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Sorrentino e la decadente “Grande Bellezza” di Roma, tra sacro e profano

“La Dolce Vita” – “La grande bellezza” ossia come eravamo, come siamo. Dovendo obbligatoriamente citare il legame tra i due film, l’unico modo in cui farlo, oltre ai palesi riferimenti utilizzati nel film di Sorrentino, è quello di tracciare una sequenzialità temporale con in mezzo 53 anni di storia.
Unico film italiano in concorso al 66° Festival di Cannes, “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino ha diviso la critica che in più di qualche caso non è stata benevola a causa dell’ossessivo paragone con i capolavori di Fellini. A difesa del regista napoletano, che firma un film malinconico, bello ma imperfetto e certamente inferiore ai precedenti “Le conseguenze dell’amore” e “Il Divo” (Premio della Giuria a Cannes nel 2008) bisogna dire che Sorrentino racconta con il suo solito innegabile stile un certo tipo di attuale società romana: vacua, indolente, disfatta e deprimente, nonostante lusso e potere, e prepotentemente concentrata sull’affermazione individualistica.

In un cast magnifico, attorno al protagonista, interpretato ancora una volta dall’attore feticcio di Sorrentino, Toni Servillo, Carlo Verdone e Sabrina Ferilli e un insieme di variegati personaggi a cui danno volto, tra gli altri, Roberto Herlitzka, Carlo Buccirosso, Iaia Forte, Pamela Villoresi, Giorgio Pasotti, Massimo Popolizio, Galatea Ranzi, Isabella Ferrari, Lillo, Anita Kravos e Luca Marinelli.
Il film è un divertente e amaro caleidoscopio di personaggi decadenti, kitsch, squallidi, volgari e freak, tra cui si muove Jep Gambardella, 65enne scrittore e giornalista, disincantato e cinico, imprigionato in un’impasse creativa. E’ proprio da questo cinismo che vengono fuori le battute più amaramente divertenti del film, quelle in cui si afferma con ferocia ciò che di solito si nasconde sotto il “chiacchiericcio e il rumore”, “lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile”. Questi miserabili sono ricchi annoiati, nobili decaduti, cafoni arricchiti, pseudo intellettuali, snob e ipocriti che vagano con inerzia da un salotto all’altro, da una festa all’altra, fagocitati dal proprio io, insensibili a ciò che gli circonda e rinchiusi nel loro mondo fittizio e vacuo come gli interni delle lussuose case che abitano: sterili e spoglie. E’ infatti nel personaggio interpretato da una perfetta Sabrina Ferilli, la spogliarellista Ramona, che Jep trova l’autenticità e quindi se ne innamora. Lei, insieme all’editrice di Jep e l’amico Romano (Verdone), sono i personaggi più puri del film, quelli a cui il protagonista si sente davvero legato.

Se la prima parte del film funziona in maniera perfetta, con dialoghi brillanti che assicurano risate in sala, a difettare sono i salti nel passato giovanilistico, l’eccessivo compiacimento con cui si indugia inutilmente su alcuni paesaggi e la parte finale in cui prende il sopravvento la parte religiosa, dove il meccanismo a tratti s’inceppa. Con l’arrivo della “santa” e il Cardinale che dispensa ricette culinarie e mai spiritualità, Sorrentino mette alla berlina le gerarchie religiose risucchiandole in questo vortice di decadenza da cui solo la visione della grande bellezza può salvare. Il punto è che abituandosi alla bellezza a volte si finisce per non vederla più.
Il contrasto tra sacro e profano è presente sin dalle prime scene, quando si passa dalla luce al buio, dalla maestosa quiete dei monumenti alla caciara di una festa cafonal, da un overture spirituale ad un remix da discoteca.

Il dichiarato omaggio a Fellini non si riferisce solo ad “8 e ½” e “La Dolce Vita”,  spesso citati come spunti, ma anche a “Roma” di cui ci sono richiami lampanti. Eppure Sorrentino riesce a trovare una sua chiave raccontando quel nulla che attanaglia lui e suoi personaggi, ma con l’arte e la maestria che lo caratterizzano. Disegna una molteplicità di personaggi infelici, grotteschi e tristemente curiosi a cui non  va a fondo perché è la vacuità ad interessarlo.
“La grande bellezza” è un ampio e riuscito affresco sulle contraddizioni della società, sulla noia e sulla dissipazione. Gambardella spreca il suo talento, Roma (l’Italia) la sua bellezza, persi come sono in un folle  ed inconcludente turbinio.

Scritto da Sorrentino assieme al sodale Umberto Contarello, “La grande bellezza” è nelle sale cinematografiche italiane dal 21 maggio,  distribuito da Medusa Film in 420 copie.

La Grande Bellezza - Trailer Ufficiale

ALCUNI COMMENTI DELLA CRITICA:

Jay Weissber, Variety
Una intensa e spesso sorprendente festa cinematografica che onora Roma in tutto il suo splendore e superficialità.

Peter Bradshaw, The Guardian
La grande bellezza, come la grande tristezza, può significare amore, sesso, arte o morte, ma soprattutto significa Roma, e il film vuole annegare nell’insondabile profondità della storia e della mondanità romana.

Deborah Young, Hollywood Reporter
Fortunatamente il regista Paolo Sorrentino sa fare di meglio che imitare il gigantesco Fellini e “La grande bellezza” è molto più di un inchino riverente, ripartendo da dove “La dolce vita” ci ha lasciati 53 anni fa.

Lee Marshall, Screen International
Certamente questa miscela di satira sociale e di malinconia esistenziale, questa ricerca della poesia anche ridicolizzando la poesia stessa è stato già fatto da Fellini. Ma La grande bellezza rimane una straordinaria esperienza cinematografica.

Alberto Pezzotta, Corriere della Sera
“La dolce vita” oggi, con un po’ della “Terrazza” e di “8 1/2”. Ma non è citazionismo postmoderno, è il tentativo di parlare del vuoto di oggi e della nostalgia di un senso. Non tutto funziona, a volte c’è troppo o troppo poco, ma c’è desiderio di stupire e far rispecchiare, coinvolgere e uscire dagli schemi. Comunque da vedere.

Dario Zonta, MYmovies.it
La grande bellezza di Sorrentino è invece abissale, freddissima, distanziata, un ologramma sullo sfondo. A favorire questo distanziamento c’è anche l’approccio volutamente anti-narrativo, già sperimentato in This Must Be the Place, ma qui ancora più evidente. Citando Celine e il suo Viaggio al termine della notte, Sorrentino sperimenta una narrazione errante, fatta di continue effrazioni, smottamenti, deliberati scivolamenti da un piano all’altro, da una situazione all’altra, lasciando tracce, abbozzi, improvvisi vagheggiamenti.

Federico Gironi, ComingSoon.it
Forse l’opera più ambiziosa di Sorrentino fino ad oggi, La grande bellezza è un film che vive delle stesse contraddizioni che racconta, di eccessi barocchi e intimità commoventi, momenti di un surrealismo concretissimo come di puro e cristallino godimento estetico essenziale, di una crepuscolarità costante e ininterrotta perfino dalla luce del giorno e momenti di straordinaria lucidità su sé stessi e sul mondo.
Un film opulento per ragionata necessità, ma nel quale il regista trova perfino, niente affatto paradossalmente, lo spazio per calmierare la scalmatezza della sua vorticosa macchina da presa.

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