Home Uncategorized “The Help”, l’Apartheid razziale ricorda l’oggi

“The Help”, l’Apartheid razziale ricorda l’oggi

Jackson, Mississippi. 1962. La bianca e ricca Eugenia, detta “Skeeter”, torna a vivere in famiglia dopo essersi laureata a pieni voti. Per sua madre, ex reginetta di bellezza, l’unica cosa che conta è un buon matrimonio (le amiche della figlia sono tutte sposate con prole), ma Skeeter non ama i ragazzi del posto e sogna di diventare scrittrice o giornalista. Prima di partire per l’università la sua unica confidente era Costantine, la governante “negra” che l’ha allevata e ora è inspiegabilmente sparita. Anche Aibileen è una domestica di colore: ha tirato su 17 bambini bianchi, sostituendo le mamme spesso assenti, e un figlio suo, morto a 24 anni per un incidente sul lavoro. L’episodio è avvenuto nell’indifferenza generale e da allora Aibileen è cambiata, non si sente più una che “manda giù tutto”. Minny è la sua migliore amica, ha una piccola tribù di figli ed è una cuoca straordinaria. Bassa, grassa e con grandi occhi neri, sarebbe ricercatissima se non fosse per la lingua tagliente, che le procura un licenziamento dopo l’altro. Ogni volta suo marito la picchia a sangue e ogni volta è un miracolo se può tornare a cercarsi un lavoro.

Sono gli anni delle ballate di Bob Dylan, della marcia su Washington e del celebre discorso di Marthin Luther King (“I have a dream”). L’Apartheid razziale, specie negli stati del Sud, raggiungeva il suo apice e il Ku Klux Klan massacrava senza pietà chiunque disobbedisse alle leggi. Allora i bianchi non potevano intrattenersi con i neri se non per impartire ordini, mentre le donne afro-americane li servivano, crescevano i loro piccoli ma avevano bagni separati. Proprio dalla questione dei bagni ha inizio la storia di “The Help”, film che in America ha incassato 170 milioni di dollari, già vincitore di un Golden Globe e candidato a quattro Oscar (miglior film, miglior attrice protagonista a Viola Davis e miglior attrice non protagonista a Octavia Spencer e Jessica Chastain).

Tate Taylor, regista e sceneggiatore, ha portato sullo schermo il romanzo dell’amica d’infanzia Kathryn Stockett, campione di vendite nel mondo (10 milioni di copie) e di rifiuti negli States (oltre 60 prima di trovare un editore). Come il libro, il film affronta il tema della segregazione razziale da un punto di vista tutto domestico – la necessità di costruire un bagno per la cameriera nera “come misura per prevenire le malattie” non va oltre la dimensione privata – eppure ogni piccola regola trasgredita, ogni discorso davanti a un thé o a un pollo fritto, è un’anticipazione di ciò che si sta preparando fuori dalle case. Rischiando la prigione e il linciaggio, le protagoniste Skeeter e Aibileen (Emma Stone e Viola Davis), a cui ben presto si aggiungerà la tenace Minny (Octavia Spencer), decideranno di incontrarsi di nascosto per raccogliere, in un manoscritto, tutti i soprusi e le umiliazioni che hanno dovuto subire negli anni le afro-americane. La pubblicazione di “The Help” (L’Aiuto), pur rigorosamente anonima e con nomi fittizi, avrà l’effetto di un ordigno esplosivo (e di un boomerang), facendo di Skeeter e amiche nere le pioniere di una lotta più ampia e radicale.

Quale il segreto di tanto successo negli Stati Uniti e non solo? Parlando del film, non si può non sottolineare la straordinaria interpretazione di un cast tutto al femminile: se Stone, Davis e Spencer si dimostrano strepitose nel rappresentare l’anima del Sud Anni ’60 ancora viva e palpitante, non da meno sono la camaleontica Chastain – che qui ha le sembianze di una malinconica Marilyn Monroe – e Bryce Dallas Howard, perfetta nei panni della perfida Miss Hilly. C’è poi la capacità del regista (e della scrittrice che ha partorito la storia) di tuffarsi nel passato senza mai perdere di vista il presente. Quanto sono diverse, in fondo, le vite delle cameriere nere di un tempo dalle colf rumene o filippine di oggi? E l’ipocrisia delle aste di beneficenza, nella finzione puntualmente smascherata, non è forse la stessa che aleggia nei nostri salotti? Dopo tante lotte per i diritti civili, quanto siamo cambiati e quanto invece siamo rimasti gli stessi?

Al cinema o leggendo il libro che però, ancora una volta, emoziona più del film, sono queste le domande che vengono in mente. Per vari motivi e soprattutto nella prima parte, “The Help” ricorda pellicole più riuscite come “La lunga strada verso casa” o “Il colore viola” (con Whoopi Goldberg protagonista), peccato che poi si perda nella retorica rendendo il finale eccessivamente zuccheroso. Qualche dubbio anche sulla scelta, pur presente nel romanzo, di alternare i momenti di commozione a quelli di ilarità: quel che sulla carta non stona, sullo schermo rischia di far apparire come una passeggiata il dramma di milioni di persone. Restano le performance delle attrici e le riflessioni di fondo, entrambe valgono il prezzo del biglietto.

Alcuni commenti della critica:

“Il film sarebbe piuttosto prevedibile, non fosse che è illuminato da un cast di interpreti bianche e di colore, una più brava dell’altra”.
A. LK., La Stampa

“The Help ha conquistato il pubblico americano grazie ad un’emotività ben calibrata che nella complicità tra la bianca progressista e le nere rivoluzionarie trova la massima espressione. (…) Andando oltre l’elemento razziale e la formalità applicata, si scopre un sottotesto che trova forza e valenza nella ricostruzione di un universo femminile diviso per nascita eppure unito dalla prigionia di aspettative ed obblighi sociali”.
Tiziana Morganti, Movieplayer.it

“Il regista Tate Taylor si è impegnato a non disturbare il pubblico bianco, ma a divertirlo. (…) Non è che ci si aspetti che i neri di The Help parlino come la Mami di Via col vento, ma, sarà a causa del doppiaggio, tutto quel chiacchierare delle signore nere, più i costanti gridolini delle signore bianche, infastidiscono molto”.
Natalia Aspesi, la Repubblica

“Si ride, si rabbrividisce, si riflette sulla società americana. Il cast rosa è una bomba con Spencer (premiata ai Golden Globe) e una maligna Bryce Dallas Howard in stato di grazia”.
Francesco Alò, Il Messaggero

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