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Carolina Crescentini: “Sono una leonessa come Hélène”

Intervista a Carolina Crescentini, protagonista del film tv “Max e Hélène” di Giacomo Battiato, in onda su Rai 1 il 26 gennaio per la Giornata della Memoria

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“In situazioni come questa, avrei paura delle mie stesse reazioni. Hélène è una donna speciale e la sua storia è una parabola magica”. A parlare è Carolina Crescentini, protagonista al fianco di Alessandro Averone di “Max e Hélène”, il tv movie diretto da Giacomo Battiato, in onda lunedì 26 gennaio in prima serata su Rai 1, in occasione della Giornata della Memoria.

Venezia, 1944. Max Sereni è un promettente studente di medicina ebreo, la sua famiglia è stata deportata e lui vive nascosto in una soffitta. Non vuole scappare perché a Venezia vive Hélène, la ragazza che lui ama, figlia del console onorario francese, un fascista antisemita. Quando Max viene catturato, Hélène decide di seguirlo e, fingendosi ebrea, si fa deportare con lui. Parte da qui, da questo gesto d’amore estremo, il film tv scelto dalla Rai per celebrare il 70esimo Giorno della Memoria. La fiction, tra l’altro, è stata presentata in occasione del memoriale della Shoah, al binario 21 sotto la Stazione Centrale di Milano, da dove tra il 1943 e il ’45 centinaia di ebrei furono caricati su vagoni merci per essere imprigionati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti.

L’opera, una coproduzione Rai Fiction-11 Marzo Film, è ispirata all’omonimo romanzo – a sua volta basato su una storia vera – di Simon Wiesenthal, scrittore e antifascista austriaco che, dopo essere sopravvissuto all’Olocausto, dedicò parte della sua vita a rintracciare i nazisti in latitanza per sottoporli a processo. Nel cast anche Ennio Fantastichini, nel ruolo di Simon Wiesenthal, e Luigi Diberti, in quello di Padre Anatol.

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Chi è Hélène?
E’ una donna speciale, una sorta di Giulietta dotata di una forza infinita, sicuramente più forte di me. Una donna lontana dagli orrori della mente, che non perde mai la speranza e che alza sempre la testa. La sua storia è una parabola magica.

Come ti sei preparata?
E’ stata tostissima, mi sono affidata al prezioso aiuto del dialogue coach Mark Ashworth. Abbiamo girato in inglese e di conseguenza dovevo avere estrema facilità nel parlarlo per potermi concentrare pienamente sull’interpretazione. Ho dovuto perdere peso e massa muscolare nel giro di un mese. Anche emotivamente è stato complicato a causa di variabili linguistiche e psicologiche e reazioni che spesso non potevi tenere sotto controllo. Al contempo, è stata un’esperienza stupenda potersi confrontare con attori stranieri e metodi diversi. Abbiamo girato a Bolzano, lontano da tutto, e la sera ci si ritrovava tutti in albergo a scambiarsi opinioni, sensazioni.

Sono curiosa di sapere dell’atmosfera sul set.
Bellissima, erano presenti bambini, donne anziane, e uomini che dovevano sparare. Seppur a salve, i bambini erano comunque spaventati, piangevano e ci sono stati momenti di tensione, anche se abbiamo spiegato loro che era solo un gioco e non la realtà. In quel periodo ero distrutta emotivamente, non è facile trovarsi in quella situazione ed è difficile recitare e basta. Inoltre, a Bolzano, la senti proprio l’atmosfera di pesantezza che ancora porta gli strascichi della storia. E ritengo che sia importante fare qualcosa e realizzare progetti che ricordino il passato e cosa gli uomini riescono a fare ad altri uomini. Infine, sul set ho preso tante di quelle botte. Mi hanno menato di continuo. Ho avuto diverse colluttazioni, ho preso schiaffi e botte sui reni, e le riprese sono durate per 5 settimane! (sorride, ndr). Ogni tanto mandavo alcune foto ai miei amici.

Quanto c’è di te in questo personaggio?
In una situazione come questa uscirebbe la leonessa che è in me. Ho un istinto primordiale e avrei paura di quello che potrei fare e di come potrei reagire.

Qual è oggi il tuo sogno nel cassetto?
Credo che non si debbano dire, altrimenti non si realizzano.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?
A marzo esce “Tempo instabile” di Marco Pontecorvo, poi il 20 febbraio un altro film dei fratelli Taviani, ma è più una partecipazione. Poi “L’accabadora” di Enrico Pau.

Sei felice?
Diciamo che sto bene, non voglio abusare della parola felicità perché poi non la riconosci quando arriva. Posso dire che sono contenta e serena e al momento mi sta bene così.

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