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Jessica Chastain in versione dark per l’horror “La Madre”

Due bambine spariscono in un bosco dove il padre le aveva accidentalmente portate dopo aver ucciso la moglie. Nel posto in cui trovano rifugio aleggia però una misteriosa ed inquietante presenza con cui le piccole conviveranno per 5 anni, fino al loro ritrovamento da parte dello zio, che non aveva mai smesso di cercare il fratello e le nipoti. Cresciute come selvagge, aggressive, violente e con un limitatissimo vocabolario, le due vanno a vivere con lo zio e la fidanzata (interpretata dalla splendida Jessica Chastain in versione dark con tanto di capelli neri e tatuaggi) ma non sono sole, con loro c’è “La Madre”…

L’idea del film nasce da un cortometraggio di circa 3 minuti, realizzato nel 2008, che mostravano due bambine chiuse in casa, terrorizzate da una spettrale e mostruosa figura materna. Il regista del corto “Mamà” è lo stesso Andrés Muschietti che con questo lungometraggio esordisce sul grande schermo con la benedizione di Guillermo Del Toro, che lo ha prodotto.

“La Madre” offre uno sguardo particolare sulla maternità, sulla fragilità e la paura dell’abbandono legate all’infanzia e a come le colpe dei genitori possano ricadere sui figli, ma ciò non basta a salvare del tutto il film che si sviluppa per 100 minuti su elementi reiterati e scene sempre uguali. A non convincere è anche la presenza (troppo) digitale, artefatta e mal delineata dello spettro, che non inquieta e toglie eccessivamente suspance e mistero.

Dopo il buon successo ottenuto negli Usa (che ha spinto la Universal ad anticiparne l’uscita precedentemente prevista in estate), “La Madre” è nei cinema italiani dal 21 marzo in 233 copie.

ALCUNI COMMENTI DELLA CRITICA:

Serena Nannelli, Il Giornale
Ci sono momenti resi interessanti da intelligenti movimenti della macchina da presa e scene composte con notevoli qualità tecniche e narrative. L’assenza di dettagli raccapriccianti gratuiti concorre a salvaguardare una certa eleganza, ma va detto che questa pellicola non punta mai a turbare nel profondo lo spettatore, bensì a spaventarlo un po’ alla buona con una serie di cliché horror come rumori improvvisi, luci che diventano intermittenti, sbattere di porte e scricchiolii sospetti nell’armadio o sotto il letto. Ad ogni modo l’effetto ottenuto è innegabile: si mantiene desta la sensazione di una minaccia incombente per tutto il lento procedere del film.

Pierpaolo Festa, Film.it
Puntando a un certo romanticismo della paura, La madre – presentato in anteprima al Bif&st – si rivela il solito polpettone pseudo horror a metà strada tra i film asiatici (Ringu e tutti i suoi remake) e le produzioni latine della scuderia di Guillermo del Toro (produttore esecutivo). In altre parole gli spettri in scena vogliono vendicarsi per i soprusi subiti nella loro vita terrena. Si tende dunque a “umanizzare” la figura del baubau con sequenze troppo dilatate e romanzate al fine di creare un’empatia nei confronti della “madre”. Manca il sangue: sono pochi i malcapitati di turno e chi ci lascia le penne tende a farlo fuori campo. Anche il lavoro sulle atmosfere è riuscito a metà: se, infatti, è interessante seguire il cambiamento delle due bambine cresciute nei boschi e diventate selvagge, ad annacquare la paura ci sono i soliti colpi di scena a entrata improvvisa e uno stile visivo “pseudo sporco”. Il film, infatti, dovrebbe grondare di sangue e fango, ma l’uso del digitale non aiuta. E’ così che a poco a poco anche la sceneggiatura comincia ad affondare, fino ad arrivare a soluzioni bizzarre nel finale.

Francesco Lomuscio, FilmUp.com
Quindi, sorvolando su una sceneggiatura – a firma dello stesso regista insieme alla sorella Barbara e a Neil Cross – non sempre convincente, uno spettacolo sicuramente confezionato con notevole professionalità e non privo di momenti capaci di far balzare lo spettatore dalla poltrona, ma che, in fin dei conti, non aggiunge quasi nulla di nuovo a quanto già raccontato su schermo dal genere che ci ha regalato la saga “The ring” e lo spagnolo “The orphanage” (2007).

Gianluca Arnone, Cinematografo.it
L’horror non sbava per le novità. Può non sorprendere e suscitare nondimeno spavento. Alla paura serve il “come”, non il “che cosa”. Il buio che cela la minaccia, non la minaccia. Così è la ghost-story che Muschietti dirige fiabescamente à la Del Toro (produttore), derivativa sì ma capace di suggestionare grazie a pochi, vecchi trucchi che usa con sagacia. Film tutto atmosfere. E psicoanalitico e un tantino manierista. Ma che importa?

Rudy Salvagnini, MYmovies.it
L’andamento è lento e minaccioso, ma anche se il ritmo non è tumultuoso, non c’è momento in cui la tensione, sotterranea o evidente, manchi. Iconograficamente il film è ricercato e di impatto: dall’uso straniante dei disegni dei bambini al bizzarro e selvaggio modo di muoversi di Lilly, tutto congiura a creare disagio, mistero. L’immagine del fantasma, scricchiolii e ossa crocchianti, richiama gli omologhi giapponesi, da Ring a Ju-On: The Grudge, con efficacia immutata se pur senza la stessa originalità.
Il finale è opportunamente tonitruante, ma pecca di eccesso di melodramma: pur senza deludere del tutto, risulta un po’ troppo facile e prevedibile. Sotto la sapiente supervisione di Guillermo del Toro, Andy Muschetti esordisce positivamente nel lungometraggio, ma si era già fatto notare con un fulminante cortometraggio, Mamà, che è direttamente all’origine di questo film e ne conteneva in nuce lo spirito (letteralmente).

 

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