Saranno due le opere filmiche realizzate con il sostegno e il contributo di Apulia Film Commission in concorso alla 29esima edizione del Torino Film Festival: “Fireworks” (“Fuochi D’Artificio”) di Giacomo Abbruzzese nella sezione “Italiana Corti” – già vincitore l’anno scorso nella stessa sezione con il cortometraggio “Archipel” – e “FerrHotel” documentario firmato da Mariangela Barbanente in “Italiana Doc”.
“Fireworks” (Italia-Francia 2011, HD, 21’, col.), realizzato con il contributo di Apulia Film Commission, racconta la vicenda di un gruppo internazionale di ecologisti che decide, il giorno di Capodanno tra i fuochi d’artificio, di far saltare in aria l’intero impianto siderurgico tarantino. Da cinquant’anni, infatti, Taranto ospita la più grande industria siderurgica europea, un complesso immenso e mostruoso che occupa ogni orizzonte economico, visivo e immaginario, rendendola la città più inquinata dell’Europa occidentale.
“Dopo Israele e Palestina – precisa il regista Abbruzzese –, volevo filmare nella mia città e dove normalmente non sarei potuto andare. Girare con un’équipe professionale e un apparato cinematografico permette paradossalmente di temporeggiare con le forze di polizia o con i militari. Ho voluto fare cinema in un’isola militare, una discarica industriale, una casa in rovina sul mare, un deserto rosso di minerali. Allontanandomi però da un approccio documentario, ho cercato di rispondere alla fabbrica con una forma che potesse competere con essa a livello spettacolare. Una storia di tempesta che si confronta con la realtà e la reinventa. A Taranto, si gioca alla rivoluzione. E, come fanno i bambini, si gioca molto seriamente”.
“FerrHotel” di Mariangela Barbanente (Italia 2011, HD, 73’, col.), realizzato con il contributo da Teca del Mediterraneo, Biblioteca del Consiglio Regionale e il sostegno di Apulia Film Commission attraverso l’ospitalità al Cineporto di Bari per la realizzazione delle interviste durante i casting del film di Ermanno Olmi “Il villaggio di Cartone”, affronta il tema dell’immigrazione.
Bari, a due passi dalla stazione centrale. Un piccolo albergo dismesso, un viavai ininterrotto di persone che entrano ed escono. Sono ragazzi e ragazze somali, la maggior parte non ancora trentenni. In tasca un permesso di soggiorno e nel loro paese una guerra che sembra non finire mai. Non sono clandestini. Hanno occupato un piccolo spazio in città per cavarsela da soli.
“Quello che ci interessava raccontare – precisa Barbanente – era cosa succede nella vita di un rifugiato dopo l’emergenza. Dopo gli sbarchi, i centri d’accoglienza, la conquista del permesso di soggiorno. Quella zona grigia che precede un’integrazione possibile (e spesso disattesa). Non lo scontro con la società che li ospita, ma come vivono e si raccontano queste difficoltà. Narrare il quotidiano, il tentativo di vivere una vita normale. Questo piccolo albergo, microcosmo di destini incrociati, si è rivelato il punto d’osservazione migliore, perché la normalità comincia avendo una casa, un rifugio, un luogo in cui sedersi e riprendere fiato”.