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Roma da Neorealismo rosa per l’opera prima “Qualche nuvola”

Diego (Michele Alhaique) è un ragazzo di borgata: poche certezze le sue, una su tutte il matrimonio con Cinzia (Greta Scarano), la fidanzata di sempre che è cresciuta sul suo stesso pianerottolo, oltre al lavoro di muratore che porta avanti con sacrificio e grande senso di responsabilità. Diego non sceglie, lascia che gli altri – la futura moglie, la madre, la suocera – lo facciano per lui. Ma quando incontra la bella Viola (Aylin Prandi), cugina ricca del datore di lavoro (Pietro Sermonti), a cui il ragazzo ristruttura casa, qualche nuvola comincia a minacciare una storia d’amore che sembrava perfetta. Viola è così diversa dalla sua fidanzata! E’ raffinata, viziata, gioca a fare l’artista folle, ma soprattutto è interessata alle sue “opinioni”. E Diego non ci è abituato.

Opera prima di Saverio Di Biagio, già in concorso a Venezia 68 (nella sezione Controcampo italiano), “Qualche nuvola” è una commedia sentimentale e aspra sull’Italia di oggi. Alternando lunghi piani sequenza a pochi primi piani, il regista ci racconta la Roma reale e le emozioni di chi la vive, con un gioco narrativo e visivo che insiste prima di tutto sui contrasti. C’è il mondo del manovale (il quartiere periferico del Quadraro), con gli spazi un po’ squallidi ma che sanno di familiare, e quello di Viola, fatto di belle case trasteverine, rituali mondani e tanta solitudine. Intorno ai protagonisti, una serie di personaggi ben delineati e ben interpretati: dal pretino che dispensa consigli e qualche scappellotto (il sempre più lanciato Michele Riondino) al capomastro con il sogno comunista (Giorgio Colangeli), dallo scapestrato ma fedele amico d’infanzia (Primo Reggiani) al venditore di letti nel cameo gustosissimo di Elio Germano. Sullo sfondo il Paese della crisi, i sacrifici e i sogni semplici dei giovani di borgata, i miti finti che impone la tv.

“Ho provato a raccontare Roma come Robert Guédiguian è riuscito a raccontare Marsiglia, con i suoi tipi umani e i suoi mille colori”, si legge nelle note di regia. E in effetti, l’immaginario del regista romano ricorda un poco gli operai del recente “Le nevi del Kilimangiaro”, anche se a noi “Qualche nuvola” fa pensare più al Neorealismo rosa dei nostri Cinquanta-Sessanta. Certo Di Biagio non è né Guédiguian né Dino Risi, le sue situazioni abbondano di stereotipi già visti che fanno fatica a trovare uno sbocco alternativo, eppure la struttura del film appare solida, mescola bene il binomio poesia/ironia (la sceneggiatura è tra i finalisti del Premio Solinas 2004) e senz’altro marca un buon inizio per l’ex aiuto regia di Daniele Vicari. Nel progetto indipendente hanno creduto Alberto Leotti, Massimo Di Rocco, Luigi Napoleone e Nicola De Angelis, che lo producono insieme a Valerio Mastandrea e Valentina Avenia. Fandango distribuisce in cinquanta sale italiane, consapevole che dovrà vedersela con un’estate caldissima e con le finali degli Europei. Ma ormai lo sappiamo, a Domenico Procacci & C0. il coraggio non manca.

Alcuni commenti della critica:

“Qualche nuvola ha tutti gli ingredienti per una commedia riuscita, riesce a caratterizzare e a rendere credibili i propri personaggi, evitando lo stereotipo (…) Tuttavia, ci pare un copione già visto, ci piacerebbe infondere un po’ più di coraggio a quei personaggi, auspicando che il registro narrativo cambi rotta, magari per virare su toni meno realistici”.
Luisa Ceretto, MYmovies.it 

“Qualche nuvola ha buone fondamenta drammaturgiche, una discreta architettura di piani-sequenza e qualche extra capitolato alla produzione tricolore (…) La guerra dei sessi non ha le facezie e le iperboli caciarone di Brizzi & Co., ma veritiere dinamiche di genere e un retrogusto amarissimo. Buona e archiviata la prima, dunque, ora si può vedere di più. Di Biagio, aspettiamo la tempesta”.
Federico Pontiggia, Il Fatto Quotidiano 

“L’affetto verso i personaggi che descrive non scade mai nel manicheismo o nel facile abbozzo: non c’è torto o ragione, tra un protagonista in bilico tra due mondi lontanissimi e un’umanità convinta che la vita si esaurisca all’interno dei propri confini di appartenenza (…). Tutti rendono alla perfezione quella vena agrodolce, quel senso di frustrazione che a un tratto, da individuale, sembra farsi collettivo, per poi stemperarsi felicemente nell’ironico finale”.
Gianluigi Ceccarelli, Cinematografo.it 

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