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RB Casting dà il Benvenuto a Vinicio Marchioni

Intervista esclusiva a Vinicio Marchioni

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Vinicio Marchioni: “Non ho niente da nascondere, le cose negative fanno parte della vita”

Va in scena la nudità. Quella d’animo, s’intende. Vinicio Marchioni è di una sincerità disarmante, non ne ha mai fatto mistero. Ed è lui il primo ad ammetterlo anche se afferma: “Mi sto rendendo conto che spesso le interviste sono titolate per dare più eco a determinate affermazioni staccate dal loro contesto”. Touché, ci sono appena cascata anche io e spero me lo conceda. Sembra non senta il desiderio di proteggersi e che sia oggettivamente una persona limpida. E nonostante dica di non sentirsi “mai arrivato”, la sua carriera è intensa, vincente, interessante.

Dal 23 al 25 maggio è andato in scena al Teatro Ghione di Roma lo spettacolo “METAmorfosi”, un progetto artistico unico nel suo genere che racconta, con un intreccio di arti, la Favola di Amore e Psiche di Apuleio. Sul palco, narratore in questo viaggio nel mito, Vinicio ha guidato lo spettatore ripercorrendo il percorso iniziatico di Psiche. Un ritorno alle origini, alla tradizione orale accompagnata da musiche originali, un corpo di danza diretto da sua moglie Milena Mancini (che qui firma anche la regia) e pittura; durante ognuna delle tre serate, tre pittori guidati dall’artista Roberto Meta hanno riempito le proprie tele traendo ispirazione dal palco. Un unicum nel suo genere, così come ci racconta lo stesso Vinicio. Tutti i ricavati dello spettacolo sono stati devoluti a Save the Children, di cui Vinicio è testimonial della campagna “Illuminiamo il Futuro”, per dare educazione e speranza ai bambini stretti nella morsa delle povertà.

Lo vedremo nel ruolo di Elia in “Francesco”, miniserie sulla vita di S. Francesco, per la regia di Liliana Cavani. Le riprese sono iniziate da poco. In autunno andrà in onda su Rai 1 “Oriana”, progetto sulla vita di Oriana Fallaci, in cui Vinicio interpreta il ruolo di Alekos Panagulis, eroe della resistenza greca sotto il regime dei colonnelli nonché l’uomo più importante nella vita della Fallaci. La regia è di Marco Turco. Inoltre, aspettiamo di vederlo in “Third Person” di Paul Haggis, già presentato al Toronto Film Festival e girato tra New York, Roma, Parigi e Taranto. Al fianco di James Franco, Mila Kunis, Olivia Wilde, Kim Basinger, Liam Neeson, Adrien Brody.

Abbiamo incontrato Vinicio a “Casa”, l’accogliente locale in centro a Roma di cui è socio insieme al fratello e ad altri due amici.

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Partiamo dalla cosa più immediata, “METAmorfosi”. Quanto è stato difficile preparare uno spettacolo che coinvolge tutte le arti e fare in modo che ci fosse equilibrio tra queste?
Ovviamente è stato molto difficile. Ci è venuto in soccorso il testo di Apuleio, la “Favola di Amore e Psiche”, e proprio le metamorfosi sono state la fonte di ispirazione di tutto quanto, intese come trasformazione. Volevamo che la trasformazione avvenisse proprio durante lo spettacolo, esattemente in quel momento. Tutte le arti si sono trasformate inserendosi nelle altre: la musica si è messa al servizio della danza e della recitazione, la recitazione si è messa al servizio della danza e della musica e via dicendo. La metamorfosi conclusiva è quella che hanno eseguito i tre pittori in scena con noi, capitanati da Roberto Meta, che ispirati dai temi di Amore e Psiche e da quello che succedeva sul palcoscenico tra di noi, hanno espresso le sensazioni su tela bianca.

Cosa significa lavorare con la propria partner? Ho fatto la stessa domanda a tua moglie nella precedente intervista (clicca qui e leggi l’intervista a Milena Mancini).
E’ bellissimo, è stimolante. In questo siamo molto complementari. Lei è pratica, ha un tipo di fantasia e immaginazione che diventa subito pragmatica e concreta. Mentre io sono quello un po’ più filosofico. Senza di lei non sarei stato in grado di fare, soprattutto, questo spettacolo. Ci sono state, ovviamente, grandi litigate e grandi discussioni ma sono state utili per andare avanti nella creazione dello spettacolo.

Sei il testimonial di Save the Children e di “Illuminiamo il Futuro”, una campagna di sensibilizzazione importante. La domanda ti sembrerà retorica, quanto è importante trovare un posto in cui trovarsi, specie per te che sei cresciuto a suon di letteratura e poesia?
Le domande non sono mai retoriche, soprattutto su questi temi. Io posso riportarti la mia esperienza, quella di un ragazzo come tanti che cresce nella periferia di una grande città e che se non avesse trovato dei maestri o degli insegnanti che gli hanno tramandato l’amore per la cultura, per i libri, per la musica non avrebbe mai sviluppato la curiosità. Probabilmente sarebbe stato molto più complicato per me tirarmi fuori dalle situazioni problematiche che si creano negli ambienti periferici di una grande città. La campagna di Save the Children è rivolta soprattutto alla creazione di strutture che possano offrire libri, musica, cultura, la possibilità di studiare e praticare sport in un ambiente sicuro. Ritengo sia importantissima. Un uomo che per i suoi primi 10 anni di vita non ha mai visto un quadro dal vero, non ha mai letto un libro o una poesia, vedrà ridotta, nel tempo, la propria espressività, l’educazione e il proprio sguardo sul mondo, i propri strumenti critici. “METAmorfosi” ci sembrava lo spettacolo ideale per stringere ancora di più una collaborazione con Save the Children.

'Il Sud E Niente' Premiere  - The 8th Rome Film Festival

Sono iniziate le riprese della miniserie “Francesco” per la regia di Liliana Cavani. Interpreti il ruolo di Elia, cosa puoi anticiparmi? Già nel 1989 la Cavani aveva realizzato un film sulla vita di S. Francesco, se non erro.
Questo è il terzo film di Liliana Cavani sulla vita di S. Francesco e già solo questo ci fa capire quanto ci sia all’interno di quest’uomo e della sua esistenza. In realtà è una co-produzione internazionale. Si tratta di due puntate che andranno in onda in prima serata su Rai 1. L’attore che interpreta S. Francesco è polacco. Io interpreto Elia, un personaggio rimasto sempre in ombra. Di lui si sa pochissimo. In realtà è stato il primo ad aver intravisto in Francesco l’universalità del messaggio. Ed è stato colui che ha fatto di tutto per creare i presupposti affinché l’ordine francescano si ingrandisse e arrivasse a tanti. Inoltre, è stato il propulsore della costruzione della Basilica di S. Francesco. Insomma, Elia è una specie di manager ante litteram, facendo un’analogia moderna, è l’uomo che ne ha visto le potenzialità universali.

So che in autunno andrà in onda su Rai 1 “Oriana”, progetto sulla vita di Oriana Fallaci, in cui interpreti il ruolo di Alekos Panagulis, eroe della resistenza greca sotto il regime dei colonnelli nonché l’uomo più importante nella vita della Fallaci. Cosa puoi dirmi a riguardo? Come ti sei preparato?
E’ stato difficile come lo sono tutti i ruoli. Di certo, interpretare la vita di un uomo che è esistito davvero è sempre complicatissimo, soprattutto se è quel tipo di uomo che ha fatto quell’esistenza: uno dei rivoluzionari per eccellenza degli ultimi anni. E soprattutto, è il protagonista di uno dei romanzi, a mio avviso, più belli di Oriana Fallaci. E’ un uomo intorno al quale si è creata una mitologia molto ampia. In verità, abbiamo cercato, insieme alla grandissima regia di Marco Turco e alla strepitosa Vittoria Puccini, di raccontare un’esistenza, senza pensare a tutto quello di cui si è parlato dalla sua scomparsa in poi. E’ un ruolo complicatissimo, anche perchè di mezzo c’è una storia d’amore tra due personaggi giganteschi. Oriana Fallaci è stata tra le donne più strutturate ed energiche, una donna che negli anni ’60 se ne è andata in Vietnam da sola a fare reportage di guerra. Basti pensare a quanto oggi sia ancora difficile per le donne riuscire a ricoprire dei posti di privilegio; lei è stata la prima ad imporsi. E lui è un personaggio enorme e difficile. Mi auguro sia andata bene.

Capitolo “Third Person” di Paul Haggis, già presentato al Toronto Film Festival e girato tra New York, Roma, Parigi e Taranto. Al fianco di James Franco, Mila Kunis, Olivia Wilde, Kim Basinger, Liam Neeson, Adrien Brody. Un cast pazzesco. Cosa significa lavorare in una produzione internazionale? E non è la prima volta vista l’esperienza con Woody Allen.
In Italia dovrebbe uscire a Ottobre ma la data certa non è stata ancora comunicata. Con Woody Allen ho fatto veramente un piccolo passaggio. Qui invece ho un ruolo con delle scene incredibili, dei dialoghi lunghissimi con Adrien Brody. E’ stato emozionante, ogni attore ad un certo punto sogna di recitare con i divi e le star di Hollywood.

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Qual è la differenza che salta di più all’occhio, al di là della differenza di budget?
I budget fanno molto la differenza ma l’altra differenza principale che ho trovato tra le persone è l’umiltà. In Italia spesso ce la dimentichiamo; è più facile che un attore faccia un personaggio o un ruolo importante e raggiunga la popolarità e poi campi di rendita per 10 anni. Invece ho lavorato con due Premi Oscar che avevano voglia di lavorare seriamente e al contempo con una leggerezza straordinaria. E’ stato un insegnamento enorme per me. Credo che questo sia il mestiere più bello del mondo e che vada fatto con leggerezza senza mai prendersi troppo sul serio e, contemporaneamente, cercando di farlo nella maniera più seria possibile. Questa è la differenza.

A tal proposito, dici che è il mestiere più bello del mondo. Mi ha colpito una frase che hai detto in passato: “Il palcoscenico è il punto fondamentale della tua vita”. Cosa ne sarebbe stato di te, se non fosse andata così?
Non ne ho la più pallida idea. Faccio fatica ad immaginarmi altro. Ho una grande passione per la ristorazione e ho fatto tutti i mestieri in questo campo, negli anni della fantomatica gavetta teatrale. Però dal primo giorno in cui ho messo piede nella scuola di recitazione, ho capito che quello era il mio posto.

So che i docenti cercavano di dissuaderti dal fare l’attore.
Con il senno di poi, dopo 15 anni di onorata carriera sulle spalle, credo abbiano fatto bene. E’ anche un modo per mettere alla prova. Si hanno tantissimi preconcetti su questo mestiere. Si pensa che sia tutto rose e fiori e che arrivino i soldi a palate da un giorno all’altro, le donne, le ville, le macchine. Non è così, soprattutto in questo periodo in cui si è ristretto tutto. Credo sia un modo per tastare la vera volontà di fare questo mestiere. E puoi farlo solo se dopo 69 ore di fila e senza vedere una lira, conservi ancora il sorriso. La passione è questa e credo che valga per tutti i lavori.

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Qual è il ruolo o l’esperienza più illuminante che ti è capitata?
In teatro sicuramente lo studio con Luca Ronconi alla Scuola di Santa Cristina. E’ complicato da spiegare, ma lui è in grado di insegnarti e tramandarti degli strumenti molto pratici. Spesso siamo in mano a persone che ti danno delle indicazioni molto vaghe e astratte e sta a te cercare di fare una sintesi. Lui ti fornisce degli strumenti praticissimi per aprire le sceneggiature o il testo teatrale e soprattutto ti insegna l’autorialità di questo mestiere, ti insegna ad essere tu stesso autore della tua interpretazione. Ognuno di noi ha il proprio modo di vedere questo mestiere e interpretare, motivo per il quale credo che non esistano attori bravi e meno bravi. Esistono attori che si fanno le domande migliori. Ci sono attori che le domande non se le fanno o che si fanno quelle inutili.

Come nasce l’empatia con un personaggio? C’è un percorso standard per prepararsi ad un ruolo?
Probabilmente sì, io però non lo conosco. Credo che il regista influenzi tantissimo l’approccio. Sicuramente esiste un’empatia già nella prima lettura di una sceneggiatura. La prima volta che ho letto “20 Sigarette” ho capito immediatamente che poteva essere uno dei ruoli piu grandi che un attore si possa augurare. Ma tutto quello che viene dopo non lo puoi preventivare. Io mi affido alla musica per prepararmi, mai la stessa ovviamente. Ogni film che faccio ha una sua colonna sonora. Per altri ruoli sono andato a rivedere dei quadri. Per altri ancora ho avuto un approccio più istintivo.

E’ sempre l’arte che ispira l’arte, insomma.
Decisamente sì. Io credo che il mio lavoro mi abbia migliorato come essere umano. Ho imparato davvero tanto dall’arte.

Quanto ti ha cambiato la fama?
Non molto. Sicuramente sono maturato. La grande fortuna di fare pratica mentre fai questo mestiere è quella di renderti consapevole dei mezzi che hai. Come essere umano non sono cambiato, anzi sono riuscito a mantenermi come ero. L’educazione rimane quella e anche il punto di vista con il quale rapportarmi al mondo. Credo, piuttosto, che siano i punti di vista degli altri su di te che cambiano. Merito e colpa delle interviste e della visibilità.

Leggendo le tue interviste sembra che tu sia disposto a dare tanto di te stesso. In una tua intervista, ho letto delle tue storie d’amore passate e ne sono rimasta colpita. Sembra tu non abbia proprio niente da nascondere e che non senta la necessità di “proteggerti”.
Con gli anni sì. Mi sto rendendo conto che spesso le interviste sono titolate per dare più eco a determinate affermazioni staccate dal loro contesto. Il mio ufficio stampa è incazzata con me per questo (ride, ndr). Ma è anche vero che, nel corso degli anni, le domande sono sempre le stesse. Oggi, se mi si domandano ancora le stesse cose, faccio presente che se ne è già parlato. In fondo, credo io non abbia niente da nascondere. E penso che anche le cose negative facciano parte della vita. E come attore, quando si approccia un ruolo, credo di aver capito che se cominci dalle cose negative, dalle mancanze, dalle debolezze di un personaggio, è più interessante e si scoprono cose in più.

C’è un ruolo che vorresti tanto?
Qualsiasi cosa abbia scritto William Shakespeare. Ho interpretato solo “Sogno di una notte di mezza estate” ma provo i brividi per ogni cosa che abbia scritto e penso che per ogni attore sia una tappa fondamentale. E’ il piu grande drammaturgo mai esistito.

C’è stato un momento di illuminazione in cui hai detto “Ho preso la strada giusta”?
No, perché mi sembra sempre che non lo sia. Anche se le cose vanno bene, le riflessioni sono tante. Il grande pubblico magari non ci pensa ma è un periodo complicato per tutti e spesso mi chiedo che senso ha fare questo mestiere oggi e dove porta in Italia. C’è una grande crisi di identità prima che economica e ogni tanto non mi riconosco in niente. Questo è un mestiere strano. Quando uscì “Romanzo Criminale” ricevetti complimenti e telefonate dalle stesse persone che anni prima non mi avevano preso ai casting. Mi pongo sempre con lo stesso tipo di attitudine e do la stessa importanza a tutte le cose che faccio. Magari tra un anno non mi chiamerà nessuno. Faccio in modo che in ogni film io debba sempre guadagnarmi la stima. Il piu grande critico di me stesso sono io e devo essere in grado di perseguire degli obiettivi. E’ facile dire che vuoi intepretare Shakespeare, ma poi devi essere in grado di farlo.

La critica più ardua è la tua quindi.
Io sono un rompipalle. Non sono mai contento e in casa non ho nessun film di quelli che ho fatto perché non amo guardarmi. Mi fido molto delle sensazioni che ho, ma riguardarmi mi fa uno strano effetto. Non ho una buona immagine di me.

C’è qualcuno a cui senti di dover dire grazie?
Un milione di persone. Dai miei insegnanti di scuola e di recitazione. Tutti gli attori con cui ho lavorato e che hanno avuto meno fortuna. E’ il mestiere dei paradossi che si fa in una solitudine mortale, solo tu sai le pene che hai passato per un ruolo di cui non si è accorto nessuno e al contempo è influenzato da ogni giorno di vita che ti ha portato a fare questo mestiere. Ma se non avessi avuto la fortuna di incontrare le persone che ho conosciuto. Se dici grazie è meglio.

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