Home Uncategorized Adelmo Togliani: “Sono un nostalgico, avevo l’esigenza di raccontare gli anni ’80”

Adelmo Togliani: “Sono un nostalgico, avevo l’esigenza di raccontare gli anni ’80”

La nostra intervista al regista de “L’Uomo Volante”

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“Volevo raccontare come questi anni ci abbiano fatto delle promesse che poi sono risultate dei sogni infranti”. “L’Uomo Volante” pone degli interrogativi interessanti anche se al momento è solo una clip di 25 minuti, “sperando di realizzarne presto un film”. Comincia così Adelmo Togliani, già attore e regista di documentari, videoclip e mediometraggi, ora all’esordio con un corto da lui scritto – a quattro mani con Elena Tommasini – e diretto con sensibilità, capace di restituirci una storia che dagli anni ’80, appunto, giunge fino ai giorni nostri attraverso la storia di due ragazzi, delle loro passioni, dei loro incontri e di un amore nella sua dimensione ancora “analogica”. Sullo schermo rivivono così gli anni di “Drive In”, di Mike Bongiorno e degli Spandau Ballet, anni nei quali la tecnologia non dominava e le relazioni erano “reali”, non filtrate da un social network. Nel cast Bianca Guaccero, Chiara Ricci e lo stesso Togliani.

Non semplice la realizzazione del mediometraggio: “Insieme a Laura Beretta mi sono occupato di product placement, un lavoro non facile perché abbiamo dovuto dismettere i panni degli artisti e fare gli imprenditori – ha continuato il regista – le aziende che ci hanno supportato sono inserite nel film con una logica del vintage, ci siamo chiesti cosa fossero diventati quei marchi con i quali siamo cresciuti negli anni ’80 e ’90”. Oltre al contributo degli sponsor, il cortometraggio ha visto anche la partecipazione del MiBACT – Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo che ne ha riconosciuto il valore di interesse culturale.

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Come è nata l’idea de “L’Uomo Volante”?
Prima di tutto, il progetto nasce come un lungometraggio. Il corto è una sorta di spin-off, racconta tutto quello che succede prima del film ed è incredibile, perché adesso tutti vogliono vedere il film e sembra che siamo riusciti ad ottenere l’interesse che volevamo. Siamo riusciti a compiere quest’operazione. Il progetto nasce nel 2006 e parte da uno spot pubblicitario attorno al quale ruota l’esistenza del nostro protagonista, che nel corto è solo accennato mentre lo vedremo sviluppato nella versione lunga del film. Lo spot del film nasce da uno spunto auto-biografico: sono stato testimonial di una campagna pubblicitaria alla fine degli anni ‘90 e per anni la gente mi fermava per strada solo per quello! Curioso che il protagonista del film “Birdman” viva la stessa situazione…

Perché proprio gli anni ’80?
Io ed Elena Tommasini siamo in realtà due nostalgici degli anni ’80 e avevamo questa esigenza narrativa: raccontare come noi abbiamo vissuto l’amore, come abbiamo vissuto la nostra adolescenza. E’ stata una riflessione su cosa siamo diventati e come ci ha influenzato questa decade, come abbiamo vissuto, cioè, il passaggio tra l’analogico e il digitale. Noi siamo l’ultima generazione che può raccontare questo cambiamento perché dagli anni ’90 in poi si è iniziato a parlare di cultura liquida. Scompaiono i vinili e le cassette e non si possono più toccare questo oggetti. Secondo me è una riflessione importante, considerando che ogni periodo storico ha i suoi pro e i suoi contro. Noi ovviamente abbiamo vissuto questo e possiamo raccontarlo, forse proprio guardando le generazioni più giovani di noi e chiedendoci come mai non giochino più a calcio contro il muro di casa. E’ una cosa che vediamo sempre meno nelle grandi città. Poi molte cose che sono raccontate nel corto, sono espanse nel film.

Di fatto stai già lavorando al film? Qual è il prossimo step?
Adesso abbiamo una serie di appuntamenti con probabili investitori. La presentazione a Roma è andata molto bene in termini di pubblico e addetti ai lavori ed il riscontro molto positivo. E’ ovvio che il nostro obiettivo è quello di fare il film. Esiste una stesura e una prima bozza. Si sa che oggi i film sono tutti dei collecting e se domani incontro un probabile investitore arabo, è ovvio che avrà delle esigenze (ride, ndr). Questo potrebbe un po’ correggere il tiro o la decisione di strutturare il film. Potrebbero cambiare delle location, o situazioni in fasi di scrittura. Ma il nostro mondo funziona così, oggi ancora di più, perché non esiste un solo produttore ma tanti: esistono gli enti, gli investitori, i product placement di cui noi ci siamo avvalsi nel cortometraggio. E ognuno di loro ha delle richieste.

Qual è stata la difficoltà più grande nel realizzare questo film, a livello di produzione e di regia?
A livello di produzione, quella di dover avere la copertura economica adeguata perché ci sono molti minori nel film, moltissime location. Abbiamo cambiato location una volta al giorno tutti i giorni e a volte abbiamo girato anche in due posti differenti. E’ un micro film molto ricco. La chiusura del budget prima dell’organizzazione è stata la fase più delicata, perché comunque è un progetto complesso che include diversi periodi storici ricostruiti. Abbiamo coperto 3 decadi, cambiando di conseguenza costumi e drammaturgia, l’allestimento scenografico e lo svolgimento delle battute, il tono, la scrittura stessa. Come puoi immaginare rappresenta uno sforzo notevole per tutti quanti. Ho avuto l’onore di lavorare con dei professionisti, non so come avrei potuto fare senza alcune figure. Sono scogli che ho potuto superare brillantemente.

Stai già pensando a nuovi progetti?
Sì, sto preparando due cose. Uno sarà un film immersivo a 360°, è un po’ complesso da spiegare, sarà fruibile tramite l’ausilio di un casco. E l’altro è “Vita da avatar”, sempre con Elena Tommasini. Abbiamo reperito i fondi necessari per mettere in pratica un’idea e raccontare quello che succede ai personaggi dei videogiochi quando spegni la consolle. Tutto un mondo a parte, sulla scia di “Ralph Spaccatutto” della Walt Disney. Il nostro film però, è fatto con attori veri in carne e ossa. E’ il mondo dei chip e dei computer che incontra il mondo reale.

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