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Roberto Zibetti: “È arrivato per me il momento di sperimentare altre vie”

La nostra intervista all’attore Roberto Zibetti

di Ivana Calò

È uscito nei cinema da un mese, periodo in cui se ne è parlato tanto. E da ancora molto prima se ne attendeva l’arrivo. E per Roberto Zibetti questo progetto ha rappresentato l’apertura di un nuovo corso. Lui, un volto ricorrente del cinema d’autore italiano, in un personaggio del tutto nuovo, fumettistico e surreale. Un alieno.

Da “Io ballo da sola” di Bernardo Bertolucci a “Nonhosonno” di Dario Argento, da “I cento passi” di Marco Tullio Giordana a ”Pasolini” di Abel Ferrara, passando nei panni del dottor Farinelli nella serie Rai “Rocco Schiavone”, è arrivato per lui il momento di una nuova sfida: il personaggio di Brandon in “Addio fottuti musi verdi”, la commedia fantascientifica demenziale dei The Jackal, i videomaker napoletani divi di YouTube.

Ora che è passato un mese dall’uscita nei cinema, cosa rappresenta per te questo ruolo?
È interessante valutare l’esistenza di una zona di linguaggio comune delle masse tramite il quale, una volta individuata, è possibile veicolare messaggi intelligenti. E i The Jackal sono diventati dei pionieri di contenuto, traendo spunto dalla realtà, autocitandosi e sciacallando i film classici. E il risultato è ottimo perché, se lo guardano bambini e adulti così come è accaduto, allora vuol dire he l’obiettivo è stato raggiunto.

The Jackal è un fenomeno interessante, considerati tra i fenomeni più interessanti e riusciti della rete.
Grazie all’autocitazione e allo “sciacallaggio” dei grandi classici hanno dato vita ad un loro stile, unico, fatto anche di grande qualità delle immagini, al montaggio, al ritmo del racconto, alla tecnica di realizzazione del film che è in grado di fondere target diversi con una coerenza umanistica e un linguaggio contemporaneo. Ricordiamoci che è un film demenziale che però crea alchimia di generazioni e rompe col finto intellettualismo che va tanto per la maggiore in questo momento. Loro sono un collegio di professionalità, sono un’impresa di successo, fanno gruppo ma “cazzeggiano”. Hanno un metodo rigoroso in cui, pur conoscendosi dalle medie e avendo molta confidenza reciproca, rispettano e ricoprono i proprio ruoli con molta serietà e professionalità, che è anche la formula per vendersi bene. Nonostante in Italia al momento vada il cinema serio, non si possono ignorare i fenomeni che nascono nella rete. E deve esserci una curiosità reciproca tra cinema e web.

Cosa significa per te questo film?
Rappresenta un collante generazionale. E Brandon è un personaggio spiritoso, è la parodia dell’evoluzione generazionale e tecnologica. È un cinico affettuoso, fulminato ma al contempo creativo e poetico e rispecchia la condizione umana. Per interpretarlo, mi sono ispirato alle voci spersonalizzate che trasmettono annunci alle stazioni, come l’orario di arrivo e partenza dei treni. Ho attinto agli emoticon, portando all’estremo ogni espressione facciale. Mi sembrava una scelta in linea con il modo contemporaneo standardizzato di trasmettere le emozioni ricorrendo alle espressioni simboliche.

Come ti sei trovato in queste nuove vesti comiche?
Per me è stata in qualche modo una prova, e per affontarla ho seguito il mio metodo. Sono sempre molto rispettoso della scrittura, che eseguo come uno spartito musicale, con estrema attenzione. Brandon è un personaggio assurdo che sono molto contento di aver interpretato perché mi ha consentito di sperimentare. Loro mi hanno detto “fai quello che vuoi, proponi il tuo personaggio” e così ho fatto. Abbiamo dovuto lavorarci insieme per arrivare alla sua costruzione definitiva.

Sei soddisfatto del risultato?
L’obiettivo era essere credibile con demenzialità poetica. E in effetti, se ci pensi, l’inquietudine a cui sono sempre stato abituato coi miei ruoli passati può assumere un tono drammatico o comico, dipende dal tipo di sfumatura che gli dai. È come la differenza tra il clown buono e quello cattivo, il clown maldestro o quello furbetto, il clown bianco o quello augusto. In questo film interpreto il clown bianco, cattivello, autoritario e severo, ed è una chiave che mi piace molto. Inoltre, ho un debole per la tradizione del mimo, e con l’occasione ho ripassato un po’ di Buster Keaton e Charlie Chaplin.

C’è un ruolo a cui devi dire grazie?
Questo. Ho lavorato molto negli anni per costruire un collettivo di ricerca tra teatro e cinema, con una fatica immensa e lottando con colleghi e istituzioni. Ora si è chiuso il cerchio. Ho fama di essere un attore dai ruoli spigolosi ma nella realtà sono un goliardico. E ora per me è il momento di sperimentare altre vie. Sono grato a Brandon perché avvertivo una fatica, e ora è come se avessi fatto un tuffo in una piscina calda circondata dalla neve. E devo dire grazie al regista Francesco Ebbasta che ha una grande dote, quella della selezione, in grado di capire subito cosa funziona e cosa no.

I tuoi prossimi progetti?
Sono nel cast di “Rocco Schiavone 2” che stiamo girando ad Aosta proprio in questi giorni. Poi sarò in “Immaturi – La Serie” con Luca e Paolo. Ancora, sarò in una puntata di “Non uccidere”, un’altra serie italiana notevole e interessante. Sto portando in teatro “Gierusalemme Unplugged”, una soap opera metafisica pornografica ispirata alla “Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso. Ho in ballo altri progetti ma posso dire che per me è arrivato il tempo di portare avanti la ricerca e la leggerezza.

 

 

 

 

 

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