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“Piccoli equivoci” con Montanari, Fleri, Meconi, De Martino, Egitto e Martino

Al teatro Piccolo Eliseo Patroni Griffi di Roma, dal 15 febbraio al 6 marzo, sono di scena Francesco Montanari, Diane Fleri, Mauro MeconiDaniele De Martino, Stella Egitto e Francesco Martino, con lo spettacolo “Piccoli equivoci”, per la regia di Claudio Bigagli.

Note di regia e di qualcos’altro
Cominciando a scrivere questa scheda mi sono accorto che “Piccoli Equivoci” ha le stesse iniziali del Piccolo Eliseo, quindi si vede che era destinato a rivedere la luce in questo teatro. Andò in scena per la prima volta al Festival di Spoleto nel 1986 prodotto da Carlo Molfese, con la regia di Franco Però ed ebbe un grande successo, che mi valse il premio Taormina Arte come opera prima, dedicato anche a tutta la compagnia di cui voglio ricordare almeno Sergio Castellitto ed Elisabetta Pozzi. Divenne poi il primo film di Ricky Tognazzi, che vinse il David come regista esordiente. Inoltre, negli anni, il testo è diventato materia di studio e di esercizio all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica, che è stata anche la mia scuola.

E’ una storia molto divertente e amara, a momenti toccante e quasi tragica. I protagonisti sono dei giovani attori, ma si parla poco del mestiere, se ne parla quasi per incidente, quando non si riesce a dirsi altro. Il tema centrale sono i sentimenti, l’amore, l’amicizia, quanto sia giusto sacrificare di quello che di buono abbiamo dentro per soddisfare il proprio interesse. Temi etici, morali, che sono sempre più al centro del nostro vivere civile, ai quali Paolo, nevrotico fino al paradosso, cerca di dare un ordine, un senso, innescando però una scombinata girandola che spiazza e sorprende il pubblico (di solito) e gli altri personaggi.

Se per ogni scrittore c’è un’opera fondamentale che meglio lo rappresenta, la mia è sicuramente “Piccoli equivoci”, la prima commedia che ho scritto e quella che mi è venuta meglio. Ogni volta che scrivo qualcosa di nuovo mi ci confronto, e provo uno strano senso di gelosia quando mi rendo conto che non ce la faccio a superarla. Paradossale, perché è di me che sono geloso, ma non posso farci niente. Forse perché mi ricordo del piacere che ho provato scrivendola e che probabilmente non proverò mai più, poiché è legato alla giovinezza, ai trent’anni, all’età dei miei personaggi.

“Piccoli equivoci” è stata un’esperienza speciale e mi sono sempre detto che l’avrei rivissuta solo se ci fossero state le condizioni giuste. Ho dovuto aspettare venticinque anni. Ed eccola qua, l’occasione: un giovane produttore, Robert Schiavoni, che me la propone con entusiasmo, nonostante le condizioni sempre più difficili del teatro italiano, sei attori perfetti per il ruolo che si buttano nell’impresa nonostante i sacrifici a cui vanno incontro, un teatro di prestigio come il Piccolo Eliseo, all’interno della bella rassegna di Orazio Torrisi, e il gioco è fatto. Non poteva capitarmi di meglio.

E torno sugli attori, perché gli attori, in teatro, almeno nel teatro che piace a me, sono tutto. A mio avviso non esiste spettacolo teatrale che abbia un senso senza dei bravi attori, non esiste scrittura scenica qualsivoglia, se loro, gli esseri umani che agiscono, non mi comunicano niente, se non vedo e non sento passare anche dal più piccolo gesto l’energia che riesce a comunicare solo un attore che è dotato e che ha studiato con caparbietà e con passione per comunicarmelo.

Attori, attori, attori! Finalmente ho avuto la possibilità di scegliere e di lavorare con degli attori che avessero come unica caratteristica quella di essere bravi e giusti per il ruolo. Dovrebbe essere la regola, e invece è diventata una rarità vedere delle persone giuste nei posti giusti, nel nostro paese.

Il mio lavoro si è concentrato principalmente su di loro. Essendo anch’io un attore, e sapendo cosa vuol dire essere fisicamente su un palcoscenico, conoscendo bene le ansie e le insicurezze che vengono, ho fatto in modo che vivessero un esperienza il più piacevole possibile. L’unica cosa che ho chiesto è che arrivassero alle prove preparati perché volevo cominciare subito a provare in piedi, come ho imparato da Otomar Krejca, quando mi ha diretto nelle “Tre sorelle”, molti anni fa. E loro sono arrivati con la parte a memoria e così abbiamo cominciato a muoverci sul palcoscenico fino dal secondo giorno, a trovare i rapporti fra i personaggi, che sono sempre dei rapporti fisici prima di tutto, dei rapporti di spazio. Come non comincio mai a scrivere una scena senza pensarla in uno spazio ben definito, anche se poi, magari non lo descrivo esplicitamente, non potrei mai impostare una scena con degli attori senza disporli in un ambiente, fra variabili fisse o mobili che possono essere gli oggetti o gli altri personaggi.

E per ambiente, in questo caso, per la scena, ho richiesto al mio scenografo la prova più difficile, ovvero la semplicità. Avevo in mente, da anni, ogni volta che pensavo a questo spettacolo, che avrei voluto che si svolgesse su un palcoscenico nudo, che si sentisse il teatro, anche perché i personaggi sono degli attori, quindi, in qualche modo ci sarebbe stata una coerenza, una identificazione immediata, da parte del pubblico, e anche da parte di loro stessi, con il loro mestiere.

Il lavoro che ho fatto con Umberto Di Nino, che firma anche i costumi, è stato lungo e faticoso, forse impensabile per chi vedrà la sintesi a cui siamo arrivati, ma ne è valsa la pena. Ne sono veramente molto contento, perché è una scena che si trasforma a seconda dei teatri in cui andiamo, acquisendone i pregi e i difetti, che però non sono casuali, ma, di volta in volta, una nostra scelta, esaltati, o nascosti, dalla sapienza di un vero maestro della luce come Sergio Rossi.

Le musiche praticamente non ci sono. Solo qualche accenno dalla radio o dalla televisione. Per il resto, ogni tanto, rumori di fondo.

Ma voglio tornare sugli attori. Questi ragazzi – e purtroppo, per la mia età, posso permettermi di chiamarli così – sono riusciti a darmi delle emozioni che non provavo da molto tempo. Mi hanno fatto capire, con evidenza, che anche se io sono invecchiato, i miei personaggi sono ancora lì intatti e si fanno ascoltare con una certa forza, sanno ancora dare gioia e dolore e un po’ di senso a questo lavoro che mi sono scelto. Questo senso, questa gioia che abbiamo provato noi a fare questo spettacolo, spero proprio di riuscire a comunicarla.

Claudio Bigagli

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