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RB Casting dà il Benvenuto a Fabio Troiano

Intervista a Fabio Troiano

www.rbcasting.com/site/fabiotroiano.rb

L’avventura al microfono di “The Voice” e il primo provino con Ronconi. Il capitano Ghirelli dei RIS e la magia con Ferrario. E poi le porte in faccia, i passi avanti, la meritocrazia. L’attore torinese dal sangue partenopeo traccia l’escursus della sua carriera-vita e spiega la “risata malinconica” che sempre l’accompagna. Con un sogno sul set (“interpretare Troisi”) e uno nella realtà (“un figlio”). Perché “se poi si fa tardi…”.

Negli ultimi mesi si è fatto letteralmente in due: da una parte, su Rai 2, ha seguito gli umori di concorrenti e familiari per il talent show “The Voice of Italy”; dall’altra, su Canale 5, ha interpretato il cuoco aspirante attore accanto a Fabrizio Bentivoglio e Giorgio Tirabassi, nella seconda serie di “Benvenuti a tavola”. Fabio Troiano, torinese di origini campane (ha trascorso l’infanzia a Gragnano, vicino Napoli), noto come il capitano Ghirelli (detto Ghiro) dei RIS, ma anche come l’angelo di quartiere che rubava auto in “Dopo Mezzanotte” di Davide Ferrario, si è rimesso in gioco accettando una sfida tutta nuova: la conduzione di un programma in prima serata accanto ai coach Raffaella Carrà, Piero Pelù, Riccardo Cocciante e Noemi. Gli ascolti gli hanno dato ragione, la semifinale di giovedì scorso ha totalizzato più di tre milioni di telespettatori risultando il secondo programma più visto della fascia oraria. Eppure sul web non mancano le critiche: lo si accusa di non essere adatto al ruolo di conduttore e di non reggere la diretta. Lui fa spallucce e continua dritto per la sua avventura, dimostrando una bella forza di carattere e grande capacità di adattamento. E spiegando nei fatti la “risata malinconica” di cui parla in questa intervista, una risata che l’attore di “Santa Maradona” e “Passannante” si porta dietro sempre, nel lavoro come nella vita. Una risata che è forse l’origine del suo indiscutibile talento.

Cominciamo con “The Voice”. Come mai, secondo lei, non hanno scelto un conduttore professionista?
Il programma non lo richiedeva: qui la vera protagonista è la voce e poi i coach sono delle autentiche star. Ecco, più che un presentatore io sono stato un cronista a bordo campo.

Si spieghi meglio…
“The Voice” ha attraversato tre fasi: le audizioni al buio, le battaglie e il live. Nella prima fase, che ho condotto dalla family room, sono diventato parte delle famiglie dei cantanti. Con loro vivevo i momenti felici e la disperazione post-eliminazione. I ragazzi si sono giocati un’opportunità reale, ovvio che se non passavano il turno rimanevano male. Anch’io ci sono passato: all’inizio della carriera ce la mettevo tutta…e quante lacrime se non mi prendevano!

E’ difficile fare il presentatore?
Quando giri un film puoi prepararti: conosci il personaggio, te lo costruisci e lo provi. Anche nella conduzione hai la possibilità di studiare, ma sul palco porti te stesso. C’è Fabio Troiano che presenta e paradossalmente è più difficile.

Perché ha accettato?
Per misurarmi con qualcosa di diverso. Era facile prendere un conduttore di mestiere, invece la Rai ha voluto osare. E poi mi è sembrato un programma meritocratico: mi piace l’idea che chi vale abbia la possibilità di emergere, soprattutto in un campo difficile come quello dello spettacolo.

Quanto conta l’improvvisazione?
E’ fondamentale e molto faticosa. Però mi sto divertendo, è come se facessi parte di una grande famiglia. Mi ricorda quando facevo l’animatore nei villaggi, una ventina d’anni fa. A quei tempi il novanta per cento era improvvisazione. Io ero il jolly che parlava mezz’ora con un cliente e mezz’ora con un altro, presentavo gli spettacoli serali e conducevo i vari giochi.

E per condurre “The Voice” si è ispirato a qualcuno?
Assolutamente no! Non amo i cloni, preferisco essere me stesso.

Ha parlato di meritocrazia. Ci tiene tanto?
Si, certo. Ho fatto tanta gavetta e le raccomandazioni mi fanno saltare i nervi. Per fortuna questa crisi ha spazzato via parecchie situazioni ambigue: meno produzioni significano tanti fucili puntati, con il vantaggio che adesso ci si confronta con professionisti seri.

Un provino che le ha lasciato l’amaro in bocca?
L’incontro con Gabriele Salvatores per un ruolo in “Come Dio comanda”. Il colloquio era andato bene, ma alla fine il film non l’ho fatto.

Il provino che le ha dato più soddisfazione?
Quello con Ferrario per “Dopo mezzanotte”. Da subito è scattato un feeling incredibile, grazie a quel film ho fatto tutto il resto.

Com’era Fabio Troiano all’inizio di tutto?
Era molto determinato, se qualcosa andava male non si lasciava sopraffare dallo sconforto e soprattutto aveva una famiglia che lo sosteneva. Nonostante i suoi genitori non avessero niente a che fare con il cinema…mio padre fa l’idraulico, mia madre è casalinga. E sono cresciuto con i film di Totò, che mi facevano ridere così tanto. Totò mi ha avvicinato alla voglia di far ridere.

Eppure l’hanno scelta spesso per ruoli drammatici.
Ma non mi sono mancati i ruoli comici. Il capitano dei RIS è comico e malinconico e ho fatto “Cado dalle nubi” di Checco Zalone. Anche in “Benvenuti a tavola” ho un personaggio divertente. E però la vena malinconica mi appartiene, mi piace la commedia amara dove si ride e non c’è niente da ridere. Il ruolo del buffone sbracato, invece, non fa parte di me.

Si sente una persona fortunata?
Sarei ipocrita se dicessi il contrario. Faccio un mestiere che amo, è un grande privilegio.

Ha mai pensato di gettare la spugna?
No, nemmeno agli inizi. E’ successo tutto in maniera graduale, a ogni esperienza nuova facevo un piccolo passo avanti e mi dicevo: forza Fabio, ce la puoi fare! Porte in faccia ne ho ricevute, ma ora sono consapevole che l’esito di un provino non dipende solo da me.

Come mai ha scelto di cominciare dal Teatro Stabile di Torino?
Frequentavo una scuola amatoriale e le mie insegnanti mi suggerirono di presentarmi ai provini di Ronconi. Io avevo ventitré anni, volevo fare il classico cabaret e in materia di teatro ero un completo ignorante. L’inconsapevolezza mi regalò la totale libertà, che poi è la forza dell’attore.

Si ricorda che cosa ha portato al provino?
“Comici spaventati guerrieri” di Stefano Benni e “Antico” di Eugenio Montale. Tutti portavano Shakespeare, Beckett, Ionesco…io mi presentai con un racconto comico. Terminato il provino, un ragazzo mi chiese spaventato: “c’è Ronconi dentro?”. E io: “non lo so, non so chi sia…c’è un signore con i capelli bianchi, un altro signore con i capelli ricci un po’ più scuri e una signora”. Erano Luca Ronconi, Mauro Avogadro e Marisa Fabbri!

C’è un ruolo di cui va più orgoglioso?
Ringrazio sempre Ferrario, perché è stato il primo a credere in me. Tutti i produttori cercano i nomi, ma così i film importanti vanno sempre agli stessi attori. Davide ha avuto il coraggio di scommettere su di me e su Francesca Inaudi, due sconosciuti appena usciti dall’Accademia.

Il ruolo che le manca?
Si parla di un film su Massimo Troisi…mi piacerebbe tanto interpretarlo, anche perché le mie origini sono napoletane.

Si dice che i napoletani sono animali da palcoscenico.
E’ un modo di dire ma è anche una grande verità. A Napoli tutto è più complicato e devi fingere ogni volta che esci di casa. Chi ci ha vissuto impara l’arte di adattarsi a tutte le situazioni, che poi è l’indole dell’attore quando indossa la maschera di un altro. Per me è stato un valore aggiunto.

A parte Ferrario, chi sono stati i suoi maestri?
Tutti i registi con cui ho lavorato, anche per ruoli piccoli: Silvio Soldini, Marco Ponti, Sergio Colabona, Lucio Pellegrini, Carlo Lizzani. Ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa, perché se un regista ti sceglie vuol dire che ha una certa sinergia con te.

Parliamo dei RIS. Punti in comune con il capitano Ghirelli?
La risata malinconica, che io stesso ho voluto mettere per creare l’empatia con il pubblico. Ghiro non è il solito supereroe, ma un ragazzo normale in cui chiunque può riconoscersi. Se Ghirelli insegue qualcuno che spara, Ghirelli ha anche paura. E poi ha l’aria un po’ folle e dice le sue battute con estrema serietà. Gli altri ridono, lui non ride.

E lei ride?
Rido poco, me lo dicono tutti. In realtà rido dentro.

Si è divertito a presentare “Colorado”?
Moltissimo. Ho registrato la puntata quando Belen è rimasta incinta, dopo di lei non potevano che prendere me! Scherzo…al suo posto hanno preso sei presentatori, uno per ogni puntata che restava. Io ho riso di gusto, soprattutto nello sketch con l’Apetta. Un personaggio geniale.

Tornerà al cinema?
Ho girato un film con Enrico Brignano e Ambra Angiolini. E’ il remake di una commedia francese, s’intitola “Per sfortuna che ci sei”. Io interpreto il miglior amico di Brignano: ne combiniamo di tutti i colori fino a quando lui non si innamora.

Posso farle qualche domanda personale?
Senza esagerare però…

Mi dice un vizio di cui non puoi fare a meno?
Vediamo…mangiare la pizza.

La sua paura più grande?
Uno spettacolo teatrale: salgo sul palco, si apre il sipario e non ricordo più niente. Zero totale. E’ un incubo che faccio spesso.

Una paura personale?
Forse il pensiero che poi si fa tardi per avere un figlio.

Di solito è una paura delle donne.
Appartiene anche agli uomini, ma hanno paura a dirlo.

Tanti uomini scelgono la via dell’eterno Peter Pan. A lei l’hanno mai detto?
Qualche volta. Penso che quando troverò la persona giusta – e magari l’ho già trovata – smetterò di fare il Peter Pan.

Il suo sogno?
Una famiglia come quella dei miei genitori, un grande esempio.

E’ più difficile per un attore?
E perché? Anzi, abbiamo tanto tempo libero…l’ideale per un figlio.

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