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Da Nouvelle Observateur a Ken Loach, il Cinema America diventa un caso internazionale

Il mondo lo vede come possibile “Rinascimento di Roma”

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Roma, 30 Gennaio 2015

“Simbolo esemplare di una giovinezza urbana pragmatica e legalitaria, sono coscienti di aver inventato un nuovo tipo di impegno. Che potrebbe significare il Rinascimento di Roma”. Non sono parole qualsiasi, che illustrano una situazione qualsiasi. Sono quelle scritte in questi giorni dalla giornalista francese Marcelle Padovani, attenta osservatrice del nostro Paese e delle sue evoluzioni, sul Nouvelle Observateur. Sono rivolte ai ragazzi che – prima dello sgombero, avvenuto nel settembre scorso – hanno occupato e reso luogo di cultura viva il Cinema America di Trastevere per due anni, e che successivamente hanno dato vita al “Piccolo America” in un ex panificio a fianco dello stabile storico.

Tra le sue mura sono passati in 24 mesi i grandi nomi del cinema italiano: Bernardo Bertolucci e Francesco Rosi, Paolo Sorrentino (prima e dopo l’Oscar), Paolo Virzì, Ettore Scola, Matteo Garrone, Daniele Vicari, i fratelli Taviani… Produttori, attori, registi, tutto il cinema nazionale ha tributato la sua volontà di salvaguardia di un cinema che si trova nel cuore della città (e in particolare di uno dei suoi quartieri-simbolo), che peraltro è un piccolo gioiello architettonico di una delle firme più significative presenti a Roma negli anni Cinquanta, quella di Angelo Di Castro.

“Indipendentemente dal risultato della trattativa, gli squatters cinefili dell’America hanno già vinto la battaglia – continua il pezzo di Nouvelle Observateur, che può essere letto integralmente qui: http://tempsreel.nouvelobs.com/l-obs-du-soir/20150121.OBS0473/la-reconquete-de-l-america.html –; il Cinema America è un vero luogo di cultura che funziona, conciliando i giovani Romani con il cinema, loro che scaricavano illegalmente i film su internet senza frequentare mai le sale. Un modello originale di civismo in armonia con il suo tempo”.

Prima di lei aveva speso parole di plauso per l’azione dei giovani romani (che lottano contro l’abbattimento del cinema, destinato nei piani della proprietà a essere trasformato in una palazzina zeppa di miniappartamenti di lusso) nientemeno che Ken Loach: “Mi piacerebbe sapere quale sarebbe il loro messaggio per me, penso che ne avrebbero di sicuro uno importante – ha detto il regista inglese, celebre per il suo cinema impegnato, intervenendo a Roma per l’anteprima del suo film “Jimmy’s Hall” – di sicuro queste attività mostrano il loro grande rispetto verso le forme d’arte come il cinema, e il teatro, e credo che questa sia davvero una cosa fondamentale, ammirevole. Questo dimostra inoltre che diversamente dall’immagine che spesso ne facciamo, i giovani non sono solo interessati a stare di fronte a un computer con le cuffie nelle orecchie, privi di qualsivoglia altro interesse”.

Però, mentre quello del Cinema America si appresta a divenire sempre più un caso internazionale, a non manifestare attenzione per l’esperienza e per ciò che simboleggia per la città di Roma sembrerebbero essere – almeno in apparenza – proprio le autorità cittadine. Solo ultimamente il sindaco Ignazio Marino si è lasciato coinvolgere, a fatica, in una questione che alcuni suoi assessori hanno in questi anni supportato a parole ma ignorato nei fatti, come dimostra l’ultimo documento sulle “linee d’indirizzo per il recupero e la rigenerazione dei cinema dismessi”, che sembrerebbe andare anzi nella direzione di trasformazione delle 42 sale cinematografiche abbandonate disseminate in città in “realtà residenziali” a favore delle quali concedere autorizzazioni e deroghe per il cambio di destinazione d’uso, cancellando di fatto intere porzioni di memoria cittadina.

La lotta dei ragazzi peraltro non è solitaria: accanto a loro ci sono i residenti del quartiere, aggregati nel Comitato Cinema America, che per primi avevano bloccato un primo scandaloso progetto presentato dalla società e fatto ritirare poco prima di una possibile approvazione in quanto non rispondente nemmeno ai requisiti di legge. Quel cinema, che negli ultimi anni è tornato a riempirsi all’inverosimile, una sera dopo l’altra, e a soddisfare in maniera egregia lo scopo per cui era stato costruito, è stato lasciato marcire scientemente dalla “Progetto Uno”, che lo aveva acquistato con l’unico scopo di raderlo al suolo.

Assieme ai ragazzi e ai cittadini – in assenza di segnali dal Comune – si sono mossi in questi due anni l’Ordine degli Architetti, la Provincia di Roma, la Regione Lazio, il Ministero dei Beni Culturali (che ha recentemente posto un vincolo sulla destinazione d’uso, ma questo non sembra ancora bastare) e finanche il Presidente della Repubblica, che ha inviato una lettera ai ragazzi del Cinema America, scrivendo loro del suo “apprezzamento” per “l’impegno di quanti sostengono la presenza diffusa di centri di attività culturale, teatri e sale nei quartieri storici delle nostre città”.

Così, in questa Italia che fatica a rialzarsi, l’esempio virtuoso evocato da Nouvelle Observateur potrebbe essere un vero risveglio, e questo stabile nel cuore della città più grande e importante del Paese potrebbe esserne il simbolo. Ora siamo tutti sul crinale: da un lato l’Italia di domani, nella quale poter alzare la testa e proclamarci fieri di abitare, o nell’Italia di ieri, in cui un bene può essere lasciato marcire per perseguire un profitto lecito a norma di legge, ma discutibile sotto il profilo etico. Basta decidere da che parte stare.

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