
Dal Pianeta delle scimmie fino a Moon, passando per Matrix, Alien, Star Trek, Mad Max e chi più ne ha più ne metta, Oblivion riassume e semplifica tutto, non facendosi mancare nemmeno una spolverata di riferimenti tematici e iconografici al western che, a tratti, sembrano voler trasformare Tom Cruise in un John Wayne di fordiana memoria. Perché nel personaggio del protagonista, un nuovo Jack dopo il Reacher del film omonimo, vive (o vorrebbe vivere) un eroismo crepuscolare che fa rima con la nostalgia per la terra di una volta tutta volumi polverosi, vecchi vinili e casette di legno in riva al lago, come un Nathan Never qualsiasi con l’aggiunta di camicie di flanella e berretti da baseball.
Come che sia, essere derivativi oggi non è il peggiore dei crimini possibili. Peccato che allora Kosinski, invece che abbracciare il pop con smaliziata spensieratezza, azzeri strizzate d’occhio e umorismo e spinga a tavoletta sul pedale di una solennità seriosa e un po’ pedante, rispecchiata e riecheggiata dall’interpretazione piena di sé dell’attore protagonista e da una colonna sonora invadente che mescola orchestrazioni alla John Williams a momenti synth in stile Moroder. E allora si finisce col far fatica a prendere sul serio Kosinski e il suo film, e a sorridere con disincanto dei momenti in cui il regista vorrebbe sorprendere o commuovere. Il che in fondo è forse anche un bene. La sorpresa vera, incidentale, è quella di un’Andrea Riseborough che vince sulla collega Olga Kurylenko con un sex appeal algido e trattenuto che non teme confronti dalla la fissità stupita e stolida della rivale.

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