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L’insostenibile costo dell’acqua gratuita

Ci ostiniamo a ritenere che l’acqua debba essere abbondante e sostanzialmente gratuita, come è accaduto nei paesi sviluppati nell’ultimo secolo. Ma l’acqua, che pure non scompare, si sposta, a seguito dei cambiamenti climatici, in direzioni diverse da quelle delle migrazioni umane, si sporca fino a diventare inutilizzabile a causa della nostra incuria, viene sottratta agli usi tradizionali dalle dighe e deviata dai canali. Il risultato è una serie infinita di crisi locali dell’acqua, che devono essere risolte su base locale con buone idee, buona politica e la consapevolezza che l’acqua gratuita comporta costi insostenibili anche per chi la usa.

Ad affermarlo, e a farlo vedere attraverso un viaggio partito dagli stabilimenti bergamaschi della San Pellegrino per toccare Stati Uniti, Australia, India e Isole Fiji, è Charles Fishman, giornalista di Fast Company e già autore di “Effetto Wal-Mart”, nel suo “La grande sete. L’era della scommessa sull’acqua” (Egea 2011).

Il libro brulica di informazioni e curiosità (la gran parte dell’acqua ad uso domestico, per esempio, se ne va dallo sciacquone) che aiutano a mettere a fuoco un problema che non possiamo permetterci di sottovalutare. Anche in Europa, città come Barcellona hanno sofferto la sete, arrivando a farsi portare l’acqua via nave, e scoprendo così l’inutilità di ogni soluzione che prescinda dalla dimensione locale. Ma sono realtà come quella dell’Australia, che ha sofferto un intero decennio di siccità dopo un secolo che l’aveva abituata all’abbondanza, o di Las Vegas, che vanta le più spettacolari fontane del mondo pur sorgendo in mezzo a un deserto, a far presagire il nostro futuro.

E si tratta di un futuro plasmato dalle decisioni politiche: dalla capacità o incapacità di gestire una rete idrica che necessita di investimenti continui, dalla disponibilità di accollarsi i costi degli impianti di desalinizzazione, dalle abilità comunicative necessarie a convincere i cittadini a bere acqua riciclata dal sistema fognario, nettamente più pulita di quella di qualsiasi falda, ma insomma…

Senza assegnare all’acqua un prezzo realistico, sostiene Fishman, continueremo a pagare i costi di manutenzione di reti idriche ridotte a un colabrodo (in Italia perdono tra il 30 e il 40% dell’acqua immessa compromettendone anche la sicurezza, dal momento che le perdite comportano uno scambio con l’ambiente esterno in punti non controllabili) e continueremo a spendere più in acqua minerale (soggetta a controlli meno rigorosi di quella del rubinetto) che in quella dell’acquedotto.

Il costo più alto dell’acqua gratuita è pagato, però, nei paesi in via di sviluppo. Proprio dove le risorse sono minori, afferma Fishman in modo controintuitivo ma convincente, all’acqua dovrebbe corrispondere un prezzo. Nelle aree, anche povere, dell’India in cui l’acqua si paga essa arriva nelle case per 24 ore al giorno.

Dove è gratuita è irregolare e deve essere tesaurizzata con notevole spreco, deve essere raggiunta, spesso a chilometri di distanza dalle abitazioni, e trasportata, con la conseguenza che alcuni membri della famiglia – tipicamente le giovani donne – devono dedicare alcune ore al giorno a questo compito e non possono accedere neppure all’istruzione di base, prima, e al mercato del lavoro, poi.

 

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