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Marco Chiarini e Mario Sesti, intervista doppia agli autori di “Prima del film”

Il documentario racconta l’importanza dei disegni nel cinema con le interviste a Marco Bellocchio, Ettore Scola e Paolo Virzì

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E’ stato presentato in occasione della nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, ospitando anche un interessante incontro/confronto tra i più seguiti con Marco Bellocchio, Ettore Scola e Paolo Virzì, “Prima del film”, il documentario firmato da Marco Chiarini (regista del pluripremiato “L’uomo fiammifero” e del libro illustrato omonimo) e Mario Sesti che mostra l’importanza che il disegno riveste nel cinema di questi tre registi, accomunati dalla curiosa passione per il disegno.

L’idea del documentario nasce da un’omonima mostra svoltasi a Teramo dal 5 aprile al 22 giugno scorso presso l’ARCA, Laboratorio per le arti contemporanee. C’è una linea di collegamento nella Storia del Cinema Italiano che passa attraverso il disegno, una linea precisa ed evidente che sorregge la pratica artistica di alcuni suoi protagonisti. Bellocchio, Scola e Vizì (che nasce pittore prima ancora che regista) disegnano sotto i nostri occhi segni, ghirigori ossessivi, spunti, volti, figure stilizzate e caricature istantanee, piccole allucinazioni e figurette fiabesche, ma anche tette e sederi accanto a scritte, appunti di battute, nomi di attori e raccontano il loro rapporto con il disegno.

Sono immagini in fieri, vere e proprie “pre-visioni”, grottesche, stranianti, che possono anche aiutare il reparto costumi o il casting per la linea di un volto o nella definizione di tipo, di un carattere, di un costume, ma innanzitutto servono a riempire il tempo dell’immaginazione prima del set, ad aiutare la creatività a trovare una prima, fluttuante materia oggettiva.

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Intervista a Marco Chiarini

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L’idea del documentario nasce da una mostra omonima. Ma quando e come è arrivata a voi l’idea di realizzare il progetto?
L’idea è venuta a Mario Sesti. In occasione della mostra, decidemmo di coinvolgerlo nell’organizzazione perché ci interessava il suo sguardo. Io ero preso più che altro dal materiale legato a “L’uomo fiammifero”, anche se in generale sono sempre stato attratto dal muteboard e dai disegni preparatori. La mostra è andata molto bene ed è durata da maggio a fine luglio, finanziandosi con la vendita dei disegni.

Che poi è diverso dallo storyboard. Quanto sono importanti le immagini e lo storyboard per il regista e per gli attori?
E’ molto diverso dallo storyboard, che riguarda più che altro la parte tecnica e organizzativa; è utile per previsualizzare quello che ci sarà e quello di cui è necessario: quante comparse servono, se la scena è reale o finta, se è necessario il green screen oppure animali sul set. Mentre il muteboard e i disegni riguardano la parte poetica e creativa, e sono necessari al regista prima di andare sul set. Sono utilissimi nel delineare una determinata atmosfera, uno sguardo, una postura. Danno un senso generale, non un dettaglio. I disegni possono aiutare il regista ad esprimere un’idea nel suo dialogo con il costumista o con lo scenografo. Non tutti sono portati o bravi a disegnare. C’è chi è capace e chi no, ed è questione di sensibilità ed impianto visivo. Forse sono ancora più utili nel cinema d’autore.

Qual è stata la difficoltà incontrata, se c’è stata, nel realizzare il progetto?
Devo essere sincero, non abbiamo incontrato grandi difficoltà. Anzi tutto il lavoro si è svolto con naturalezza, nell’entusiasmo e nella disponibilità generale.

Qual è ora il prossimo step?
Non sappiamo ancora, ci siamo concetrati fondamentalmente nel realizzare un progetto che ci piacesse e così è stato. Abbiamo avuto modo di tastare che “Prima del film” piace così come è piaciuto a noi e anche in questo caso stiamo ricevendo dei feedback e un’attenzione assolutamente sincera.

Come si è trovato con Mario Sesti?
Benissimo. Lui è eccezionale e tutta la collaborazione è stata lineare e spontanea. Come dovrebbe essere in ogni società che si rispecchi, ognuno ha avuto il suo ruolo chiaro e definito. Il mio impegno ha riguardato più che altro l’impostazione visiva, mentre lui, che è analitico, si è occupato di preparare le domande. Ci siamo trovati d’accordo con molta fiducia e spero che questa sensazione sia stata reciproca.

Prossimi progetti?
Non dico nulla per buon auspicio. Varie volte, in preda all’entusiasmo, mi son lasciato sfuggire qualcosa. Non lo farò in questa occasione. Ma sto lavorando ad un progetto scritto da Vincenzo Cerami.

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Intervista a Mario Sesti

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Come è andata la presentazione del documentario? So che è stata tra le presentazioni che hanno avuto più successo all’interno del Festival di Roma.
C’era una fila tale da riempire un’altra sala e mezzo. Credo siano arrivate 400 persone quando la sala ne può contenere 210. Ed è motivo di orgoglio. Sono venuti tutti e tre i registi, tre nomi che uniscono tre generazioni diverse ed è stato un evento vero e proprio. Erano contenti di essere lì e di essereci insieme.

Del resto, già in attesa dell’evento si era creato parecchio rumor, grazie anche proprio alla particolarità del progetto.
Ieri a Roma c’è stata la notte delle biblioteche e hanno scelto di riproporre alcuni eventi del Festival di Roma. “Prima del film” è uno di questi. L’ho presentato alla Biblioteca Cornelia, che è molto periferica, e nonostante il tempo, il traffico e la partita della Roma, la sala seppur piccola era piena di persone veramente interessate e partecipi.

L’idea di realizzare un documentario dopo l’omonima mostra è stata proprio sua. Mi racconta cosa è successo?
Nella mia vita da critico ho visto negli ultimi 20 anni aumentare sempre di più l’interesse verso le pubblicazioni specialistiche quindi l’alternativa era quella di pubblicare un volume pregiato, sia dal punto di vista della tecnica che cura dell’immagine. Ma ero convinto che con la stessa cifra che avremmo investito nella pubblicazione del volume saremmo riusciti a fare un documentario. Avevamo le competenze per fare un film, Marco Chiarini è un regista, io ho una piccola società di produzione come documentarista. Quindi abbiamo deciso di approfondire e intervistare i registi per provare a presentarlo al Festival. All’inizio avevo pensato solo a Scola, poi parlandone con Marco Müller, entusiasta del progetto, abbiamo coinvolto anche Bellocchio e Virzì, per poi proporlo al Festival.

Ci sono state delle difficoltà?
Ovviamente è autoprodotto e non voglio fare la solita lamentela ma diciamo che a budget zero di produzione abbiamo arrotondato tutti i costi. La qualità tecnica e produttiva a livello di luci, montaggio, animazione, musica (grazie a Teho Teardo) è quella di un film di produzione media e di questo siamo molto soddisfatti. Problemi veri e propri nessuno, abbiamo incontrato la disponibilità di tutti, soprattutto incuriositi dall’idea che qualcuno desse attenzione a questo aspetto un po’ particolare. In fondo, i registi sono abituati a parlare dei loro film. Tutti e tre, anche Bellocchio che è un po’ più riservato, erano contenti. Si percepiva il loro piacere di esserci. E la stessa percezione poi riscontrata anche dal pubblico. Il problema potrebbe essere quello di commercializzarlo, anche se ho dei segnali positivi. Sky Arte ha voluto vederlo, Rai Movie lo vuole vedere. L’ideale sarebbe appunto che trovasse una forma di distribuzione in tv per poi presetarlo ad un paio di Festival. Inoltre, sono stato contattato da Roma Lazio Film Commission, che ha partecipato alla produzione del documentario, per un progetto che riguarda le scuole. Mi sembra la cosa più giusta, è un prodotto congeniale anche per tutto ciò che riguarda la formazione, visto che è stato concepito in maniera molto accessibile.

Quanto sono importanti questo tipo di immagini per un regista?
Quello che abbiamo capito facendolo è che nella tradizione europea, e poi più tipicamente italiana, le tecniche di previsualizzazione dell’inquadratura sono un controsenso, sia nella produzione d’autore ma anche in quella industriale. Soprattutto dal Dopoguerra in poi, la natura misteriosa ed incontrollabile della realtà fa parte della scelta estetica; cercare di neutralizzarla descrivendo come deve essere l’inquadratura è un ossimoro. Questi disegni si inseriscono, come nel caso di Bellocchio, in una fase intermedia, quell’intervallo che c’è sempre e che va dal momento in cui si scrive una sceneggiatura al momento in cui la si realizza (sia per questioni produttive perché ci vuole un sacco di tempo per raccogliere le risorse, sia per motivi banalmente tecnico-creativi perché devi scegliere le facce, i posti, i collaboratori). Inoltre è anche un momento di confronto con se stessi, in cui l’autore cerca di capire cosa vuole a livello di immagini. In questo senso, il primo impulso psicomotorio è proprio quello di lavorare con una mano su un foglio bianco per dare vita. Da un altro lato, il ricorso ai disegni è un piccolo integratore della creatività. Disegnare aiuta l’immaginazione, la fluidità dei pensieri. E in questo momento il regista, un po’ come accade al pittore o allo scrittore, è solo con se stesso. Al contempo, l’uso del disegno è uno strumento per comunicare e per avere rapporti con l’esterno, ed è un lato interessante che abbiamo scoperto facendo il documentario. La natura del regista è quella di non essere mai solo, di comunicare continuamente con persone che hanno delle competenze tecniche completamente diverse dalla sua: fotografia, scenografia, costumi, decorazione del set, location. E questo doppio uso confluisce poi nel piacere del disegno, un territorio abbastanza inesplorato su cui il film getta una luce piccola ma intensa.

Per quanto riguarda invece i suoi progetti futuri?
Il Festival di Roma ha delle attività prevalenti che sono sufficienti per coprire il tempo professionale di qualsiasi persona. Io in più ci metto delle altre cose. Da poco ho terminato un film su Lucio Dalla che comincerò a girare tra poco. E’ un film che raccoglie testimonianze particolarmente importanti, da Isabella Rossellini a Paolo Nutini, a Beppe e Toni Servillo, Mimmo Paladino e tanti altri. Ho avuto la fortuna di consocere piuttosto bene Lucio, perché lui era un grande appassionato di cinema. Ci siamo incontrati per caso e ho scoperto che aveva visto un mio documentario, “L’ultima aequenza” su 8 e ½. Abbiamo iniziato a frequentarci e a fare tante cose insieme, anche in piccoli Festival. Quando è andato via ho sentito una sensazione molto forte di perdita, come succede con qualcuno di famiglia. E così insieme a Marco Alemanno abbiamo raccontato un Lucio Dalla poco conosciuto. Lui era un grande amante della letteratura, del teatro ed era anche molto bravo a coltivare relazioni con tutto il mondo della cultura, non solo a quello legato alla canzone.
Inoltre, in merito ai miei progetti, sarà presentato all’Auditorium “Finalmente Truffaut”, con Sergio Rubini, scritto insieme a Valerio Cappelli per il teatro. Abbiamo ricevuto delle proposte che sono ancora in fase embrionale ma che stiamo valutando.

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Trailer “Prima del film”

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