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RB Casting dà il Benvenuto ad Andrea Bosca

Intervista esclusiva ad Andrea Bosca

Rappresentato dall’agenzia Officine Artistiche
Ufficio stampa Valentina Palu
mbo

www.rbcasting.com/site/andreabosca.rb

La scelta che gli ha cambiato la vita è opera di uno sconosciuto e avviene una decina d’anni fa. C’è il bando della scuola del Teatro Stabile di Torino e lui ha tutte le carte in regola per tentare un provino. Ma non si decide. Nell’ultimo giorno utile prende il coraggio a due mani e va da un fotografo. Insieme alle prime foto “vere” gli affida anche il suo futuro, nel senso che gli lascia il compito di spedire la busta con la richiesta di ammissione. “Oggi sono qui perché questa persona non si è dimenticata di inviare quella busta”, ammette. Domanda: “non ci credevi abbastanza”? Risposta: “Macché. Ci credevo così tanto che stavo morendo di paura! Perché a volte il destino marcia su due piedi, il desiderio e la paura. Se non stanno insieme non è destino. Non hai la certezza ma hai il sentore di quello che sarà. Il sentore di tutti i giorni che passerai ad essere felice e triste, soddisfatto e preoccupato. Come quando incontri una ragazza e sai che ti innamorerai di lei, che diventerà la donna della tua vita. Ecco, per me questo mestiere è sicuramente una donna molto importante della mia vita”.

Andrea Bosca, 30 anni, attore: occhi azzurro vivo, sguardo acuto e sognatore, faccia da bravo ragazzo (non è detto che lo sia!), corpo asciutto. Ma non chiamatelo “il solito belloccio”. “Sono terrorizzato dalle etichette di questo tipo – confessa – anche se mi fanno tanto ridere. Ho raccontato un belloccio in una fiction, eppure non ho mai puntato sulla bellezza. Preferisco lavorare sul fascino”. Chiacchiere? Niente affatto. Perché a guardarlo con attenzione si scopre che lui è lo stesso straordinario Gigio che due anni fa, insieme a Claudio Bisio e a una banda di adorabili “picchiatelli” (che interpretavano alcuni pazienti dimessi dai manicomi dopo la legge Basaglia), ha commosso pubblico e critica con “Si può fare” di Giulio Manfredonia. E poi è lo stesso Guido Albinati che su Raiuno, e per due capitoli, ha corteggiato la bella Titti di “Raccontami” (regia di Tiziana Aristarco e Riccardo Donna), conquistando mamme e figlie con quella sua aria di donnaiolo figlio di papà dalla sensibilità inaspettata. Senza contare l’interpretazione del  serial killer Matteo Rossi in “Zodiaco” (miniserie per Raidue) di Eros Puglielli:  il suo fascino misterioso ha incantato Antonia Liskova e non solo.

Nato a Canelli (in provincia di Asti) da genitori pasticceri, Bosca comincia a recitare a 12 anni, nella scuola media del suo paese. E’ amore a prima vista: il giovane attore lo coltiverà per tutti gli anni del liceo fino a quando, a vent’anni, non deciderà di iscriversi alla scuola dello Stabile di Torino. Nel 2004 il debutto con la Compagnia dello Stabile: tra gli altri spettacoli va in scena con “Il Benessere” di Franco Brusati e “La donna del mare” di Henrik Ibsen. In tv esordisce nello stesso anno al fianco di Flavio Insinna con “Don Bosco” (miniserie per Raiuno) di Lodovico Gasparini, per poi partecipare a una quindicina di produzioni tra cui “Orgoglio capitolo terzo” (Raiuno) , “Carabinieri 6” (Canale 5), “Nebbie e delitti 2” (Raidue) e “Le segretarie del sesto” (Raiuno). Al cinema arriva nel 2008 con “Amore, bugie e calcetto” di Luca Lucini, ma recita anche in altri film come “Altromondo” di Fabio Massimo Lozzi e in un episodio di “Feisbum! Il film” (“Gaymers” di Emanuele Sana).

Per i prossimi mesi si attendono quattro suoi lavori: in tv vedremo “Fuori classe” di Riccardo Donna (storia di un anno scolastico ambientato in un liceo torinese, con Luciana Littizzetto protagonista e Bosca nella parte di un bel professore di storia) e “Zodiaco 2” per la regia di Tonino Zangardi, mentre al cinema stanno per arrivare la commedia romantica “Febbre da fieno” di Laura Luchetti e “Gli sfiorati” di Matteo Rovere con Claudio Santamaria e Asia Argento (tratto dall’omonimo libro di Sandro Veronesi, Bosca sarà il grafologo Mète). Intanto nelle sale c’è “Noi credevamo” di Mario Martone, bellissimo affresco del Risorgimento italiano ricostruito attraverso le biografie di tre rivoluzionari del Cilento. L’attore piemontese è uno di loro. Nel ricco cast, tra gli altri, Luigi Lo Cascio, Toni Servillo, Luca Zingaretti e Francesca Inaudi. L’intervista parte da qui.

Che mi racconti del giovane Angelo?
E’ stata una bellissima avventura. Per prepararmi al provino sono andato a fare uno studio del cilentano con Luigi Pisani, che nel film è uno dei miei due compari fratelli. Una bella responsabilità perché il mio personaggio prelude all’Angelo maturo, che sarà interpretato da Valerio Binasco, uno dei più grandi attori che conosca.

Come vi siete incontrati con Martone?
Lo conoscevo già perché vengo dal Teatro Stabile di Torino, ma non l’avevo mai incontrato per lavoro. All’inizio Angelo mi sembrava un personaggio troppo lontano da me: cilentano, possidente e con un temperamento incline all’eccesso. Ma lavorare con Mario e su questa materia mi affascinava così tanto che ho cominciato a studiare come un pazzo la storia del Risorgimento. Dunque vado a Torino, forte  anche dello studio sul cilentano (facevo le pulizie di casa con le cuffie per riuscire a farmelo entrare dentro!) e Mario, con grande pazienza, si siede e dice: “fai”. Da lì ho capito che le sue indicazioni sarebbero state poche ma precisissime.

Quindi è un regista che lascia spazio agli attori?
Si, molto. Lascia che ti butti nel suo lavoro quasi a capofitto, anche se nulla è abbandonato al caso. Colpisce il modo in cui fa attenzione alle piccole cose. Non è solo un fatto di intelligenza e cultura: lui cura i suoi film con tutto l’amore e la dedizione che può.

In polemica con la distribuzione che coprirà solo trenta sale, Martone ha rielaborato in chiave moderna la frase che chiude il film: “l’Italia è gretta come le trenta copie, superba come le frequentazioni di Putin, assassina come le stragi mai chiarite”.  Sei d’accordo?
Il film è un pezzo del suo cuore, penso che meriti un’attenzione pari a quella che Mario ci ha messo. Mi piacerebbe che si vedesse a Torino o a Genova, che poi è la città di Mazzini. Ci sono posti fondamentali, non è possibile ignorarli.

Facciamo un salto nel tempo. La tua prima interpretazione?
Avevo dodici anni. Lo spettacolo raccontava la storia di Re Mida e io avevo due ruoli. Ho ancora la cassetta e le foto: mi piace pensare a quell’entusiasmo. In seguito ho conservato l’abitudine di trasmettere l’amore per il teatro ai ragazzi. Quando ero a Torino andavo nelle scuole a portare quello che imparavo. Per loro ho anche scritto uno spettacolo.

Ti piace scrivere?
Non lo so, mi sono iscritto a un corso di sceneggiatura. Ho una storia che mi gira in testa e un giorno mi piacerebbe realizzarla. Però adesso il mio obiettivo principale è la recitazione: ne ho ancora tanta fame, come qualcosa di tellurico che si muove dentro di me.

Quando hai deciso di fare l’attore seriamente?
Al riguardo ho una specie di leggenda. Avevo diciassette o diciotto anni e stavo recitando “Aspettando Godot” quando ho sentito una vocina che mi diceva: “tu, almeno una volta l’anno, devi recitare perché altrimenti non stai bene”. Sapevo che era vero, ma sapevo anche di venire da una famiglia di gente pratica. Mi piaceva leggere: non si capiva se sarei venuto fuori un poeta maledetto, uno scrittore o un giornalista (ride). Finché un giorno non arrivò l’occasione: il bando della scuola del Teatro Stabile di Torino.

E i tuoi come l’hanno presa?
Come molti genitori di artisti si sono spaventati, solo con il passare degli anni hanno capito. Dal primo giorno, comunque, ho messo in chiaro che non sceglievo questo mestiere per fare “l’artista”. Il mio obiettivo non è tanto quello di diventare un bravo attore (può portarti ad incasinarti non poco): io voglio raccontare delle belle storie. E chiedo la possibilità di imparare per poter arrivare al cuore della gente in modo semplice e diretto.

Chi ti ha seguito più da vicino?
I miei hanno ruoli differenti. Con mia madre parlo molto, con mio padre ho un altro tipo di rapporto. Lui parla poco, in compenso è un grande lavoratore. Entrambi mi hanno trasmesso l’amore per l’artigianato d’eccellenza. In fondo che cosa c’è di diverso nel mestiere dell’attore?

Che ricordi hai del periodo allo Stabile di Torino?
Sono stati anni divertenti perché si studiava tanto e si lavorava in gruppo. Non solo ricordo i miei compagni che adesso sono volti noti, ma anche gli insegnanti, in particolare Mauro Avogadro. Finita la scuola mi prese nella sua Compagnia, regalandomi la possibilità di vivere un sogno. Torino, comunque, è sempre interessante.

Sei ancora legato a Torino?
Adesso vivo a Roma e penso che la mia città sia questa. Però sono sempre innamorato di Torino. Ho vissuto in centro per tanti anni, andavo a scuola a piedi. Bello…

Parliamo dei tuoi personaggi. A teatro hai debuttato con “Il Benessere”.
Recitavo al fianco di Elisabetta Pozzi. Ti dò subito quest’immagine: ventitré anni, ossigenato e con dieci kili di muscoli in più. Per il personaggio serviva un viso angelico con un fisico corpulento.

E poi è arrivata la fiction.
Ho iniziato con “Don Bosco”. Io ero uno di quei ragazzi che lui curava in carcere, uno dei più fragili perché uccideva una persona per sbaglio e per questo veniva condannato a morte. In una scena ero così emozionato e coinvolto che non ricordavo le parole del Padre Nostro. E’ stato Gasparini a suggerirmele in un orecchio.

Sei religioso?
Sono cattolico ma non vado in Chiesa tutte le domeniche. Ho un rapporto personale con il religioso e soprattutto con i sogni. Da cinque anni annoto tutti i sogni che faccio e spesso me li ritrovo nel lavoro, nel senso che mi aiutano a entrare nel ruolo attraverso una serie di suggerimenti. Credo che potrebbero diventare delle storie.

Torniamo alla tv. Il grande pubblico ti conosce grazie a Guido Albinati.
“Raccontami” è una serie che ho amato molto. Ancora adesso mi fermano e mi chiedono se la storia continuerà. Che dire: fare il principe azzurro è sempre molto divertente, soprattutto se è uno stronzo e ha la battuta pronta! E’ stata una bella esperienza: dalla sceneggiatura ai costumi, tutto aveva una sua grazia. Quando mi incastro con una ragazza che sta con un altro (capita no?) e sembra che sia interessata a me, ripenso a questa storia…

Adesso sei innamorato?
Non lo so, penso di si…è una situazione complicata. Sono in una fase di cambiamento e credo di essere aperto. Però c’è un po’ di confusione.

Anche lei è un’attrice?
No.

Pensi sia possibile una relazione stabile tra due attori?
Gli americani ci riescono benissimo. L’importante è che ognuno sia realizzato nel proprio lavoro. In fondo il nostro mestiere non è così diverso dagli altri: bisogna solo mettere da parte un po’ di ego. Si dice sempre che gli attori hanno un ego pazzesco, ma anche i direttori d’azienda ce l’hanno. La verità è che oggi in molti hanno un “io” molto sviluppato con cui è difficile convivere.

In “Zodiaco”interpreti un serial killer.
Un lavoro tosto. All’inizio mi sono studiato la storia di Donato Bilancia e ho passato molto tempo nelle questure per cercare di entrare nella materia. Tra poco uscirà il secondo capitolo che abbiamo girato a Praga: la storia cambierà e ci saranno tanti colpi di scena. E Matteo Rossi sarà sempre più pericoloso…

Nel 2008 arriva anche il cinema e soprattutto un ruolo difficile come quello di Gigio.
Con “Si può fare” ci siamo tutti giocati la carta del cammino interiore. Soprattutto lo abbiamo fatto insieme e a carte scoperte. Uno di quei lavori dove davvero posso dire di essere stato felice di girare con quel tipo di persone. Perché la forza di quel film era proprio nel “noi”. Un modo di pensare che oggi  l’Italia dovrebbe imparare.

Come ti sei preparato per fare il “matto”?
Non dovevo fare il matto, dovevo essere matto. Nel senso che, attraverso l’anima, dovevo trovare la strada della pazzia. Per prepararmi ho cercato di studiare il più possibile, ma soprattutto ho frequentato una comunità del mio paese. Sono entrato lì come Ercole nell’Ade, ovvero simpaticamente. E’ stata la cosa peggiore che potessi fare perché loro avevano paura di me, ma io dovevo aver paura di loro per entrarci in contatto. Adesso sono miei amici e non posso andare ad Asti senza salutarli!

“Si può fare” è stato girato in contemporanea con la seconda parte di “Raccontami”. Come sei riuscito a conciliare due ruoli così diversi?
Capitava spesso che, nello stesso giorno, uscivo da Gigio ed entravo in Guido Albinati. Fa paura ma in realtà è stato un grande nutrimento: per me è stato un modo di avvicinarsi ancora di più ai personaggi dissociandone le caratteristiche. Perché siamo tutti un po’ dissociati. La differenza è che gli attori ne fanno un mestiere.

Se non avessi fatto l’attore?
Non so. Forse sarei diventato sceneggiatore o giornalista.

Nel 2009 partecipi a un episodio di “Feisbum! Il film”. Che ruolo interpreti?
Sono un altro Matteo, un ragazzo che può sembrare gay ma non lo è. In realtà sfrutta la sua ambiguità sessuale per entrare in un certo tipo di mondo e ottenerne dei benefici. Oggi, questo modo di sfruttare la sessualità altrui è molto diffuso e proprio per questo il ruolo è stato interessante.

Che cosa pensi di facebook?
Se tutti lo usano deve avere un significato. Sul mio profilo accetto tutti e poi vedo che cosa succede, come un esperimento. Spesso lo utilizzo per pubblicizzare i miei film, ma mi è anche successo di incontrare delle persone che mi hanno colpito per la loro scrittura.

Chi sono i tuoi maestri?
Mauro Avogadro e i miei agenti. Ma anche gli attori che mi hanno colpito: Toni Servillo, Al Pacino, Robert de Niro, Sean Penn.

Il ruolo che ti ha regalato più emozioni?
E’ difficile dirlo, ogni ruolo mi sconvolge.

Il ruolo che ti manca?
Qualcuno che abbia una parlantina tagliente e cattiva.

Un regista con cui ti piacerebbe lavorare?
Mi vengono in mente Paolo Sorrentino e Giorgio Diritti. E poi mi piacerebbe lavorare di nuovo con Manfredonia e Rovere.

Un pregio e un difetto.
Sono molto curioso e affamato di sapere, ma riconosco che queste caratteristiche possono appesantirmi.

Il vizio di cui non puoi fare a meno?
Sottolineare i libri e i giornali, anche quelli degli altri! E poi c’è la cioccolata…

Il sogno nel cassetto?
Riuscire ad essere un uomo libero, un padre e forse un giorno anche un regista. Però prima vorrei trovare le chiavi per essere un buon attore.

La tua paura più grande?
Non essere abbastanza.

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