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RB Casting dà il Benvenuto a Donatella Finocchiaro

Intervista esclusiva a Donatella Finocchiaro

Rappresentata dall’agente Emanuela Di Suni (Carol Levi & Company)
Ufficio stampa Patrizia Cafiero & Partners

www.rbcasting.com/site/donatellafinocchiaro.rb

Il 2011 è senz’altro il suo anno. A fine mese la vedremo in coppia con Carlo Verdone nel nuovo “Manuale d’amore” di Giovanni Veronesi. A marzo sarà nelle sale con la commedia agro-dolce di Roberta Torre “I baci mai dati” (unico film italiano passato in concorso al Sundance Film Festival) e con “Sorelle mai” di Marco Bellocchio. A maggio sarà al fianco di Vincenzo Salemme e Giuseppe Battiston in “Senza arte né parte”, per la regia di Giovanni Albanese. E nei prossimi mesi uscirà “Terraferma” di Emanuele Crialese, film sul dramma dei clandestini dove lei veste i panni di una madre siciliana in bilico tra tradizione e cambiamento. Intanto, sempre diretta dalla Torre, continua a riempire i teatri di tutta Italia con “La ciociara”. Il prossimo appuntamento è al Manzoni di Milano, dall’8 al 27 febbraio.

Donatella Finocchiaro, catanese, professione camaleonte. Perché lei sa essere malinconica, drammatica, sensuale, arpia, stralunata, brillante e pure comica. Dopo quindici anni di gavetta, oggi si prepara al suo momento d’oro. Nel lavoro ma anche nella vita privata, visto che sta vivendo una bella storia d’amore con un misterioso fidanzato attore. Per tutto il tempo che passiamo al telefono lui le rimane accanto. Ma io me ne accorgo solo alla fine, quando le faccio la domanda sui difetti e i pregi. Donatella ha un attimo di esitazione e il Signor X, con un filo di voce, le suggerisce la risposta. “Il mio fidanzato dice che sono generosa e cocciuta”, sbotta tra le risate. “Come si chiama il tuo fidanzato?”, chiedo incuriosita. E lei: “Lo dico? No, non vuole.  Non è famoso, ma è ambizioso”. Di questo misterioso Signor X riesco a sapere solo la città natale: Catania. Forse anche per questo la vita di Donatella si divide tra Roma e la Sicilia.

Catania, è qui che comincia la storia. Suo padre la vorrebbe avvocato o magistrato. Lei si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, ma a tre esami dalla laurea ci ripensa. “Andavo all’Università e intanto frequentavo un laboratorio teatrale – racconta – ma non pensavo al teatro come a un mestiere. A un certo punto sono entrata in crisi: non mi trovavo più, le materie giuridiche mi sembravano troppo aride. Decisi allora di prendermi un anno sabbatico e andai a Roma”. E’ il 1996. Donatella frequenta il laboratorio del Teatro dell’Orologio e qui debutta con “La principessa Maleine” di Maeterlinck. Suo padre però vuole che finisca gli studi e lei torna in Sicilia. In sei mesi si laurea, ma la passione per il palcoscenico è troppo forte: dopo un breve periodo di pratica legale, decide che il teatro sarebbe stata la sua vita. E da lì non si ferma più.

Arrivano tanti piccoli ruoli nelle tragedie di Luca Ronconi, poi finalmente il debutto al cinema. E’ il 2001 e Roberta Torre la sceglie per raccontare la storia vera di “Angela”, la donna di un boss della mafia. Il successo è immediato: la stampa la paragona ad Anna Magnani, tra i tanti premi c’è anche una candidatura al David di Donatello. Nel 2004 viene diretta da Davide Ferrario nella commedia “Se devo essere sincera”, nel 2006 è nel film di Roberto Andò “Viaggio segreto”. Nello stesso anno Marco Bellocchio la sceglie come sposa nel suo “Regista di matrimoni”. Negli anni che seguono ha una parte in “L’abbuffata” di Mimmo Calopresti con Gérard Dépardieu e nel lungometraggio di Andrea Porporati “Il dolce e l’amaro”. In “Galantuomini di Edoardo Winspeare, accanto a Fabrizio GifuniBeppe Fiorello, è un boss della Sacra Corona Unita che si innamora di un giudice. In tv è la BR Adriana Faranda nell’ “Aldo Moro” di Gianluca Maria Tavarelli e la madre di un ragazzo della Napoli camorristica nella miniserie “’O professore” di Maurizio Zaccaro. L’intervista parte da uno dei suoi ultimi lavori, “I baci mai dati”.

Chi sei questa volta?
Il film parla di una famiglia in crisi. Io interpreto una madre tutta presa da sé stessa e dall’apparenza: sono l’ex miss del quartiere,  ho i miei riccioli e una serie di vestiti stringati e leopardati. Ho un marito, Beppe Fiorello, che si sente un fallito. Poi c’è mia figlia, una ragazzina che per attirare l’attenzione fa credere a tutti di aver parlato con la Madonna. Dopo un’intervista in tv la casa si riempie di aspiranti miracolati. E il mio personaggio coglie l’occasione per organizzare un vero e proprio business.

Da dove viene il titolo?
Si parla del rapporto mancato tra madre e figlia, di quei baci che non sono mai stati dati e che alla fine cerchiamo di recuperare.

Un ruolo insolito per te che sei abituata al drammatico…
E’ stata una scommessa, con Roberta ogni film lo è. Nel primo mi affidò il ruolo di Angela, la protagonista, senza sapere chi ero e come lavoravo. Non succede spesso che un regista si fidi di una perfetta sconosciuta ed è un peccato, perché l’Italia è piena di talenti inespressi. Anche “La ciociara” è stata una sfida.

Tutte vinte queste sfide?
Credo di si. “Angela” ha ricevuto tanti consensi e “I baci mai dati” comincia a ottenere le prime conferme. Poi c’è “La ciociara” che sta andando bene. A pensare che non volevo farla…

Perché?
Il paragone con la Loren mi spaventava troppo. Poi ho capito che non si trattava di un remake del film e mi sono convinta. Del resto stiamo parlando di un personaggio magnifico, magari ce ne fossero a teatro! Spero che questo spettacolo dia il via a tante ciociare…

Che donna è la tua ciociara?
Ho letto il romanzo di Moravia e ci ho trovato delle sfumature straordinarie. C’è uno spaccato di quell’epoca, una descrizione così meticolosa dei personaggi e dei luoghi, che le idee vengono da sé. Con Roberta abbiamo cercato di costruire una donna terrena ed estrema, di quelle che non ci sono più.  La ciociara, per esempio, rubava per mangiare e camminava con il coltello in tasca per difendersi da chi la minacciava. A parte il libro, mi sono ispirata a mia nonna Checca. Lei è stata una specie di mito: durante la guerra lavorava in un orfanotrofio (si diceva fosse figlia illegittima di un principe!) e dalla dispensa delle suore rubava carne e parmigiano per la gente del quartiere.

Quanto c’è della tua sicilianità nei personaggi che interpreti?
Dipende dai casi. Per ogni personaggio vado a pescare un ricordo o un’emozione dal mio passato, un po’ come insegna Stanislavskij. Ma non mi fermo qui: quando mi capita qualcosa che non ho mai vissuto cerco di farla ugualmente, magari ispirandomi a donne come mia nonna.

Nell’ultimo film di Crialese sei una siciliana.
Sono Giulietta, la mamma di Filippo Pucillo  (“Respiro”, “Nuovomondo”, ndr). Poi c’è Mimmo Cuticchio che interpreta il nonno e Beppe Fiorello nella parte dello zio. Il mio personaggio cerca di aprire la mente del figlio, spiegandogli che il mondo non finisce con l’isola, mentre il nonno vuole che continui a vivere nel rispetto delle tradizioni. E il ragazzo, che ha 18 anni, non sa dove andare.

Tra un paio di settimane esce “Manuale d’amore 3”, mi parli del tuo personaggio?
Sono una ragazza che soffre di un disturbo bipolare, nel senso che alterno momenti tranquilli e seducenti a momenti di assoluta follia. Perché la mia passione per Verdone si trasforma in una vera ossessione. Quando Veronesi mi ha proposto questa commedia mi sono detta: “che bello, finalmente mi diverto!”. Invece ho dovuto trovare il giusto equilibrio tra pazzia e normalità apparente, e non è stato tanto facile!

Come ti sei trovata a recitare con Verdone?
Lavorare con Carlo era il mio sogno nel cassetto. E’ travolgente, creativo, uno dei pochi comici che fanno ancora ridere. Per ogni ciak inventa qualcosa che ti sorprende.

Il tuo debutto al cinema. Com’è andata?
A febbraio del 2001 mi chiamarono a Palermo per un casting. Avevano selezionato una mia foto e mi volevano incontrare. All’inizio non volevo andarci perché al cinema proprio non ci credevo: nei pochi provini che avevo fatto c’era sempre tanta gente, non potevo farcela. Ma questa volta mi dissero che eravamo rimaste in tre. Così conobbi Roberta: un incontro folgorante, un feeling quasi immediato. Nel pomeriggio mi presentò la vera Angela e dopo dieci giorni la produttrice mi chiamò.

Che cosa ti ha insegnato quell’esperienza?
Tantissimo. Arrivavo dal teatro e di cinema non sapevo nulla. Nella prima settimana di riprese non chiusi occhio per l’ansia: ero spaventata dalle aspettative che tutti avevano su di me, ero la protagonista! Roberta fu straordinaria, mi diede da mangiare con il cucchiaino. Per insegnarmi come muovermi davanti alla macchina da presa mi diceva: “quella non esiste, devi assecondarla ma non devi temerla”. Lavorava soprattutto sul mio istinto e sulla mia capacità di improvvisare: forse proprio per questo riuscivo a sentirla.

Che cosa c’è di te nel personaggio di Angela?
Ben poco perché per diventare Angela sono uscita da me stessa. Quando sbagliavo Roberta mi avvertiva che quella non era Donatella, era la moglie di un boss della mafia. All’epoca avevo 28 anni ma in quel film sembravo già un donnone: tutta costruita, con le unghie dipinte e i capelli sempre a posto.

Anche Galantuomini parla di malavita organizzata…
Il contesto è quello ma questa volta il boss sono io. Un ruolo ancora più estremo, perché Angela ha la sua femminilità mentre Lucia è un maschiaccio, una donna che quasi si dimentica di essere donna. Si tratta di un personaggio più forte: è pronta a uccidere, in certi momenti risulta quasi sgradevole.

Nel film qualcuno ti dice che la rabbia bisogna trattenerla per tirarla fuori quando serve. Vale anche per un’attrice?
Non credo. Sono contraria alla rabbia, soprattutto se è fine a sé stessa. Va bene la forza e la determinazione, va bene combattere per le proprie idee, non va bene l’aggressività. Non porta da nessuna parte.

Come ti comporti nei momenti di difficoltà?
Da ragazzina mi capitava spesso di scattare, poi ci ho lavorato su e adesso dico: la rabbia non va accumulata, quello che non va bisogna dirlo subito.

Ti sei affidata a uno psicoterapeuta?
Mi sono affidata alla bioenergetica che lavora molto sul corpo e sulla respirazione. Credo molto alla forza del respiro e alle tecniche dello yoga: cambiando il modo di respirare modifichiamo anche i pensieri e le dinamiche mentali. Respiriamo troppo poco e troppo superficialmente per essere a contatto con il nostro vero io.

E’ vero che da piccola volevi fare la suora?
La suora o la ballerina (ride). Sono sempre stata un po’ mistica: andavo in chiesa, seguivo il catechismo. Poi l’aspirazione alla spiritualità si è trasformata in altro.

Quando hai deciso che saresti diventata un’attrice?
E’ successo grazie a un’amica. Frequentavamo il laboratorio a Catania e lei ebbe l’idea di fare un provino all’Accademia d’Arte Drammatica di Roma. Mi disse: “io faccio la spalla a te e tu fai la spalla a me”. Come al solito io non volevo andare, avevamo già 25 anni! Alla fine mi lasciai convincere. Passai la prima selezione e il primo tarlo si insinuò nella mia testa.

E poi cos’è successo?
Rimasi a Roma quasi un anno per fare un altro laboratorio teatrale, questa volta al Teatro dell’Orologio. Ma mio padre mi richiamò all’ordine, dovevo finire l’Università. Tornai a Catania con la coda tra le gambe! Mi laureai il 26 ottobre del ’96 e però l’8 novembre cominciai la scuola del Teatro Stabile.

Dove sei rimasta per tre anni…
In realtà dopo un anno mi cacciarono. La mattina andavo in tribunale e il pomeriggio a scuola: spesso ero in ritardo, a volte saltavo la lezione. Non poteva andare avanti così. Dopo l’espulsione, andai a parlare con il direttore del teatro: gli dissi che non era giusto, che pretendevo di fare dei provini. Per fortuna trovai una persona illuminata che accettò la mia sfida. Quell’anno feci ben due spettacoli.

E lo studio legale, quando l’hai lasciato?
Dopo un paio d’anni. Mio padre si arrabbiò molto: “Angela” non era ancora arrivata e la vita del teatro mi offriva ben poco. Ma io non avevo nessuna intenzione di rinchiudermi in uno studio per risolvere i problemi della gente! Fu una decisione difficile, rinunciavo a una carriera sicura per un sogno. Forse scelsi la recitazione anche perché ero fidanzata con un attore che poi ho sposato. Siamo stati insieme per dieci anni, la sua presenza è stata fondamentale per la mia carriera.

Quand’è che tuo padre ha cambiato idea?
Per i miei genitori quella scelta fu un pugno nello stomaco. In realtà mio padre mi aveva dato una specie di approvazione prima che partissi per Roma. Vedendo la mia Elettra mi aveva detto: “vabbè, ho capito perché vuoi fare l’attrice”. Certo non era contento: diceva che avrei fatto una vita di sacrifici e di vagabondaggio. Però adesso mi incoraggia sempre, anche quando lo chiamo e gli dico che sono stanca.

E quando ti vede al cinema?
Prima mia madre era la mia fan numero uno, quella che ritagliava tutti gli articoli di giornale, e mio padre era il burbero. Adesso che lei non c’è più, lui è cambiato. Se vede qualcosa di mio e non gli ho detto niente mi rimprovera…

Qual è il ruolo che ti ha dato più emozioni?
Ogni personaggio che ho fatto, dal primo all’ultimo, mi ha messo un po’ in crisi. In teatro è ancora più difficile perché ogni sera è diverso, non trovi mai il giusto equilibrio. Non penso di avere un ruolo preferito, credo solo che il nostro mestiere porti a una crisi continua. E però è proprio questo l’aspetto positivo!

Il ruolo che ti manca?
Mi piacerebbe interpretare una cattiva estrema, come Glenn Close in “Attrazione fatale” o la Crudelia De Mon di Walt Disney.

Il regista con cui ti piacerebbe lavorare?
Ce ne sono tanti. In Italia vorrei essere diretta da Matteo Garrone, tra gli americani scelgo Quentin Tarantino. Ecco, mi piacerebbe interpretare un bel personaggio “pulp”.

A proposito di anima “pulp”. Tra gli altri hai lavorato con Marco Bellocchio…
Mi hanno detto che a maggio (finalmente) uscirà “Sorelle mai”. Io sono la mamma di Elena, la sua vera figlia. E’ un film onirico che parla della sua famiglia, un misto di teatro e verità.

Con Bellocchio hai girato anche “Il regista di matrimoni”. Com’è stato lavorare con lui?
Il rapporto con Marco è molto diverso da quello con Roberta. Lei lavora con l’istinto, lui ha un approccio più psicologico, è legato ai personaggi e ai sottotesti. Il suo aspetto più interessante è lo sguardo da ragazzino che ha mantenuto nel cinema: è bello osservarlo mentre gira, si diverte da impazzire!

A chi devi dire grazie?
A tanti! La prima è Stefania Caudullo, l’amica che mi ha proposto il provino all’Accademia di Roma. Poi c’è la mia ex cognata, Carmela, che mi ha spinto a fare il primo casting per “Angela”. Mio marito che mi ha sostenuta all’inizio della carriera e Roberta Torre che ha avuto il coraggio di scommettere su una sconosciuta.

Chi sono stati i tuoi maestri?
Roberta Torre, Gioacchino Palumbo (il regista che l’ha diretto nel primo laboratorio catanese, ndr), mio marito e Bellocchio.

Il vizio di cui non puoi fare a meno?
Non ho vizi. Come dicono le persone che mi conoscono, vivo nel “fantastico mondo di Donatella”. Un modo per sopravvivere in una società che non è proprio bella.

Il sogno nel cassetto?
Vorrei andare all’estero per un anno e magari riuscire anche a lavorare. Vivere tanto tempo nello stesso posto può essere limitativo.

La tua paura più grande?
Perdere le persone che amo. E’ già accaduto, per questo mi spaventa tanto.

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