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“Qualcosa nell’aria”: il post ’68 di Assayas tra politica e arte

Gilles è uno studente parigino che viene contagiato dalla febbre politica dei primi anni ’70 del dopo ‘maggio francese’, ma la sua vera aspirazione è dipingere e realizzare film, nonostante i suoi compagni e la sua fidanzata, totalmente assorbiti dall’impegno politico in senso stretto, non lo comprendano. E’ “Après mai” (in italiano “Qualcosa nell’aria”) di Olivier Assayas, con Clement Metayer, Lola Creton, Felix Armand e Carole Combes.

Presentato in concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, dove ha vinto l’Osella per la sceneggiatura, il film è dichiaratamente autobiografico e racconta la giovinezza del regista francese nel post ’68 sullo sfondo dei movimenti di ribellione dell’epoca. Al racconto storico e sociale dell’epoca, Assayas inframezza estratti di film, poesie di Gregory Corso e canzoni del tempo, creando un affresco personale e affasciante che però funziona a tratti. Con leggerezza e sobrietà e senza cadere troppo nella nostalgia, il regista parla di arte e politica e tratteggia in maniera approfondita dei personaggi affascinanti nelle loro contraddizioni.

Girato tra Francia e Italia (dov’è ambientato per una parte), “Qualcosa nell’aria” è nelle sale dal 16 gennaio distibuito da Officine Ubu in 35 copie.

ALCUNI COMMENTI DELLA CRITICA

Roberto Escobar, L’espresso
“Il merito di Assayas è di raccontarlo, quel tempo, senza assolutizzarne né la generosità né la sterilità. I suoi personaggi non sono tratteggiati in bianco e nero, per così dire, ma con attenzione ai grigi e alle sfumature. (…) Tuttavia qualcosa manca in questo film fatto di memoria. Mancano le emozioni, sia quelle personali sia quelle politiche, troppo spesso surrogate dai comportamenti, dalle ricostruzioni “oggettive” delle atmosfere. Manca la fragilità della vita, cielo o inferno che sia inclinata a diventare”.

Maurizio Porro, Corriere della Sera
“L’autore racconta con scoppi emotivi la gioventù anni 70 con musica d’epoca e l’analisi di un proficuo ralenti intellettuale reso con ottima analisi introspettiva da Clement Métayer”.

Marianna Cappi, MYmovies.it
“La malinconia che si respira nel film è legata alla vivacità culturale del periodo, non alla tristezza politica che lo permeava, e non è una nostalgia eccessiva. Capace come nessun altro di ricostruire un quotidiano passato come fosse qui ed ora, il cinema di Assayas è il cinema del ‘sempre per la prima volta’ e parla chiaramente allo spettatore di oggi, non dal palchetto di legno di un comizio, bensì con il pudore con cui si passa ad un amico un libro o un film che si è amato e che si vuol condividere (in questo senso lo scambio con Un amore di gioventù di Mia Hansen-Love è innegabile e ricercato, al di là della presenza comune di Lola Creton).
‘Non badate alla forma, so che è d’altri tempi: mi direte voi cosa evoca in termini di attualità’, è più o meno la prima frase del film, affidata al professore di liceo, e non potrebbe esserci esergo più esplicito per un film che parla di ‘giovani preoccupati per il loro futuro’ e di una base sociale che non può più pensare di ‘andare avanti così’. Tuttavia Something in the Air non è una bandiera, Assayas non chiama all’appello. Racconta di qualcosa che è dietro le spalle, le cui contraddizioni, però, sono quelle che lo hanno fatto, come uomo e come cineasta. Quale miglior strumento del cinema, dunque, per questa ‘riflessione’?”.

Valerio Sammarco, Cinematografo.it
“Assayas non si nasconde, ‘l’arte è solitudine’ fa dire ad un personaggio del film, ma lotta per un’arte che si faccia portatrice di ricordi e idee. Che contempli l’amore e la natura, la morte e la tristezza, che parta da Terrapin di Syd Barrett (prima traccia del magnifico The Madcap Laughs) e arrivi alla dolente, fantastica Decadence di Kevin Ayers. In mezzo, le poesie di Gregory Corso (I Am 25), estratti di film (Joe Hill di Bo Widerberg, Laos, images sauvées di Madeleine Riffaud, Le courage du people di Jorge Sanjines) e poca innovazione in termini di ‘sintassi’: ma la rivoluzione, si sa, il più delle volte è un’utopia.

Ilaria Feole, Film Tv
“La sceneggiatura è calibrata alla perfezione: l’amarezza s’instilla implacabile mentre la Rivoluzione cede il passo al tempo, e contro il destino non va più nessuno”.

Mauro Corso, FilmUp.com
“Gli elementi classici del racconto di formazione ci sono tutti: i grandi ideali, gli amori adolescenziali, la fascinazione per l’arte e il sogno di cambiare il mondo. Il percorso di Gilles è una ricerca di autoconsapevolezza al di là dei binari ufficiali, non solo della società borghese ma anche dello stesso movimento rivoluzionario. La visione è amara, di chi usa il presente come un comodo punto di vista per giudicare in maniera sentenziosa il passato, ma senza una vera utilità. Anzi, si ha la netta sensazione di assistere a una novella autoreferenziale fatta per vellicare la vanità del regista-autore. A scapito di qualunque forma di autenticità o di comprensione per i personaggi, che diventano delle semplici marionette, utili solo per dimostrare l’erroneità di qualche tesi. Il tutto con un linguaggio e uno stile che dovrebbe essere morto e sepolto, e invece no, questo 68 continua a essere buttato addosso alle nuove generazioni come paragone di tutto quello che è stato allo stesso tempo giusto e sbagliato. Meglio recuperare Fragole e Sangue, almeno aveva l’autenticità del momento”.

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