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Sergio Rubini al Bif&st 2016: “Quella volta che Mastroianni non mi volle sul set”

Sergio Rubini ha conquistato stasera il Teatro Petruzzelli di Bari con i suoi ricordi di Marcello Mastroianni, Ettore Scola e Federico Fellini in un incontro preceduto dalla proiezione del suo primo film da regista, “La stazione”, moderato da Enrico Magrelli

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Bari, 8 Aprile 2016 – “Nel 1984 feci un provino con lo storico aiuto regista di Mario Monicelli, Amanzio Todini, per ‘I soliti ignoti vent’anni dopo’. Piacqui sia a lui che a Suso Cecchi D’Amico, che aveva sceneggiato il film, tanto che pensavo di avere in tasca il ruolo di Brunino, il figlio di Marcello Mastroianni. Poi passò un po’ di tempo e vidi che non mi chiamavano. Seppi quindi che Mastroianni non voleva che fossi io a interpretare suo figlio perché lui, a parer suo, doveva essere un po’ grassottello mentre io era magro come un chiodo. Così la parte fu assegnata al mio collega ed amico Giorgio Gobbi. Che non era certo più bello di me, ma aveva quei 10 chili in più…”. Quello su Mastroianni è stato solo il primo di una serie di divertenti aneddoti raccontati stasera al Teatro Petruzzelli da Sergio Rubini che, nonostante febbricitante per un’influenza, non ha voluto rinunciare ad un incontro attesissimo al Bif&est 2016 – Bari International Film Festival, vista anche la provenienza dell’attore nato a Grumo Appula, a poca distanza dal capoluogo pugliese.

Rispondendo alle domande di Enrico Magrelli, Rubini ha ricordato i suoi incontri e collaborazioni soprattutto con Marcello Mastroianni, Federico Fellini ed Ettore Scola.

“Proprio qui al Bif&st, tre anni fa, il Direttore Felice Laudadio favorì il mio incontro con Ettore Scola che voleva conoscermi. E che mi disse che conosceva tutti i miei film – ricordava e citava persino alcune battute! – proponendomi immediatamente una partecipazione a quello che sarebbe stato il suo ultimo film, ‘Che strano chiamarsi Federico’. In seguito, mi ha detto che gli sarebbe piaciuto fare un altro film con me e con Gérard Depardieu, sapendo della nostra frequentazione. Ma poi, in un incontro successivo, lo trovai stanco, demotivato, senza più voglia di confrontarsi con produttori e distributori”.

“Con Scola, provai la stessa sensazione che avevo provato quando venni scelto da Federico Fellini per ‘Intervista’, quella di un bambino alle prese con il mondo dei grandi. Lui, Fellini, Mastroianni – con il quale lavorai finalmente proprio per quel film – erano persone meravigliose, giocose, amavano la vita, il lavoro e soprattutto amavano gli altri, avevano un modo tutto loro di interpretare la loro carriera”.

In particolare su Mastroianni, dice: “In realtà, quando ero un ragazzino il mio mito era Vittorio Gassman. Poi però ho compreso la grandezza e la modernità di Marcello e ciò che lo ha reso immortale, quel suo modo di essere sempre un passo indietro, di ottenere il massimo dalla semplicità. Fellini mi raccontò che una sera si trovava a cena con Marcello e Catherine Deneuve che era arrabbiata con lui, non so per quale motivo, e che ad un certo punto sbottò dicendo: ‘E non sei neanche un attore’. E Marcello di rimando: ‘Ma che 8 ½ l’hai fatto tu?’. Il commento che mi consegnò Fellini fu: ‘Ma chissà cosa avrà capito Marcello di 8 ½!’ “.

Rubini ha rievocato cene con Federico Fellini, Giulietta Masina, Marcello Mastroianni e il suo migliore amico, Paolo Panelli con il quale “parlavano per interposta persona, una cosa spassosissima, e poi dopo aver mangiato finivano, su richiesta di Fellini, per improvvisare scenette durante le quali Marcello si scatenava corrivamente”.

Sulla sua carriera, Sergio Rubini ha confessato la sua fortuna di avere iniziato molto presto e di aver quindi preso parte, anche se brevemente, a quella stagione del cinema italiano con registi e attori che oggi fanno parte della Storia. “Ma la commedia di ieri non è certo come quella del cinema attuale. Nei film di Scola, Monicelli e Risi la risata era rivoluzionaria, sovvertiva lo status quo, era un gesto politico. Oggi la risata è fine a se stessa”.

Sulla sua formazione, Rubini ricorda come entrò all’Accademica d’Arte Drammatica come attore vergine, rozzo, totalmente ignorante delle tecniche di recitazione. “Ma capii ben presto che quella poteva essere la mia forza, e in seguito fui aiutato da bravi insegnanti. Però non mi diplomai e forse è stato un bene: in Accademia circolava la battuta per cui diplomarsi portava male. E io, invece, oggi mi prendo la soddisfazione di insegnare lì”.

L’incontro al Teatro Petruzzelli è stato preceduto dalla proiezione del suo primo film da regista, “La stazione”. Sostiene Rubini: “Quando feci quel film mi resi conto di quanto teatro e cinema potessero incontrarsi felicemente, a dispetto di quanto sostengono in molti. Prima di girare il film, avevo interpretato quel ruolo sul palcoscenico per tre anni con gli stessi attori e arrivammo sul set con un ottimo lavoro di preparazione e un perfetto affiatamento. Venticinque anni dopo, ho rifatto la stessa esperienza: per il mio ultimo film, Dobbiamo parlare, ho chiesto espressamente ai produttori di poterlo provare in qualche replica a teatro per dimostrare proprio che cinema e palcoscenico non sono due mondi lontani…”.

 

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