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RB Casting dà il Benvenuto ad Anna Ammirati

Intervista esclusiva ad Anna Ammirati

Rappresentata dall’agente Carol Levi & Company
Ufficio stampa Gianni Galli

www.rbcasting.com/site/annaammirati.rb

Spontanea, grintosa, con un’allegria e una voglia di vivere che ti contagiano. Mentre snocciola i ricordi del passato si prende in giro e ride. Non ha scelto un mestiere facile, ma si capisce subito che lo ama con passione e dedizione. Perché, ammette, “non mi sono concessa alternative: da sempre voglio fare l’attrice e basta”. Insomma, dopo mezz’ora di chiacchiere pensi che il cinema sia tutta la sua vita. E invece no. C’è un amore più grande, di fronte al quale non esiste ruolo o film che regga il confronto. Quando ne parla la voce si fa più dolce: è una bambina di nove anni, sua figlia Sara. Alla domanda sulla scelta che le ha cambiato la vita, lei non ha dubbi: diventare mamma a ventiquattro anni. “Mia figlia è stata l’esperienza più formativa che ho fatto, anche come attrice. Io credo che l’artista cresca insieme all’essere umano. E con un figlio impari così tanto che non ci sono Actors studio che tengano”.

Napoletana doc, attrice di cinema, teatro e televisione, Anna Ammirati comincia a recitare a quindici anni. All’inizio prende parte a piccoli spettacoli teatrali, “le classiche commedie di Eduardo De Filippo”, spiega. Dopo il diploma in grafica pubblicitaria e fotografia, la decisione di lasciare Napoli. “A diciannove anni mi sono trasferita a Roma per inseguire il mio sogno: mio padre non era d’accordo, mia madre mi sosteneva. Così mi sono iscritta alla facoltà di psicologia e, contemporaneamente, alla scuola di teatro di Beatrice Bracco. Ma delle due ho finito solo la seconda…”.

La prima esperienza romana è con Vittorio Sindoni nella fiction televisiva “Positano”. Il successo vero e travolgente arriva nel1997, grazie a Tinto Brass che la sceglie per interpretare la Lolita anni Cinquanta nel suo discusso “Monella”. Subito dopo Anna fa il suo ingresso nel cinema d’autore: “Rose e pistole” di Carla Apuzzo, “I Fetentoni” di Alessandro De Robilant, “Quartetto” e “Alla fine della notte”, entrambi scritti e diretti da Salvatore Piscicelli. Nel frattempo, continua a studiare recitazione con Greta Seacat (l’insegnante di Robert De Niro), Geraldine Baron e Cathy Marchand del Living Theatre. Nel 2001 è una ragazza napoletana che vive in un ghetto del Nord (destinato agli immigrati del sud in un ipotetico 2013) nella commedia “La Repubblica di S.Gennaro” di Massimo Costa, nel 2005 è il sindaco di un paese dell’Irpinia post-terremoto per il film drammatico “E dopo cadde la neve” di Donatella Baglivo.

Intanto arrivano le altre occasioni in televisione. Tra le fiction, un ruolo da protagonista accanto a Beppe Fiorello in “Joe Petrosino” per la regia di Alfredo Peyretti, e una parte da co-protagonista con Lucrezia Lante della Rovere in “Donna Detective” 1 e 2, regia di Cinzia Th Torrini e Fabrizio Costa. Adesso è su Italia 1, nella sit-com “Alla stars” con Diego Abatantuono, mentre a fine novembre la vedremo su Rai Uno nella miniserie brillante “Tutti i padri di Maria” per la regia di Luca Manfredi. “Sarò Luisa – dice l’attrice – un agente immobiliare che cerca di avere un bambino attraverso la fecondazione assistita”. Infine c’è il teatro, che Anna non ha mai abbandonato: il 2 dicembre debutterà a Roma con “La donna seduta” di Copi.

Con l’ultimo film per il grande schermo, “L’amore buio” di Antonio Capuano (tra gli interpreti Fabrizio Gifuni e Valeria Golino), Anna partecipa alle giornate degli autori della 67ma Mostra di Venezia. E’ la storia d’amore tra due adolescenti che nasce da un gesto atroce: uno stupro di gruppo. Lui è il quarto violentatore, l’unico ad avere il coraggio di denunciare sé e gli altri. “Il film si divide in due parti – spiega – la Napoli bene, che è il mondo della ragazza e la Napoli dei quartieri bassi, che appartiene al ragazzo”. L’intervista parte da qui.

Dunque, Anna, il tuo ruolo è quello della psicologa di Irene, la ragazzina abusata…
Più che una psicologa, la mia Silvana è una sorta di mentore che accompagna Irene nel suo viaggio di ricostruzione della vita. C’è un momento interessante, una sorta di fine terapia, quando il mio personaggio le dice: “vorrei che tu seguissi un corso di teatro qui a Napoli”. Ho costruito il personaggio e questa scena pensando a una metafora: tornare a sorridere grazie alla cultura e all’arte. Sono convinta che questo modo di pensare funzioni anche nella vita.

E’ vero che Capuano l’hai quasi pedinato?
Nooo….chi te l’ha detto? (Ride). In realtà è da quando faccio l’attrice che lo cerco. L’anno scorso, passando per Napoli, lo chiamo per un caffé. Gli dico: “allora, che dobbiamo fare? Come si fa a lavorare con te?”. Non sapevo ancora niente del film. Me ne parla, poi ci salutiamo e da quel momento non ne so più niente. Un giorno mi chiama e mi dice: “Anna, song’ Antonio. Teng’ na psicologa, ‘a vuò fà?”. Sembrava che mi volesse vendere della merce di contrabbando…

Che ricordo hai dell’esperienza con lui?
Con Antonio è tutto un work in progress, perché nei suoi film non si recita. Ti chiede di essere talmente naturale e reale che quell’emozione ti deve passare addosso, la vuole vedere. E quindi se è qualcosa che fa male, sul set devi farti male.

In questi giorni stai preparando uno spettacolo teatrale. Di che cosa si tratta?
E’ un testo bellissimo. Il soggetto nasce da alcuni fumetti di Copi: c’è una donna seduta senza forma né età che dialoga con una serie variopinta di animali e di umani. Gli argomenti sono vari: si va dalla società ai sentimenti, dal sesso in genere all’omosessualità. E’ uno spettacolo che mi produco da sola, il mio modo di fare la rivoluzione da attrice. Con me ci sarà l’attore-regista Graziano Piazza e poi le voci degli amici: Fabio De Luigi, Ennio Fantastichini, Rolando Ravello e Gianfelice Imparato.

Facciamo un salto nel tempo. Tutto comincia quando incontri Tinto Brass…
Una mattina il mio fidanzatino napoletano si sveglia e mi dice: “ho un provino con Tinto Brass”. Io lo prendo in giro: “ma che ci vai a fare?”. Senza dirmi niente gli porta una mia foto e Tinto mi chiama per un provino. Lo aveva colpito il mio essere “scugnizza”, l’assenza di malizia. E poi, forse, aveva notato che non ci tenevo a lavorare con lui: anzi, fu quasi lui a convincermi. Ecco, questa mia indifferenza inconscia doveva averlo conquistato. Non mi rendevo mica conto di quanto sarebbe stato rumoroso quel film, né della “zavorra” che mi sarei portata dietro per qualche tempo.

Com’è cambiata la tua vita dopo “Monella”?
Le città erano tappezzate dalle locandine e io fui travolta da una popolarità improvvisa: mi fermavano per strada, nei negozi mi regalavano qualsiasi cosa. Tutto positivo, per carità! Epperò, essendo molto giovane, rimasi un po’ scioccata e non seppi gestire la situazione.

Che cos’hai imparato da Tinto?
Sicuramente il rapporto con la macchina da presa. Alla fine di ogni giornata riguardavamo il girato: mi suggeriva come muovermi e mi faceva notare tutti i difetti. Una vera e propria lezione.

Subito dopo arriva il cinema d’autore. Che ricordo hai di quelle esperienze?
Di Piscicelli ricordo l’impronta neorealista. “Quartetto” è stato il primo film italiano girato in digitale secondo le regole del Dogma 95: luce naturale, macchina da presa a mano, niente scenografia, trucco fai da te. In quel periodo, con Salvatore e sua moglie, Carla Apuzzo, eravamo in fissa con Lars Von Trier e tutto il cinema danese. Ne parlavamo spesso e “Quartetto” è nato proprio da quelle chiacchierate. Per me è stata un’esperienza interessante: un esperimento formativo sia dal punto di vista recitativo che per la tecnica delle riprese.

Nel ’99 sei una “buona” in mezzo a “I fetentoni”.
Sono la moglie di Fiorello che interpreta il sindaco di Reggio Calabria. E’ una storia di camorra e ricatti, io cerco di convertire mio marito alla legalità. Ecco, si può dire che sono sempre stata la parte “illuminante” di qualcuno.

E’ così anche nella vita?
Sarei una pazza presuntuosa se ti dicessi di si! Mi piacerebbe uno scambio equo: vorrei avere questo ruolo, ma vorrei anche una persona accanto capace di illuminare qualche parte buia di me stessa che non riesco a vedere.

In questo momento sei innamorata?
No, ma spero che succeda presto perché l’amore è il motore di tutto. Lo auguro a chiunque.

Torniamo al tuo lavoro. Che mi racconti del film sul terremoto dell’Irpinia?
Ah…quella è stata un’altra esperienza garibaldina! La mia specializzazione.

In che senso?
I progetti garibaldini sono quei film di cui sposi la causa, l’arte e la passione per questo lavoro. Ma poi, se vuoi vederli, devi correre al cinema perché dopo due week-end li tolgono!

Chi è il tuo personaggio?
La figlia del sindaco di un paese dell’Irpinia. Suo padre muore sotto le macerie del terremoto e lei si ritrova a fare i conti con una situazione difficile: è una giovane sindacalista, diventa sindaco a sua volta e lotta per la sopravvivenza della sua gente, devastata prima dalla tragedia e poi dallo scandalo delle tangenti sugli investimenti per la ricostruzione.

Apriamo il capitolo televisione. Hai cominciato nel ’96 con “Positano”, poi è arrivata la miniserie “Non lasciamoci più”, “Inviati speciali”…
Tutte cose che ho fatto per pagare l’affitto. Io dico sempre di avere un curriculum “schizzofrenico”: sono partita con un film popolare da super protagonista e poi mi sono rimessa in fila, nel senso che ho fatto la gavetta che mi mancava.

Ma la tv ti ha regalato anche ruoli importanti.
Certo. C’è il ruolo della moglie di “Joe Petrosino”, ma anche quello della poliziotta in “Donna detective”. Di questa serie ho un bellissimo ricordo, per l’esperienza con registi come Torrini e Costa e perché è un prodotto di alta qualità.

Che cosa non faresti mai in televisione?
Le soap opera. Preferisco imparare a fare la pizza: è più artistica.

Ti piace cucinare?
Di due cose sono sicura: sono un’attrice e sono una brava cuoca. Se dovessi smettere con questo lavoro mi troveresti in una scuola di alta cucina.

Vivi a Roma da tanto tempo, ma Napoli è sempre con te.
Si può dire che dovunque vada mi porto dietro la lava del Vesuvio, quel modo di affrontare la vita a testa alta e quella speranza che è sempre stata la caratteristica della mia gente.

Che effetto fa rivedersi sullo schermo?
Un disastro! Sono sempre ipercritica con me stessa.

E tua figlia che ne pensa?
E’ la mia fan più grande. Se ci troviamo a parlare con un regista amico lo rimprovera: “ma tu non capisci niente – dice – mia mamma è la più brava!”. Per lei mi trovo a metà strada tra Erin Brockovich e il personaggio di Juliette Binoche in “Chocolat”, perché sono molto combattiva e amo fare i dolci.

Qual è il personaggio che ti ha regalato più emozioni?
Rosa di “Rose e pistole”: una donna che riesce a rialzarsi nonostante la vita sia stata piuttosto cruenta con lei.

Il ruolo che ti manca?
Me ne mancano una marea, ma se potessi scegliere mi piacerebbe la parte di una madre coraggio al cinema.

Un regista con cui vorresti lavorare?
Posso sceglierne più di uno? Matteo Garrone, Marco Bellocchio e Giorgio Diritti. All’estero, mi piacciono Ken Loach e Takeshi Kitano.

Un tuo pregio e un tuo difetto.
Il difetto è l’irruenza. Il pregio è l’accoglienza in senso lato: se un amico ha bisogno di me, gli apro le porte di casa, gli faccio da mangiare e ascolto tutti i fatti suoi.

Il sogno nel cassetto?
Recitare in inglese.

La tua paura più grande?
Ammalarmi. Se la vita ti punisce fisicamente, come fai a rialzarti?

1 commento

  1. Complimenti per la maturità,per la spontaneità delle risposte e per i concetti intelligenti che contiene.Continui così signorina Ammirati,spero di vederla sugli schermi di tutto il mondo!G

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