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MIA: successo per il panel sul ruolo femminile, Eleonora Andreatta annuncia progetto su donna candidata premier

Su 72 show americani della stagione 2016-17, i registi uomini sono stati il 90,7%, gli autori il 95%, gli showrunners l’83% con percentuali residuali per le donne. Basterebbero questi dati, estrapolati da uno studio della USC Annenberg School for Communication and Journalism di Los Angeles, per rappresentare l’emergenza di genere nell’industria dell’audiovisivo, al centro dell’incontro “Powerful Women in Global Entertainment”, uno dei panel più attesi della terza edizione del MIA, il Mercato Internazionale dell’Audiovisivo nel corso della seconda giornata di lavori a Roma.

Sala del Barberini strapiena per l’incontro che, in questo momento cruciale con le pesantissime accuse ad Harvey Weinstein, ha assunto un valore particolare. Accuse che sono rimbalzate subito nell’incontro nelle parole di Katherine Pope, produttrice esecutiva di “New Girl” e “Terra Nova”: “Finalmente dopo 20 anni la vicenda Weinstein è uscita allo scoperto ma c’è ancora tanto lavoro da fare ovviamente”, ha spiegato. “Non sapevamo delle violenze che stanno venendo fuori in questi giorni”, le ha fatto eco Sally Woodward Gentle (direttore creativo di “Downton Abbey”).

E per capire il grande lavoro che resta da fare basti pensare che sono ancora in minoranza (42%) le serie tv prodotte in USA tra il 2016 e il 2017 che contengono personaggi femminili o hanno ruoli femminili da protagoniste, percentuale che si abbassa leggermente nelle serie destinate ad un pubblico adulto (18-49 anni). Malgrado le donne siano sempre più presenti ai vertici nell’industria dell’intrattenimento, secondo uno studio del “Center for the Study of Women in Television & Film” di San Diego, il 68% dei programmi televisivi americani sono composti da un cast più maschile che femminile mentre dietro la telecamera, nei ruoli di creatore, regista, autore, produttore ed editor le donne rappresentano solo il 28% (+2 rispetto all’anno scorso).

Per quanto riguarda invece il contesto europeo, l’ “European Women’s Audiovisual Network” nel rapporto “Where are the women directors?” evidenzia la significativa sotto-rappresentazione di registi femminili in tutti livelli dell’industria. Secondo lo studio, solo un film su quattro è diretto da una donna. Non stupisce quindi che Reed Morano, vincitrice dell’Emmy come “Miglior regia in una serie drammatica” per “The Handmaid’s Tale”, sia solo la terza donna della storia ad essersi aggiudicata il riconoscimento.

All’incontro hanno partecipato anche Katie O’Connell Marsh (produttrice esecutiva di “Narcos” e “Hannibal”), Kate Crowe (produttrice di “Misfits” e “Taboo”), Rola Bauer (Studio Canal, inserita da The Hollywood Reporter tra le 20 donne più potenti dell’industria televisiva globale), Helen Gregory (produttore esecutivo di “The Catch” e  “No Angels”) e Eleonora Andreatta (direttrice di Rai Fiction) che ha ricordato di essere stata la prima responsabile del settore in Italia: “Il mio lavoro è stato lavorare tanto sulla realtà, prima c’erano molti melodrammi e commedie ma pochissime serie parlavano di realtà. In Italia il personaggio predominante è sempre stato l’uomo, da Cattani a Montalbano, e c’erano pochissime donne rappresentate, la maggior parte erano madri o protagoniste di storie d’amore. Abbiamo presentato la varietà di ruoli che una donna può avere oggi, una donna che lavora e sta in famiglia, abbiamo raccontato il suo modo di essere sia nel pubblico che nel privato. Abbiamo cambiato anche il modo di rappresentarle fisicamente, negli anni 80 erano belle e giovani e apprezzate dagli uomini, secondo criteri omologati che valevano sia per la pubblicità che per le fiction, noi vogliamo rappresentare un altro tipo di bellezza, che metta in luce il temperamento e il carattere delle donne”. E annuncia un progetto con una ragazza che si candida per la presidenza del Consiglio.

 

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