“Ho rubato la marmellata – Vita di un artista politicamente scorretto” è un film documentario di Gioia Magrini e Roberto Meddi, dedicato alla vita di un artista e un uomo straordinario: Remo Remotti.
Un uomo che in 90 anni di vita ha attraversato il Novecento, dall’infanzia nel fascismo agli anni Duemila, e che nel nuovo millennio ha conosciuto una fama da star underground presso un pubblico di giovanissimi.
Un artista totale, noto al pubblico del cinema per le sue apparizioni folgoranti nei film di Nanni Moretti, che ha lavorato con Bellocchio, Scola, Loy, Verdone, Massimiliano Bruno e Francis Ford Coppola. Un poeta comico e spiazzante i cui monologhi e canzoni sono mandati tutt’ora a memoria da schiere di ragazzi. Un artista visivo che ha affiancato Mambor, Fontana, Vedova, Manzoni… E un uomo di vero spirito, per le risate che strappa ancora con i suoi paradossi che spiegano il senso dell’esistenza e di una felice, amorosa ricerca interiore.
Un piccolo magnifico omaggio, a uno degli uomini di spettacolo più generosi degli ultimi cent’anni, capace di incarnare Sigmund Freud e Babbo Natale con uguale, assoluta credibilità e autorevolezza.
“Ho rubato la marmellata – Vita di un artista politicamente scorretto” è prodotto da Ruvido Produzioni in associazione con Istituto Luce Cinecittà, che lo distribuisce e lo porterà prossimamente nelle sale di alcune città. Il film andrà poi in onda su Sky Arte HD il 21 giugno 2018 alle ore 20.10, in occasione del terzo anniversario dalla scomparsa di Remo Remotti. Un’occasione che sarà una festa per un artista incredibilmente vivo.
IL FILM
«Io non mi considero un’eccezione. Ho fatto quello che ho sentito senza chiedere niente a nessuno. Se vuoi essere libero non c’è epoca o latitudine che tenga». Remo Remotti
Il film è un omaggio a Remo Remotti, l’artista eclettico e irriverente che ha spaziato dalla pittura al teatro, dal cinema alla letteratura e alla musica, fino a diventare alla fine della sua lunga vita idolo underground dei giovani, realizzando spettacoli in teatri off e centri sociali in cui declamava i suoi monologhi in bilico fra volgarità, follia, sfida alla morale comune, e ricerca spirituale del senso della vita.
Ad accompagnare i ricordi personali di Remotti, tratti da filmati realizzati da Roberto Meddi nel corso degli anni, il documentario si avvale delle testimonianze dello scrittore Michele Serra, del critico d’arte Gianluca Marziani, del drammaturgo e regista Giampiero Solari, dell’attore e regista Massimiliano Bruno, nonché di quelle della moglie di Remotti, Luisa Pistoia, e della figlia Federica.
In un susseguirsi di ricordi e aneddoti, intessuti di brani dei suoi spettacoli teatrali e concerti dal vivo, e dal materiale d’archivio dell’Istituto Luce che restituisce l’atmosfera storica degli avvenimenti vissuti nel corso della vita dell’artista, conosciamo la storia professionale e umana di un personaggio sopra le righe, curioso e disponibile, affamato di vita e pronto a ripartire in direzioni sempre diverse per cercare di arrivare ogni volta un po’ più vicino a se stesso.
Nei suoi racconti Remo Remotti parla della sua infanzia a Roma durante il fascismo; del padre “fiumarolo”, che gli ha insegnato ad amare il Tevere e il canottaggio ed è morto quando lui era ancora un bambino; del rapporto “edipico” con la madre vedova che lo voleva laureato in legge e sperava per lui un futuro di dirigente d’azienda; della sua fuga in Perù, in odio alla Roma borghese degli anni ’50; della scoperta della pittura, della scultura, dell’arte; della sua esperienza nella Berlino delle rivolte studentesche nel ’68; dei ricoveri in manicomio; del suo amore per le donne e l’ossessione per il sesso; del suo mestiere di attore, dapprima in teatro, grazie all’amico Renato Mambor, e poi al cinema, con registi come Marco Bellocchio, Nanni Moretti, Francis Ford Coppola; e del rapporto con Roma, città amata e odiata e fonte di ispirazione per la memorabile “Mamma Roma addio”, la sua poesia-invettiva forse più famosa, in cui vengono elencati tutti i difetti della Roma degli anni ’50, borghese, fascistoide e impiegatizia, stigmatizzando le manie, il lassismo e i lati negativi che in molti ancora attribuiscono alla capitale.