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Antonio Augugliaro, “Io sto con la sposa”

Intervista ad Antonio Augugliaro: “E’ stata un’illuminazione, ci siamo innamorati subito della loro storia” 

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Un’operazione nuova, fresca, geniale, e un tam tam che in poco tempo scatena seguaci, fedeli, e rende possibile un progetto unico. Parliamo di “Io sto con la sposa”, il film documentario realizzato dal regista Antonio Augugliaro, dal giornalista Gabriele Del Grande e dal poeta palestinese siriano Khaled Soliman Al Nassiry.

Il documentario racconta la storia di Tasnim, una sposa siriana a Milano che insieme al corteo nuziale, parte alla volta della Svezia attraversando 3.000 km e 5 paesi. Interessante sì, ma cosa c’è di nuovo, fresco e geniale, tanto da scatenare tanto seguito e da solleticare l’attenzione del pubblico? Tasnim non si è sposata a Milano e non è siriana, il suo non è un corteo nuziale ma una messinscena organizzata per consentire ad alcuni profughi siriani (profughi e siriani per davvero) di superare le frontiere dell’Europa senza frontiere, e permettere loro di raggiungere la Svezia.

Uscito nelle sale italiane il 9 ottobre, il progetto nasce quando Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande e Khaled Soliman Al Nassiry – ormai milanese di adozione – incontrano a Milano cinque palestinesi e siriani in fuga dalla guerra, sbarcati a Lampedusa e alcuni sopravvissuti alla tragedia dell’11 ottobre 2013 e decidono di aiutarli con un atto di disobbedienza civile che potrebbe costare loro fino a quindici anni di prigione.

Tremila chilometri in quattro giorni, quindi, tra il 14 e il 18 novembre 2013, sulla strada che da Milano deve portarli a Stoccolma. In auto fino a Ventimiglia, a piedi attraverso il “Passo della morte” che a Grimaldi Superiore segna il confine tra Italia e Francia, e poi di nuovo in auto attraverso il Lussemburgo fino a Bochum in Germania e Copenaghen in Danimarca, ultima tappa prima di raggiungere la Svezia.
 Ogni passaggio di frontiera, confine, dogana, è un’esplosione di tensione, prima, e di gioia, dopo.

“Io sto con la sposa”, realizzato grazie ad una efficace campagna di crowdfounfing online sulla piattaforma Indiegogo (100 mila euro in 60 giorni con il contributo di 2.617 persone in 38 Paesi), apre tappa dopo tappa, uno squarcio nelle vite dei protagonisti.

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Come e quando è nata tutta la geniale idea? Tutto ha avuto principio alla Stazione Centrale di Milano, subito dopo il naufragio dell’11 ottobre 2013 a Lampedusa in cui hanno perso la vita prima 300 e poi 250 esseri umani. Noi eravamo lì, insieme a Khaled Soliman Al Nassiry, era pieno di migranti siriani che cercavano dei contrabbandieri che li portassero fuori dall’Italia. Nessuno di loro voleva restare qui, l’Italia è solo un luogo di passaggio. Abbiamo conosciuto Abdallah, sopravvissuto proprio alla notte dell’11 ottobre, e lui quella sera ci chiese dove poter prendere un treno per la Svezia. Lo invitammo a prendere un caffè e prendemmo subito a cuore la sua storia. Ci raccontò del naufragio, della sua vita. Rientrammo a casa, quella sera, con le sue parole che riecheggiavano in testa e due giorni dopo stavamo pensando a come aiutarlo, non solo per compassione perché la compassione ti autoassolve dal fare qualcosa di concreto, volevamo proprio farlo attivamente, davvero. Io mi sono innamorato subito della sposa che oltrepassa la frontiera. Dopo la prima incredulità, in 2 settimane abbiamo organizzato tutto girando per i centri di accoglienza a conoscere altri migranti e organizzando il viaggio. Gli altri che abbiamo incontrato avevano fretta di partire e non hanno avuto il tempo di aspettarci, così si sono affidati ai contrabbandieri e non sapremo mai se sono arrivati a destinazione.

Come siete arrivati al crowdfunding? Abbiamo investito tutti i soldi che avevamo nel progetto, ma ad un certo punto li avevamo esauriti. Un vero peccato, perché il team che avevamo creato era davvero coeso e vincente e dovevamo continuare. Così abbiamo fatto questo tentativo senza crederci troppo. Ma abbiamo avuto dei feedback esaltanti, la comunicazione ha funzionato benissimo, tanta energia ed un pubblico fantastico.

Quanto avevate di girato? In totale 60 ore, divise in 3 camere. Il montaggio è stato un lavoraccio perché era tutto girato in arabo, con ore e ore di dialoghi.

Qual è stata la difficoltà più grande, sia dal punto di vista della realizzazione che della regia? Per me la parte più complicata è stata quella di dare una prima struttura al documentario e cercare di riassumere in 2 ore, 60 di montato, suddividendole per aree tematiche. Il tutto, ribadisco, in arabo. Ed io non parlo una parola di arabo. Avevamo Khaled dalla nostra, che infatti è stato preziosissimo. Ma alla fine delle riprese avevo imparato a capire la metrica, le inflessioni e le intenzioni, riconoscendo una domanda o un’affermazione.

E la difficoltà di girare a più mani? Girare a 6 mani non è stato complicato perché ognuno di noi ha avuto il suo ruolo. Io mi sono occupato della regia vera e propria, perché è quello che faccio, Gabriele si è occupato delle registrazioni pilotando insieme a Khaled, che da arabo conosce le dinamiche, le discussioni e i dibattiti. Il viaggio è stato pesante perché si è svolto in 3 giorni dormendo pochissimo, una media di 3 ore a notte. E’ nata una bellissima collaborazione.

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Ci sono stati momenti di ansia e tensione? Avete rischiato tanto e le pene per il favoreggiamento di clandestinità sono molto dure. Tra di noi mai, magari qualche preoccupazione a livello personale. La mattina della partenza ho vissuto un momento intimo brutto. Ho guardato la mia famiglia, i miei bambini che dormivano, e ho pensato che forse sarebbe stata l’ultima volta che li avrei visti. E’ stata una sensazione fortissima. Non abbiamo mai avuto dubbi però. Qualche volta ci siamo chiesti cosa stessimo facendo, ma sapevamo di essere dalla parte del giusto, secondo la nostra legge morale. I contrabbandieri vanno combattuti, sono dei criminali che ti promettono di arrivare a destinazione ma poi ti derubano e ti lasciano altrove.

Ti aspettavi questo clamore? Sinceramente no. Il direttore della fotografia mi diceva che c’era poco materiale e io mentalmente ero pronto alla sconfitta. Avevamo tanto materiale, invece, e molto bello. E l’abbiamo scoperto in fase di montaggio. Grazie al crowdfunding, poi, siamo arrivati al pubblico e ci siamo circondati di una costellazione di professionisti, da Marco Visalberghi a Cineama Distribuzione.

Qual è il messaggio che volete lanciare e cosa ti auguri che succeda? Offrire uno sguardo nuovo sulla questione della migrazione e renderci conto della qualità degli esseri umani che vivono questa realtà. C’è un rimpallo di responsabilità tra le diverse nazioni e ci dimentichiamo che al centro dovrebbe esserci sempre l’essere umano e l’umanità tutta. Abbiamo bisogno di uno sguardo nuovo. I migranti non vogliono restare in Italia e questo dovrebbe già farci riflettere. E’ necessario rivedere le leggi e creare accordi europei strutturati.

La prossima sfida, invece? Una vacanza! Ho diversi progetti in testa, ma credo sia ancora il momento di godermi questa bella soddisfazione e sorpresa. Siamo nelle sale, al secondo posto come incassi ed è un progetto partito dal basso con una distribuzione dal basso. Chiunque può prenotare una proiezione.

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