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“Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato”: il ritorno nella Terra di Mezzo

Peter Jackson, dopo l’intera trilogia de “Il Signore degli Anelli”, porta al cinema il prequel della fortunata saga, “Lo Hobbit”, suddividendolo in tre capitoli e trasponendolo in HFR 3D. 


Cosa succede quando una saga finisce? È un po’ come quando si conclude una grande storia d’amore. Si scivola fra le sfumature della tristezza e dell’affetto, dell’attaccamento e della condivisione. Tutto questo perché si è sicuri di non poter rivivere nuovamente quelle stesse esperienze, perché “quelle erano le storie che ti restavano dentro, e come poteva il mondo tornare com’era?”.

Parafrasare il discorso finale di Sam ne “Le Due Torri” probabilmente è un colpo basso, ma rende l’idea. Perché fra i fan e “Il Signore degli Anelli” c’è una grande, ed eterna storia d’amore. Passando fra lo scetticismo dell’adattamento dell’immensa e capillare opera di Tolkien, all’apprezzamento, fino alla passione, si giunge a Gennaio 2004. Arriva nei cinema italiani “Il Ritorno del Re”, il capitolo conclusivo della trilogia de “Il Signore degli Anelli”.

Letteralmente la fine di un’era. E quando un’era si conclude ti strazia la consapevolezza di entrare nel cinema e vedere per l’ultima volta sul grande schermo le immagini dei protagonisti a cui sei rimasto affezionato per anni. Cosa succede allora se dopo otto anni rientri in una sala buia, ti siedi e sei nuovamente nella Contea, appoggiato ad un albero a leggere un libro accompagnato dalla colonna sonora firmata da Howard Shore?
Semplice, ti prende un colpo. E il tuo “io critico” comincia a fumare Erba Pipa del Decumano Sud.

Se per “La Compagnia dell’Anello” le aspettative erano tante, ma provenivano principalmente dai fan, quei nerd incalliti che avevano consumato le diottrie a leggere e rileggere i passaggi nati dalla mente del grande Tolkien per “Lo Hobbit” l’hype era, ed è, centuplicato. Da quando la trilogia ha conquistato il mondo e Hollywood (con 17 iridate statuette complessive, 11 delle quali solo da “Il Ritorno del Re”, al pari di “Ben Hur” e “Titanic”) non solo la comunità fantasy ma il mondo intero è venuto a conoscenza delle avventure dei piccoli Hobbit, e dal loro ritorno al cinema si aspetta tantissimo.

Con questa premessa, e con non poco fiato sul collo, Peter Jackson è risbarcato in Nuova Zelanda e ha riportato in vita la Terra di Mezzo.

L’innovazione tecnologica del regista ha ricoperto un ruolo fondamentale nella prima trilogia. Ne sono un pratico esempio l’introduzione del Motion Capture, utilizzata per dare vita a Gollum, la CGI realizzata dal team delle meraviglie Weta Digital. Da un punto di vista logistico invece la decisione di girare tre film in contemporanea, dimezzando il budget, ha fatto di Peter Jackson un pioniere nel mondo del Cinema.
Per replicare l’impresa nel girare “Lo Hobbit” si è affidato alla tecnologia dell’HFR 3D a 48 fps. Questo non significa che ha cominciato a parlare in Elfico, ma che ha girato il primo kolossal della storia del cinema con 48 fotogrammi per secondo invece dei consueti 24 tipici della pellicola. L’effetto che ne consegue ha una duplice valenza. Da un lato enfatizza la realtà: grazie al supporto del 3D sembra infatti di immergersi completamente nel flusso d’immagini e di essere realmente li in mezzo ai protagonisti. Da una parte però ha un effetto straniante dovuto alla velocità dei movimenti (che diventano più rapidi). Tutto questo si nota di più quando entra in gioco la CGI, ovvero le sequenze realizzate in computer grafica. I visual effect non sono ancora al livello di perfezione che richiede una tecnologia a 48 fotogrammi al secondo, e questo è visibile in determinate scene che più che un film fanno sembrare “Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato” un videogame.
Tutto ciò non toglie il merito innovativo a Peter Jackson, che ancora una volta riesce a stupire.

Rimanendo nel campo dei visual effect otto anni sono tanti in ambito tecnologico e ogni aspetto risulta migliorato notevolmente dalla precedente trilogia. La Motion Capture ha raggiunto un livello di precisione tale che ogni singola espressione di Andy Serkis è impressa in maniera indelebile nel volto di Gollum, e grazie alle nuove tecniche di CGI uno dei personaggi più interessanti, amati e complessi viene appunto reso magistralmente.

Sul fronte narrativo invece occorre fare una breve premessa. Il libro da cui è tratta questa nuova trilogia ha lo spessore, in pagine, di un solo tomo della trilogia dell’Anello. Che cosa ne consegue? Che adattare un testo così piccolo comporta un rallentamento dell’azione e una monotonia maggiore. Peter Jackson, per ovviare a quella naturale dilatazione della narrazione ha introdotto delle vicende raccolte in altri libri di Tolkien, in particolar modo dalle appendici de “Il Ritorno del Re”. Questa integrazione convince, ma non salva totalmente il film, che risente in alcuni tratti di un’esposizione troppo flemmatica.

La colonna sonora è centrale anche in “Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato”. In molte scene che rimandano alla vecchia trilogia la musica di sottofondo di Howard Shore si trasforma, ritornando ad essere quella de “Il Signore degli Anelli”, ed è così che ti si stringe il cuore e fai fatica a trattenere l’emozione.

I rimandi alle altre opere ambientate nella Terra di Mezzo sono talmente tanti che è difficile tenere il conto, ma questo è il punto di forza del film, insieme alla trasposizione, identica, dei dialoghi contenuti nell’opera, rendendo “Lo Hobbit” una perfetta lettura visiva del libro.

Sensazioni contrastanti e un nuovo inizio riportano alle origini del mito, per un viaggio inaspettato che va sicuramente intrapreso.

“Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato” esce nelle sale italiane il 13 dicembre distribuito da Warner Bros.

Alcuni commenti della critica:

“(..) Resta il rimpianto per un film che avrebbe potuto essere e non è stato, soprattutto se confrontato con la trilogia precedente, di cui non trova per prima cosa la forza epica (la sceneggiatura è sempre uguale: incontro con l’ostacolo e superamento, incontro con un nuovo ostacolo e nuovo superamento) e poi quella varietà di toni e di sfumature che avevano conquistato a Talkien anche chi non aveva letto i romanzi. Speriamo nelle prossime due puntate…”.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera

“(…) Il risultato è un film pieno di azione, con momenti divertenti e molto ritmo (…)”.
La Stampa

“Può considerarsi fallimentare un’impresa che rappresenta il massimo dell’eccellenza tecnica di oggi e che è destinata a segnare in ogni caso la futura storia del cinema? Ebbene sì, Lo Hobbit fa anche questo. Il ritorno di Peter Jackson nella Terra di Mezzo è segnato da un paradosso: mantiene alti, molto alti, gli standard del fantasy hollywoodiano, coniugando gigantismo produttivo e piacere della narrazione, stupore infantile e riflessione adulta, intrattenimento di massa e cultura alta, artigianato e digitale, ma inciampa sul passo più ardito, l’esperienza visiva (…).
Gianluca Arnone, Cinematografo.it

“Il film non è coinvolgente ed emozionante quanto Il signore degli anelli, ma stiamo parlando di qualcosa di praticamente impossibile da eguagliare; considerando la natura del progetto e le sue sfide, il risultato non è soddisfacente: è straordinario”.
Alessia Starace, Movieplayer.it

“(…) Putroppo, nel primo capitolo del suo nuovo trittico, Peter Jackson perde di vista il viaggio metaforico di Bilbo Baggins per concentrarsi sia sull’approfondimento, comunque parziale, di altri tredici personaggi , sia sull’invenzione di ganci narrativi ai film del Signore degli anelli. A causa di questa doppia scelta, Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato finisce per soffrire di quelle forzature che spesso caratterizzano le operazioni di franchise e che si riassumono in una certa incompiutezza e in una tensione non risolta (…).
Carola Proto, ComingSoon.it

“(…) Lo Hobbit: Un Viaggio Inaspettato è un’ulteriore conferma delle capacità di Peter Jackson, dimostratosi all’altezza del non facile compito nonostante le sue stesse incertezze. Un Viaggio Inaspettato merita sicuramente una promozione, sebbene non a pieni voti, per l’audacia visiva, la regia curata, l’azione dirompente. Gli affezionatissimi del libro gli riconosceranno un’aderenza esasperata all’epica della trilogia dell’Anello e una lunghezza eccessiva, ma i momenti dal sapore fiabesco e lo splendido scambio nella caverna, vera chiave di volta di tutta la pellicola, sapranno nondimeno affascinarli (…).
Alessia Pelonzi, badtaste.it

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