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RB Casting dà il Benvenuto a Paolo Calabresi

Intervista esclusiva a Paolo Calabresi

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Teatro, cinema, tv, fiction: Paolo Calabresi è uno di quegli attori istrionici e completi che riesce ad essere credibile e al contempo autentico in tutti i ruoli che interpreta. L’abbiamo amato nei panni di Augusto Biascica in “Boris” , così come nel ruolo di Benedetto Giulente ne “I Vicerè”, progetto a lui molto caro. E’ decisamente un momento fortunato per lui. E’ in scena a teatro con lo spettacolo “Nuda proprietà”, scritto da Lidia Ravera per la regia di Emanuela Giordano. Al suo fianco una sempre bravissima Lella Costa. Inoltre è tra i protagonisti di “Smetto quando voglio”, la tanto chiacchierata opera prima di Sydney Sibilia, dal 6 Febbraio nelle sale, una divertente commedia ispirata alla dura realtà del precariato, “ma non è un film di denuncia, non si prende sul serio e non è pretestuoso” ci tiene a sottolineare Paolo, che interpreta il ruolo dell’archeologo ricercatore disoccupato e, pur di lavorare, assiste alle trivellazioni urbane degli operai, scroccando loro il panino. Inoltre, compare in un cammeo in “Tutta colpa di Freud” di Paolo Genovese, in questi giorni al cinema.

Sospettavo, e in fondo lo speravo, che l’intervista avrebbe subito preso una piega ironica. Infatti così è stato.

Nuda-Proprietà-Costa-Calabresi-9595So che sei in scena, parliamo subito dello spettacolo.
Sono in scena già da un po’ con “Nuda proprietà” scritto da Lidia Ravera, con Lella Costa. Ci sono anche due altri attori, Claudia Gusmano e Marco Palvetti ma sono giovani quindi “’sti cazzi”, possono aspettare per il loro momento di gloria. Trattiamoli da schiavi e facciamoli soffrire (ride, ndr).

Ecco, cominciamo subito con la vena che speravo. Parlami del tuo personaggio nello spettacolo.
Carlo è uno psichiatra, sfrattato da uno studio è costretto a trasferirsi da un’altra parte. Affittando una nuova stanza, si imbatte in Iris. Tra i due nascerà una relazione improbabile, messa a dura prova dalla scoperta di un tumore che colpisce Carlo. Lo spettacolo nasce con i toni della commedia ma man mano diventa qualcosa di più serio. La storia prende una piega diversa per ruotare intorno ad una bellissima relazione sentimentale tra questi due protagonisti, lui un po’ più giovane, lei un po’ più avanti negli anni. Diventa una riflessione sul tempo che passa, su come vivere il presente. Una bellissima storia molto profonda. Sono davvero contento di questo spettacolo. Tiro fuori delle corde, magari il pubblico mi conosce per delle cose diverse…

Ti sei trovato a tuo agio? Su cosa hai lavorato per sviluppare il personaggio?
Agli attori non bisognerebbe mai chiedere cosa hanno fatto e cosa pensano del personaggio. Non so su cosa ho lavorato. So che il personaggio ha lavorato su di me, tirandomi fuori delle fragilità che forse non avevo tirato fuori in tutte le esperienze teatrali vissute fino ad oggi, che sono tantissime. E’ un ruolo molto tenero, molto dolce, è un uomo che parla poco. Lei parla un sacco, rompe il cazzo dall’inizio alla fine. Lui è silenzioso perché essendo uno psicanalista, è abituato a far parlare gli altri.

Poi la donna che rompe rispecchia un po’ la realtà, in fondo.
Sono contento che sia proprio tu a dirlo.

Fino a quando sarà in scena lo spettacolo?
Fino al 31 Marzo, poi siamo al Teatro Carcano. Quest’anno a Roma non veniamo, verremo la stagione prossima.

Paolo-Calabresi-Edoardo-Leo-Smetto-Quando-Voglio-33930Parlami di “Smetto quando voglio”.
E’ un film che sono riuscito finalmente a vedere e mi/ci ha stupito tutti dal primo giorno di riprese. Pur essendo un’opera prima, ha delle malizie che generalmente un regista alla sua opera prima non ha. E’ una commedia molto divertente, molto ritmata che non indugia su se stessa, non si compiace di quello che è. E’ molto essenziale ed è un’altra dote che i giovani registi non hanno. Sibilia mi ha stupito in questo. Pur essendo molto giovane e molto napoletano, è un regista che va al sodo e questa è una gran virtù che si riflette sul film. Il soggetto parte da uno spunto che è socialmente molto importante, anche tragico se vuoi per certi aspetti. E’ una piaga sociale quella dei ricercatori che non trovano lavoro però non è un film di denuncia, è una commedia. E si ride dall’inizio alla fine. In questo senso sono difficile di gusti, non rido facilmente soprattutto nei miei progetti. Anche in “Boris” io rido per altro. Insomma, trovare dei progetti in cui mi sono trovato proprio bene, non solo a girarlo ma anche a riguardarlo, non è facile per me. Mi sembra proprio un film da vedere. Finalmente una commedia che non è pretestuosa.

Riguardo al tuo personaggio cosa puoi anticiparmi.
Lui è uno dei tanti, sia nel film ma anche nella nostra società. E’ uno dei reietti. Uno si fa un mazzo così, ha studiato e laureato a pieni voti, è preparatissimo, però si trova a fare un lavoro lontanissimo da quelle che sono le sue potenzialità. E’ un archeologo e viene trasportato in una banda e in tutte le avventure che ne scaturiscono, quasi per forza, perché non è neanche una prima scelta lui. Alla banda serve qualcuno che abbia un furgoncino con il permesso per girare nel centro della città. E siccome io ho quello del Ministero dei Beni Culturali vengo messo in mezzo a questa storia. Alla fine, anche io faccio la mia parte ma fondamentalmente sono uno sfigato.
E’ immediato appassionarsi a questa storia. E’ buffo assistere allo sviluppo della banda che da sfigati diventano ricchi, si tramutano in spacciatori e all’improvviso hanno tutta questa disponibilità di denaro, così come ce l’hanno tutti gli spacciatori ovviamente. Ad un certo punto, poi, l’archeologo che interpreto acquisisce sicurezza in se stesso e decide di tatuarsi, ed essendo appassionato di archeologia si tatua una cosa che nessuno capisce cosa sia, una terribile aquila sul collo.

L’atmosfera sul set immagino sia stata gioviale.
E vorrei vedere. Quando sul set ci stanno Aprea, Sermonti, Edoardo Leo, Stefano Fresi che t’aspetti. Con Edoardo ho finito di girare un film che esce subito dopo e che si chiama “Ti ricordi di me” con la regia di Rolando Ravello, in cui siamo i 4 protagonisti con Ambra Angiolini e Susy Laude. Insomma in questi mesi ho lavorato quasi solo con Edo. Non ho ancora avuto modo di vedere il film quindi non posso dirti delle impressioni post set ma conosco molto bene la sceneggiatura. Anche Ravello è stata una gran bella scoperta perché non avevamo mai lavorato insieme. Lui è al suo secondo film e sono molto curioso di vederlo, anche questa una commedia molto intelligente. Sembra che, per fortuna, ci si stia allontanando sempre di più da prodotti che vogliono far ridere pretestuosamente quindi senza una storia credibile e un minimo di poesia. Sono contento. L’altra sera sono andato a vedere “Tutta colpa di Freud” dove ho fatto una parte piccolissima, un cammeo, mi sembra che Genovese sia riuscito a mantenere la stessa qualità che aveva ne “La famiglia perfetta” pur facendo botteghino, quindi possiamo essere ottimisti sulla nuova via del cinema.

Paolo-Calabresi-377373A tal proposito, come è nato l’incontro con Genovese?
Paolo lo conoscevo già da tempo perché quando ho fatto le cose che ritengo cruciali per la mia carriera, cioè i travestimenti, avevo ricevuto una corte spietata da Paolo e da Luca Miniero (quando lavoravano ancora insieme come registi); volevamo fare un docufilm su questo attore pazzo che ad un certo punto per raggiungere la popolarità decide di fingersi Nicolas Cage. E’ stato un progetto che poi non si è mai fatto però in quell’occasione abbiamo avuto modo di conoscerci molto bene. Di loro due ho amato subito l’arguzia e la raffinatezza con le quali affrontavano le cose. Poi si sono separati ma devo dire che Paolo ha sempre conservato questa grande capacità di fare dei progetti commerciali allo stesso tempo molto accattivanti, intelligenti e raffinati. E “Tutta colpa di Freud” secondo me è la cosa migliore che abbia fatto. E’ un film malinconico che però permette di continuare a ridere. Sono sfumature di mélange che raramente si riescono a trovare in prodotti cinematografici ultimamente.

emilio-solfrizzi-e-paolo-calabresi-gli-anni-spezzati-7474Parlando de “Gli Anni Spezzati” qual è stata la sensazione nel ricreare un clima come quello del terrorismo anni ’70?
Ho affrontato il ruolo cercando di non farmi condizionare. Sono stato abbastanza contento. Generalmente, sono uno che quando si rivede cambia canale mentre in questo caso mi sembra che sia riuscito a dare una certa purezza nell’affrontare il personaggio. E credo che valga per tutto il prodotto. Se ti riferisci a tutte le polemiche che ne sono conseguite, erano inevitabili che nascessero, considerando l’argomento e considerando anche che ci sono un sacco di riferimenti cinematografici e televisivi che ne parlano.

Partiamo comunque dal presupposto che questo è un prodotto per la tv, da prima serata, e per un certo target…
Ma infatti, per essere un prodotto per la televisione l’ho trovato onestissimo. Capisco una sola delle critiche che mi è stata fatta, forse quella più intelligente, e cioè che non ho preso una posizione. E allora perché farlo? Quella di non prendere una posizione, per un prodotto che è rivolto ad un servizio pubblico, è una critica che si può fare al film. Poi ci sono scelte che sono opinabili, ma come tante altre al mondo, come la scelta della fotografia, la bravura degli attori, etc.

paolo-calabresi-e-biascica-in-boris-il-film-198041Dici che non ti piace rivederti. E’ successo anche con Boris?
E’ stata una delle esperienze che mi ha permesso di affrontarmi con generosità, con più comprensione perché Biascica lo amo talmente tanto, pur guardandolo come diverso da me stesso, che lo farei ogni anno. Come quelli che “se vanno a disintossica’”, io lo fare ogni anno per due mesi così sarei in grado anche di fare il mio lavoro normale.

E sono quasi sicura di poter affermare che in molti lo vorrebbero rivedere ogni anno. Io per prima spero in un sequel. Sembra che Biascica sia proprio tu, non riesco a immaginarlo diversamente.
Ma sì, perché poi è un personaggio che mi assomiglia, in certe cose io sono così. Biascica è un orsacchiotto in un corpo da Yeti, è un uomo di una fragilità impressionante.

Non voglio essere retorica ma quanto è stato importante per te un personaggio come Biascica, per tutto quello che è venuto dopo?
Il mio percorso professionale è molto anomalo. Ho iniziato facendo il teatro, quello serio, quello di ricerca, ho fatto il Piccolo Teatro di Milano, poi Roma, dai piccoli ruoli a quelli grossi. Dopo la morte di Strehler ho avuto un po’ di ripensamenti, di paure, come una perdita di significato e stranamente in quel periodo ho fatto il primo scherzo famoso, quando mi sono finto Nicolas Cage e sono andato allo stadio. Questa esperienza ha cominciato a darmi l’idea che potevo fare questo mestiere anche in un altro modo. Quel giorno io volevo solo andare a vedere la partita, ma poi ho fatto qualcosa di più, ho sentito che stavo facendo il mio mestiere. Mi ero finto qualcun altro, e l’attore questo fa, si finge qualcun altro. E gli altri ci credono, questo è il lavoro dell’attore per me. Quindi mi son fatto prendere da questa malattia, prima una volta all’anno, poi sempre con ritmi più ravvicinati, dopo qualche mese, ho cominciato a imitare e fingere di essere tanti personaggi realmente esistenti in situazioni reali. Lo facevo per me stesso. Fino a che non è diventato un programma che si chiamava “Italian Job”, durato solo un anno perché la gente iniziava ad alzare il polverone e La7 non ce l’aveva tutto ‘sto coraggio per andare avanti. Finché non mi hanno preso a “Le Iene” e lì è iniziato il mio percorso televisivo. Parallelamente ad “Italian Job”, che è stato il mio periodo di maggior creatività, sotto quell’aspetto, facevo anche “Boris”, e quindi è stato un periodo in cui ho prodotto veramente tanto. Facevo le due cose insieme e ho tirato fuori molta creatività.

Una bella commistione di energia, immagino.
Sì, infatti ero molto stanco ma molto soddisfatto e pieno di vita. In quel periodo mi portavano da un set all’altro, perché poi il produttore era lo stesso. “Italian Job” l’ha prodotto Lorenzo Mieli, così come “Boris”. Credo che quello che mi ha dato riconoscimento più che popolarità (la grande popolarità mi è arrivata con “Le Iene” ma non è quella che mi ha dato la differenza) è stato l’essere riconosciuto come un bravo attore. Ho sentito di aver stupito gli altri, come se avessi seminato in diversi orticelli e fossero la nate le piantine un po’ dappertutto. Ancora oggi, mi dispiace lasciarne morire una piuttosto che l’altra. Questo è il motivo per cui continuo a far teatro, a fare televisione, e parallelamente continuo a fare fiction, film e altro. Biascica mi ha dato tantissimo in questo senso. Quando lavori sullo stupore delle persone, devi sempre prenderle in contro piede. Devi essere in grado di spiazzare la gente. Il problema in Italia è che di molti attori sai già esattamente che cosa faranno. Perché tanto più di quello non possono fare. Ci sono tanti attori che ripropongono la stessa cosa, più o meno. Invece ce ne sono altri, pochi per fortuna, che riescono a fare cose molto diverse tra loro. E questo è quello che io voglio fare nella vita.

Anche questo fa in modo che un attore sia riconoscibile in termini di qualità.
Aspetta, c’è differenza tra l’essere riconoscibile e l’essere riconosciuto. A volte diventa molto più riconoscibile una che fa “CentoVetrine”, mentre io voglio essere riconosciuto per la qualità. Cioè una cosa è la riconoscibilità tra il grande pubblico, una cosa è l’essere riconosciuto tra gli addetti ai lavori per uno che sa fare cose diverse tra loro.

Parlando invece di “Nessuno mi può giudicare” con Massimiliano Bruno, come è andata?
In verità non posso dirti molto, la mia permanenza sul set è stata brevissima. Max mi aveva chiesto di fare una piccola cosa, in realtà dovevo toccare il culo alla Cortellesi ed è stato questo il motivo per il quale l’ho fatto. E’ un film dove Max ha saputo mettere molto di se stesso, molta tenerezza, molta apertura verso gli altri, molto di lui davvero. Un film accogliente che ha avuto il giusto successo proprio per questo motivo.

111-Paolo-CalabresiQual è l’esperienza a te più cara?
La cosa più importante che ho fatto al cinema forse è stato “I Vicerè” di Faenza. Quello è stato un film in cui ho potuto portare tutta la mia esperienza e il mio vissuto di attore drammatico, di teatro. Interpreto un uomo senza gamba, un film bellissimo secondo me che ha avuto meno di quanto meritasse. Faenza ha bisogno di attori che siano molto autonomi, è un regista non facile con il quale lavorare, soprattutto se sei un attore che ha bisogno di molte indicazioni. Sceneggiatura di spessore e grande consapevolezza di quello che si stava girando. Un uomo di una cultura non comune ma applicata anche all’immagine, non è soltanto un intellettuale. E’ stata una bellissima esperienza lavorare con lui. Sono anche molto contento del mio personaggio; un film in costume e molto teatrale…

Invece qual è stata la prova più difficile?
Eh, bella domanda. Ammiro molto gli attori che sanno essere credibili in prodotti non proprio di alto livello piuttosto che gli attori che lavorano bene, ovviamente, ma solo con grandi registi. Anche io sono bravo a fare una bella figura nel film di Sorrentino. Ma è difficile essere credibile con sceneggiature scritte male da sceneggiatori sotto pagati. Allora sulla scena che fai? O ti metti a riscrivere o ti accontenti, e se ti accontenti è difficile essere credibile. Le cose più difficili che ho fatto sono quelle in cui il prodotto di partenza non era ben scritto soprattutto in termini di sceneggiatura. La lunga serialità in tv per me è molto ostica perché ci devi lavorare tanto, anche in termini autoriali. L’attore diventa autore di se stesso per diventare multistrato, credibile e profondo.

C’è qualcuno a cui senti di dover dire grazie?
Devo dire grazie a Fiamma che è la mia compagna, oltre che mia moglie e la madre dei miei figli perché quando ho cominciato a travestirmi…aspe’…occhio a come scrivi sta cosa (ride, ndr)…meglio dire quando ho cominciato a fingermi qualcun altro, senza un appoggio produttivo senza una trasmissione televisiva, era un investimento sul nulla. Tutti mi dicevano che ero pazzo, che mi sarei fatto dei nemici, che era una follia fingermi John Turturro ai David di Donatello (come poi ho fatto), con la Rai presente, e consegnare un premio per il miglior film straniero. Eppure io sentivo che questa cosa la dovevo fare. In tutto questo mia moglie mi ha sempre sostenuto. E i primi tempi abbiamo usato i soldi nostri per comprare i trucchi e i costumi. Era un investimento folle e rischioso.

nicholas-cage-paolo-calabresi-393993Un investimento, però, che ti ha portato lontano. Teatro, tv, fiction, pubblicità, anche regia. Cosa ti manca per chiudere il cerchio.
Devo fare due cose, prima o poi. Fare uno spettacolo a teatro in cui faccio vedere in diretta tutte queste follie che ho fatto e raccontarle. Sono circa 20 personaggi e le persone non se li ricordano, a parte Nicolas Cage e il Cardinale intervenuto sul palco al concerto di Gigi D’Alessio.
Poi vorrei passare alla regia teatrale e per il resto devo continuare a fare quello che sto facendo perché questo lavoro lo faccio con grande sofferenza e passione, e se fai così non puoi sbagliare. E’ un lavoro che puoi fare solo se non puoi farne a meno.

1 commento

  1. attore meravigliosamente poliedrico e pieno di inaspettate emozioni! Grande Paolo! Nella tua intervista affermi che ne I Vicerè hai potuto portare tutta la tua esperienza teatrale…. condivido il pensiero in pieno … Un film in costume è un grande sogno anche per me. Raccontare la storia vissuta nei secoli con attori di spessore come te è viverla di nuovo. Grazie

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