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RB Casting dà il Benvenuto ad Ambra Angiolini

Intervista esclusiva ad Ambra Angiolini

Rappresentata dall’agente Daniela Di Santo (Moviement)
Ufficio stampa Valentina Palumbo

www.rbcasting.com/site/ambraangiolini.rb

Al telefono è piena di foga. Mi risponde da un albergo dell’aretino, mentre si prepara all’ennesimo spostamento. “Abbiamo fatto Pietrasanta, Bagni di Lucca, Volterra, Grosseto,  Castiglion Fiorentino –spiega – oggi ci spostiamo a Chiusi, poi Siena, Pisa e dal 25 al 30 saremo a Firenze. E il primo febbraio debutteremo al Quirino di Roma”. Nonostante la stanchezza e l’adrenalina, snocciola le tappe della tournée teatrale con la precisione di una tabella svizzera.

E’ felice. L’incontro con Marco Bellocchio lo voleva a tutti i costi e finalmente ci è riuscita. Ogni sera veste i panni della morbosa Giulia, ruolo che nel film “I pugni in tasca”, primo dissacrante successo del regista emiliano, fu di Paola Pitagora. Oggi, nell’adattamento teatrale prodotto dal Teatro Stabile di Firenze e diretto da Stefania De Santis, i riflettori sono per lei. E non è finita qui. In questi giorni è al cinema con “Immaturi” di Paolo Genovese, dove interpreta una sesso-dipendente che alla soglia dei quaranta, insieme ad altri sei ex compagni di scuola, si trova a dover sostenere l’esame di maturità. E tra qualche mese la vedremo nell’opera prima di Matteo Cerami, “Tutti al mare”, questa volta nel ruolo di una ragazza gay che ha “un’opinione mostruosa degli uomini”.

Ambra Angiolini, attrice, conduttrice, compagna di Francesco Renga e madre premurosa di Jolanda e Leonardo. Al cinema come a teatro è specializzata nei caratteri un po’ estremi. Ma quando le chiedo come mai le affidano sempre questi personaggi, lei ride e serafica racconta: “non ne ho idea. Quando faccio questa domanda mi dicono che non saprebbero chi altri chiamare. Non so se è un complimento o un’offesa…io faccio finta che sia un complimento, perché adoro il cinema e il teatro e non mi chiedo più di quello che serve. Se poi il ruolo mi piace e la risposta è quella, me la porto a casa e comincio a lavorarci!”.

Ragazzina-prodigio dietro il microfono di “Non è la Rai” (nel ’94 vince un Telegatto come personaggio rivelazione dell’anno), negli anni Ambra dimostra di sapersi rinnovare di continuo. Dopo la tv c’è la musica: “T’appartengo”, il suo primo album, solo in Italia vende 370 mila copie arrivando anche in Sud America con la versione spagnola. Nel ’95 partecipa al Festivalbar con “L’ascensore”, poi recita nella fiction “Favola” di Fabrizio De Angelis che raggiunge 6 milioni di telespettatori. Nello stesso anno conduce “Generazione X” e nel ‘96 affianca Pippo Baudo al “DopoFestival” di Sanremo. Il ’97 segna il debutto in radio: tra le tante esperienze che vanno avanti per dieci anni, “La Mezzanotte di Radio 2”, “Ambra e gli Ambranati”, “Luci e Ambra”, “40 gradi all’Ambra”, “Arrivano le femmine”.

Nel 2000 la svolta: debutta a teatro con i “Menecmi” di Plauto, per la regia di Nicasio Anselmo, poi recita in “La duchessa di Amalfi” di Nuccio Siano. Da qui prende parte alle fiction “Una donna per amico 3” e “Maria Maddalena”, e al musical televisivo “Gian Burrasca” di Rita Pavone. L’opportunità sul grande schermo arriva nel 2007: è Ferzan Ozpetek in persona a volerla per il ruolo di una tossicomane in “Saturno contro”. Il personaggio di Roberta le fa guadagnare il Nastro d’Argento e il David di Donatello come miglior attrice non protagonista, oltre al Ciak d’Oro e al Globo d’Oro come attrice rivelazione dell’anno. L’annop dopo Ambra è una mediatrice culturale per “Bianco e Nero” di Cristina Comencini, nel 2009 è la co-protagonista nella commedia di Luciano Melchionna “Ce n’è per tutti”, nel 2010 recita al fianco di Giuseppe Battiston in “Notizie degli scavi” di Emidio Greco e nel monologo teatrale di Stefano Benny “La misteriosa scomparsa di W.” Tra gli ultimi lavori televisivi, “Eroi per caso”, “L’ultima trincea” (entrambi diretti da Alberto Sironi)  e la sit com “All star” di Massimo Martelli.

Istrionica, decisa nelle scelte, innamorata dei bambini (voleva farli nascere), Ambra si direbbe una donna fortunata eppure la sofferenza non l’ha risparmiata. A 17 anni comincia ad avere seri problemi con il cibo e diventa bulimica. “Non mi sono ammalata per il lavoro – racconta – ma perché non riuscivo a stare con le persone. Ho sempre avuto paura della figura maschile e questo si trasformava in aggressività”.

Anche la tua Giulia è piena di paure…
Lei ha una caratteristica fissa, una specie di depressione perenne. E’ l’unica che non esce mai di casa, come un canarino resta nella sua gabbia e lì finge di ritrovare tutta una serie di leggerezze che in realtà non ha. Si cambia spesso d’abito, vuole essere bella, si guarda allo specchio come se dovesse uscire. Si innamora del fratello maggiore Augusto perché in quel momento, in quella casa, è il simbolo dell’uomo. Quando l’altro fratello, Alessandro, comincia a prendere in mano la situazione e uccide la madre, la sua attenzione si sposta su di lui. E’ una donna che ha bisogno di stimoli, non è stupida ma non si è mai messa alla prova. E’ complicato ingabbiarla in una categoria, volendo ogni sera si può fare una Giulia diversa.

Hai sentito la responsabilità del testo di Bellocchio?
La responsabilità è relativa. Mi interessava fare un lavoro che potesse aggiungere un altro tassello all’idea che ho in testa. Il peso lo sento anche con altri testi, è successo per esempio con quello di Benny. Perché affrontare il pubblico è dura a prescindere. Volevo conoscere Marco per le sue visioni, per il suo essere semplice e complesso allo stesso tempo. In lui ho scoperto una vena ironica e grottesca che non immaginavo. Con Stefania invece, che è la mia insegnante da sempre, è stato difficile lavorare dal punto di vista umano. Nel senso che ho conosciuto una persona più rigida e seria di quella che ero abituata a vedere.

Che tipo di indicazioni ti hanno dato?
In alcuni passaggi sono state le stesse, in altri erano molto discordanti ma solo perché una donna ha una visione delle altre donne che è diversa rispetto a quella degli uomini. Con questi primi spettacoli stiamo cercando di combinare entrambi i punti di vista, in modo da rendere Giulia più interessante su di me. Marco ci teneva a utilizzare la mia faccia per ciò che di meglio poteva dare, di certo non si poteva fare un’altra Pitagora.

Com’è stato il pubblico toscano?
Il pubblico è strano perché è misto. Ci sono tanti ragazzi incuriositi dal testo: a Pietrasanta, per esempio, c’erano 80 studenti che hanno colto la parte “pulp” dello spettacolo e uscivano dicendo: “ganzo sto’ spettacolo, ganzo…”. Ma ci sono anche gli adulti che si ricordano la storia del film. Nello spettacolo si ritrova un po’ della nostra cronaca nera con più dignità: la nostra è una famiglia anti-televisiva, ambientata in un tempo in cui il plastico di Vespa non esisteva e le tragedie familiari rimanevano in famiglia.

E’ vero che il provino per la protagonista di “Vincere”, il film di Bellocchio, è stato un disastro?
Ne ho fatti due. Il primo fu un disastro emotivo perché ero terrorizzata. Mi succede sempre, con gli esami non sono mai stata brava. Poi sul campo so che ce la posso fare: ma questo, a un regista che vuole fare un provino, è difficile spiegarlo. “E’ incredibile – mi disse Marco – che con una faccia come la tua ciò che racconti a voce non ha nessun peso”. Ero a Roma: mi ricordo solo che arrivai in stazione, mi infilai sul treno, cominciai a piangere e smisi a Brescia. Mi richiamò, nonostante tutto gli avevo acceso una certa curiosità. Il secondo provino andò bene ma alla fine scelse Giovanna Mezzogiorno: era ovvio, non mi aspettavo di fare il film. Però, alla prima occasione, mi ha richiamata per un cortometraggio e da quello è nata la mia Giulia.

Giulia è una ragazza borderline, un aspetto che per certi versi si ritrova anche nella Francesca di “Immaturi”.
Adoro questo film, ci ho sempre creduto. Ed è strano perché io sono sempre molto critica con me stessa: non mi piaccio, non mi sento mai all’altezza e spesso rompo le scatole a chi lavora con me. Ma qui ci ho visto cose bellissime, sono sicura che funzionerà. La mia Francesca è uno chef sesso-dipendente e però la sua malattia è rappresentata in modo delicato, nel senso che non si porta a letto tutti i maschi che le capitano. Sente invece la sofferenza di non saper gestire questa dipendenza. E’ un personaggio che fa ridere: è tenero, è buffo, ha i suoi momenti down. Con i vecchi amici prepara gli esami, ma cerca anche di risolvere i suoi problemi perché sente di aver trovato la “cuccia” giusta.

In passato anche tu hai sofferto di una forma di dipendenza…
Molte ragazze mi scrivono per confrontarsi con la mia storia, alcune sono piuttosto disincantate sulla possibilità di farcela. Non è facile dir loro che non è vero, perché non è facile uscirne. Io sono stata bulimica per 7 anni e per i primi 3 non me ne sono neanche accorta. Ho capito che avevo un problema quando mi sono resa conto che mi era rimasta solo quella priorità. Le uscite la sera, gli amici, niente esisteva se prima non avevo risolto le mie “pratiche”.

Come nei sei uscita?
Il merito è mio, come di tutte quelle che ne escono. Poi ho avuto una madre che ha saputo stare al posto suo nel modo giusto. In questi casi spesso si diventa invadenti, invece lei mi ha dato una prova d’amore che è forse la più grande che abbia mai ricevuto. Pur sapendo tutto e probabilmente preoccupandosi giorno e notte, non mi ha mai fatto sentire la malattia. Anzi. Mi ha sempre trasmesso la sua stima, cercando di farmi capire quanto fossi gigante, dentro e fuori. Grazie a questa prova mi sono risvegliata: è stato un clic, se n’è andato così com’è scattato.

Torniamo al cinema. Per Cerami ti sei trasformata in una ragazza gay. Che tipo di personaggio hai costruito?
Con Matteo non abbiamo scelto una storia gay dichiarata ma qualcosa di più moderno. Io è Claudia Zanella siamo due donne che decidono di condividere un percorso di vita perché non credono più negli uomini, ma non fanno sesso: semplicemente decidono di diventare gelose l’una dell’altra e di provare ad avere un figlio. Tra l’altro per me l’omosessualità rientra nella normalità: per anni ho militato nel circolo di Mario Mieli e non riuscirei mai a costruire un personaggio-macchietta.

E’ vero che per interpretare questa ragazza sei ingrassata?
Fisicamente sono piuttosto diversa. A parte i capelli corti, è proprio l’atteggiamento che è diverso. Volevo che fosse meno schizzinosa rispetto a me, meno attenta alla camminata, più easy. Lei indossa quello che trova la mattina e si veste anche nelle bancarelle. E’ molto interessante il suo “grugno”, nel senso che è sempre un po’ incavolata.

In tv hai cominciato giovanissima. Poi sei passata alla radio e nel 2000 hai debuttato a teatro. Da allora hai rivoluzionato tutto. Da dove viene questa scelta?
Ci sono cose che accadono perché devono accadere se non ti chiudi e non ti intestardisci. Ho fatto televisione per tanti anni e non l’ho mai rinnegata: per la popolarità che ti porta è un mezzo potentissimo. Ma ci sono anche cose che succedono per caso e non è detto che debbano far parte della tua vita per sempre. E’ chiaro che quando la tv ha cominciato a farmi resistenza ci sono rimasta male, ma io sono abituata a rinnovarmi: sono molto determinata nel farcela e però non sono ottusa. Ho visto che si aprivano altre porte e allora mi sono detta: perché fare l’ospite se non ho più un mestiere? Non voglio essere famosa perché vado un po’ qua e un po’ là, voglio avere un lavoro.

E poi che cos’è successo?
Quando ho preso coscienza di ciò che stava accadendo ho evitato tutto quello che poteva consumarmi e ho cominciato a rispondere a quelle persone che dimostravano curiosità nei confronti del mio personaggio (e per fortuna erano tante). Sono partita con la radio, poi ho provato il teatro off: con i “Menecmi” di Plauto abbiamo girato tutta la Sicilia con molta umiltà.

Quando hai capito che la recitazione sarebbe stata la tua vita?
Con “La duchessa di Amalfi”. E’ stato il mio primo grande ruolo drammatico, un testo di Webster, una compagnia di attori straordinari. Nuccio è il regista che ha fatto la differenza, la persona che mi ha fatto capire quanto fossi innamorata del teatro.

Dopo qualche anno è arrivato Ozpetek…
Si ma prima ci sono stati milioni di provini, oltre a piccole parti nelle fiction più disparate. Quando ho deciso di fermarmi perché ero incinta, è arrivata la telefonata del regista turco che adoravo. Ho trovato un messaggio sulla segreteria e ho pensato: “ma che ti richiamo, figurati se è vero!”. Ne ho parlato con Francesco e lui: “ma che sei matta? Chiama subito!”. Ci ho messo 5 giorni: allattavo una bambina di pochi mesi e Ferzan mi voleva per l’anno dopo. Nel frattempo mi sono accorta di aspettare Leonardo: “addio film”, ho pensato ancora. E invece no. Dopo il parto è arrivata un’altra telefonata: “adesso non hai più scuse – mi ha detto – ti aspetto”.

Che ricordi hai di quel film?
L’amore assoluto e la felicità totale. Mi sentivo in grazia di Dio, quasi una miracolata. Ferzan è uno che le donne le conosce benissimo: come un pranoterapista ti avvicina la mano alla pancia e ti tira fuori delle cose così segrete…

Tipo?
Prima di tutto una fragilità, un pudore e una timidezza che però non sono mai state le caratteristiche con cui mi si riconosce di più. La complessità del personaggio di Roberta, dove c’è tanto di mio, lui l’ha vista tutta. L’unico mio merito è stato quello di mostrarmi: non aver paura di ciò che ero in quel momento, non fingere di essere super serena, l’Ambra che tutti conoscevano ma che non c’entrava niente con me.

Rispetto a ogni settore, qual è l’esperienza che ti ha regalato più emozioni?
Il modo in cui sono nata è speciale, per questo “Non è la Rai” è un programma che risceglierei tutta la vita. A rivederlo oggi sembravamo un gruppo di educande che non hanno nulla di morboso. Quelli che lo guardavano con quel tipo di occhio sono tutti i mostri di oggi, noi c’entravamo poco. Senza Boncompagni di mezzo scelgo il “DopoFestival” con Pippo Baudo: una scommessa solo mia (in quel momento Mediaset mi aveva lasciata sola) in cui ho creduto tanto e che ho vinto.

In radio?
Senza dubbio l’esperienza più importante è stata “Musica anarchica”. Andava in onda su Radio 2 da mezzanotte alle due. Con altri due ragazzi facevamo tutto da soli: dagli ospiti ai testi ai gruppi musicali di talento. Ho conosciuto personaggi incredibili, con la maturità di oggi rifarei il programma a occhi chiusi.

A teatro?
Il monologo di Stefano Benny. Il regista, Giorgio Gallione, mi propose questa follia dopo avermi vista con Crozza: un testo difficile, una grande scommessa che ha funzionato. Merito del gran lavoro che abbiamo fatto in tre mesi di prove, litigando e cercando di studiare come si fa a scuola. A Giorgio sono davvero grata,  mi ha dato una sicurezza che non avevo.

Concludiamo con il cinema.
Un bel casino! Potrei offendere un sacco di gente…

Allora scegliamo il ruolo che hai sentito più tuo.
In realtà i ruoli diventano tutti miei, non ce n’è uno che non mi piace. Come opportunità penso a “Notizie degli scavi”: avevo una parte drammatica all’italiana, dove un’attrice ha la possibilità di dare tanto. Io non so se ci sono riuscita, so però che a quel piccolo grande film mi sento molto legata. E’ una pellicola complicata che non ha trovato una grande distribuzione. Probabilmente è fuori dal tempo, ma proprio per questo resterà nel tempo.

Il personaggio che ti manca?
Mi piacerebbe una parte in un film storico. Ho girato una fiction che è andata in onda da poco su Rai Uno (“Eroi per caso”, con Neri Marcoré e Flavio Insinna, ndr), era ambientata nel periodo della Prima Guerra Mondiale. E’ bellissimo ritrovarsi in quei panni, è come ritrovare l’inizio del tuo essere donna. E poi vorrei interpretare un horror, un genere che adoro. In Italia se ne girano troppo pochi, anche se abbiamo una grande tradizione: quelli di Dario Argento, da “Suspiria” a “Profondo rosso”, o “La casa delle finestre che ridono” di Pupi Avati, sono sempre i più suggestivi.

Se avessi la possibilità di scegliere, torneresti a fare la conduttrice?
No! E’ qualcosa che mi viene fin troppo facile, perché quando vado in tv sono a casa. Non penso sia grave se un’attrice va in televisione e si diverte, so prendere le distanze da me stessa e comunque penso che chi recita debba anche saper comunicare con il pubblico. Adesso la tv mi viene bene, forse perché non mi preoccupo più di farla. In ogni modo preferisco conoscermi. E fare l’attrice mi dà la possibilità di farlo.

Dal tuo debutto in tv ti sei reinventata continuamente. C’è mai stato un momento difficile in cui hai avuto la tentazione di lasciare tutto?
No, perché in quei momenti avevo altre priorità: i bambini, la famiglia. Il momento giusto per lasciare non arriva quando ti chiamano poco, ma quando sei convinta di avere tutto.

A proposito di maternità. Che cosa ti ha tolto e che cosa ti ha dato?
Mi ha tolto la concezione egocentrica della vita e la spensieratezza di buttarmi senza pensare. Mi ha dato la pienezza dell’immortalità, perché dopo di me ci sono loro e perché è importante fare dieci passi indietro rispetto a loro. Perché essere genitori è diverso che essere amici dei propri figli.

Se un giorno uno di loro decidesse di fare televisione o cinema?
E’ un problema che non mi preoccupa, perché sarebbe ipocrita negargliene la possibilità. In ogni modo, per come viviamo il lavoro a casa, non credo che ne subiranno il fascino. Ieri chiedevo a Jolanda se voleva venire a vedermi: lei mi ha risposto che in teatro ci va già con la sua classe e magari è più divertente. Insomma, se non hai un minimo di ego nascosto in una tasca muori schiacciata dai bambini che con la loro onestà ti dicono quello che pensano. In famiglia viviamo molto di più le loro passioni. Leonardo ama l’archeologia e la paleontologia, mettere a posto dinosauri e robe simili per lui è il massimo. Jolanda adora gli insetti e gli scarafaggi.

E’ vero che quest’estate ti sposerai?
C’è stata una promessa ma per noi non è così urgente. Francesco è stupendo e romantico ma è anche molto pigro, non penso abbia pensato a qualcosa per giugno. E visto che io ho fatto due figli, l’organizzazione del matrimonio spetta a lui!

Che ruolo ha avuto nel tuo cambiamento lavorativo e personale?
Sul lavoro nessuno, mentre è stato importante per il mio percorso di vita. Mi ha dato la possibilità di riempire di senso le mie giornate e la mia testa, in più mi ha aiutato a superare i miei limiti di donna che non si piace e per questo si flagella.

Chi sono stati i tuoi maestri?
Grazie a mia madre sono cresciuta con i film di Anna Magnani, Sofia Loren, Pasolini e De Sica. Con mio padre andavo al cinema tutte le domeniche: guardavamo Alberto Sordi e Franca Valeri. Forse  è lei l’attrice che mi ha insegnato di più, del suo repertorio rifarei tutto.

E’ nata così la tua passione per il palcoscenico?
No, no…da piccola volevo fare l’ostetrica o la ballerina classica! Abitavamo in una borgata di Roma e, per evitare che passassi il tempo in strada, mio fratello mi accompagnava a lezione di danza: ero molto seria e avevo un corpo che mi aiutava. Quando a scuola arrivò il fax per il primo provino ero felice perché avrei fatto parte di un corpo di ballo. All’inizio ho partecipato a “Fantastico” con Raffaella Carrà e Jonny Dorelli, servivano delle ragazze per il balletto della sigla. Anche con Boncompagni ero convinta di essere stata presa perché ero brava a ballare, invece poi ho fatto tutt’altro. Ma io non ho mai sognato la conduzione, non sono mai stata la bambina degli spettacolini in casa.

Se non avessi fatto questo lavoro?
Avrei lavorato con i bambini, mi sarebbe piaciuto sguazzare nei nidi degli ospedali. L’amore per loro è l’unica certezza che ho sempre avuto. Quando avevo dieci anni cercavo i figli degli altri, che mi lasciavano perché ero responsabile: sapevo come cavarmela con pannolini e latte in polvere…Anche per questo con i mie figli non ho mai avuto problemi.

A chi devi dire grazie?
Devo tutto a me stessa e a chi mi ha resa così, ovvero tutte le persone importanti della mia vita. Parlo di certe regole ferree di mio padre che ho sempre detestato e ho capito solo oggi, di mia madre che si è appassionata a me e non al mio lavoro, dei miei fratelli che sono rimasti tali e non hanno mai rilasciato interviste. A me stessa devo tanto perché tutto ciò che avevo vicino non è cambiato, anzi è diventato una specie di protezione. Per questo, quando vado al lavoro, ho un buon carattere e mi diverto come una pazza.

Un difetto e un pregio.
Sono lunatica, prepotente e testarda. Ma so stare al mio posto, nel senso che accetto le cose che vengono senza abbattermi ricomponendo i pezzi ogni volta.

E come si fa?
Come un mobile dell’Ikea, per rimetterlo a posto c’è un libretto delle istruzioni. Non ci si capisce niente però alla fine qualcosa esce e anche se non è la cosa più stabile del mondo, sei abbastanza felice perché te la sei montata da sola.

Il vizio di cui non puoi fare a meno?
Da due mesi non fumo, non bevo, non mangio zuccheri e sono super vitaminica. Mi sto facendo due scatole così, vorrei poter mandare tutto all’aria e invece sono costretta a mangiare pane azzimo e biscotti al kamut. Ma se non mi tengo in forma adesso, con questa tournée allucinante e la promozione del film, rischio di fare un gran casino. E io alla mia testa ci tengo.

Il tuo sogno?
Non faccio mai sogni a lungo termine, preferisco quelli piccoli e realizzabili che non creano frustrazioni. In questo momento voglio rivedere i miei figli e sentirmi una mamma. Succederà tra sei giorni e non vedo l’ora.

La tua paura più grande?
C’è stato un periodo, a settembre, in cui le mie paure mi hanno mangiata viva. Ho cominciato a temere il buio, l’ascensore, l’aereo, i posti chiusi, la gente. Probabilmente era il campanello d’allarme di un grande stress. Da quel momento ho cominciato a convincermi che io non ho paura di niente. L’unica paura che non supererò mai è quella legata ai miei figli. Se penso che la mia vita inizia e finisce con loro è un bel casino!

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