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RB Casting dà il Benvenuto a Gabriele Cirilli

Intervista esclusiva a Gabriele Cirilli

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L’appuntamento è nella hall di un piccolo albergo della Capitale. Non uno di quegli hotel extra lusso, ma un posto accogliente e alla mano, come il personaggio che sto per incontrare. “Quando scendo vengo sempre qui – dice Gabriele Cirilli appena mi vede – è tranquillo e mi fanno sentire a casa”. Usa il verbo “scendere” perché dai tempi di Zelig vive a Monza con la moglie Maria e il figlio Mattia. “Mi sono trasferito al Nord per entrare a far parte di una famiglia televisiva – continua – adoro Roma ma è troppo conservatrice per i miei gusti. Milano è più aperta, più meritocratica e io mi sono sentito come il ragazzo che va all’estero a cercare il successo”. Nella città eterna Cirilli ha vissuto per 14 anni, il tempo di frequentare il Laboratorio di Esercitazioni Sceniche di Gigi Proietti, essere notato da Luigi Magni e farsi un po’ di muscoli con il teatro. Prima ancora era in Abruzzo, dove vive la mamma Augusta, la “carabiniera” di origini emiliane che, con Maria De Luca (la moglie autrice e manager), è stata la roccia della sua vita artistica.

Lui lo sa ed è fierissimo delle sue donne, così come va fiero di essere stato nominato dal critico Marco Giusti in un libro su Aldo Fabrizi, accanto a comici come Montesano, Verdone, Proietti. “Perché i natali artistici romani ti danno una marcia in più – ammette – e per me, che sono abruzzese, trovarmi vicino a loro è stato un grande onore”. Romana è Kruska, il personaggio che con il tormentone “Chi è Tatiana?!?” gli ha procurato una straordinaria popolarità e un libro da 350 milioni di copie vendute (gli altri – “Ma come ‘azz porti ‘sti capelli?”, “Voglio tornà bambino!” e “Ciao Papà”, tutti scritti con la sua Maria e pubblicati da Mondadori – hanno raggiunto incassi discreti ma mai paragonabili al primo). E a Roma ha portato l’ultimo successo, “In famiglia senza medico”, lo spettacolo che ha salutato il 2011, in attesa della versione teatrale di “Maschi contro Femmine” (Gabriele avrà il ruolo di Emilio Solfrizzi, con la regia di Fausto Brizzi), e dell’uscita in sala di “Buona giornata”, il nuovo film dei fratelli Vanzina. Per l’intervista ci spostiamo nella sala ristorante. Su uno dei tavoli i quotidiani riportano le ultime misure del Governo.

Che idea ti sei fatto del Governo Monti?
Penso che chiunque avesse preso il posto di Berlusconi sarebbe stato un figo, per lui era arrivato il momento di andarsene. Anche se alla fine dei conti non ha agito diversamente da un D’Alema o da un Prodi, perché ha pensato ai suoi interessi. Il problema del Governo Monti è un altro: ci voleva un professore per l’Ici o per la riforma delle pensioni?

Ti senti più a destra o a sinistra?
La mia famiglia ha sempre votato Democrazia Cristiana e io mi sento di Centro, anche se non c’è più. Certo c’è Casini con il suo programma di pace, amore e serenità (ride)… A parte gli scherzi, sono un cristiano cattolico e non mi vergogno di esserlo. Credo in Dio, nei valori della famiglia – non a caso il mio ultimo spettacolo parla di famiglia – e sono sposato da ventisette anni con la stessa donna. Si può avere qualche deviazione, ma l’importante è che i principi rimangano saldi.

Hai mai tradito?
L’essere umano è fragile, in qualsiasi momento c’è il diavoletto che ti dice: “dai, vieni qui!”. E può capitare di sbagliare, mica sono un computer…

Sfogliamo l’album dei ricordi. Nasci a Sulmona e poi che succede?
Finisco il liceo e vengo a Roma per il provino di ammissione al Laboratorio di Proietti. E’ successo tutto per una serie di eventi, tra cui anche una bocciatura che mi ha fatto diplomare un anno più tardi. Giusto in tempo per iscrivermi.

A Roma sei arrivato solo?
Solo, con l’aiuto di mia madre. Che ha creduto nei miei sogni sin dall’inizio.

Hai sempre pensato a un futuro sul palcoscenico?
Sempre. In “Voglio torna’ bambino” ci sono alcune mie foto da piccolo. A sette anni già recitavo.

L’idea era di diventare un comico?
Far ridere è sempre stata la mia specialità, ma l’obiettivo era diventare attore a 360 gradi. E quello sto facendo, perché spesso mi affidano ruoli drammatici. Però, però, provocare la risata è una gran goduria!

Mi racconti il provino con Proietti?
Bellissimo. Sono partito da Sulmona con una ‘500 di quelle vecchie, un contrabbasso legato sul tetto con lo spago, musicisti dentro e mia madre che guidava. Al provino c’erano più di duemila persone e tutti portavano la base, perché erano richiesti una canzone, un monologo, una poesia e un balletto. Mia madre mi aveva insegnato a ballare il liscio, così preparai una mini coreografia, due canzoni – “Gastone” di Petrolini in abruzzese e “Io, mammeta e tu” di Domenico Modugno – e una poesia di Pablo Picasso.

Il ricordo più vivo?
Arrivai la mattina già pronto: per essere perfetto mi ero truccato dalle sette e mezzo. Ma feci il provino alle undici di sera e non ti dico il trucco com’era diventato… Il rimmel era colato sul cerone bianco e le occhiaie di Gastone mi facevano assomigliare a un Panda.

Che lavoro facevano i tuoi?
Papà, che non c’è più, aveva una fabbrica di marmi. Per seguire la tradizione di famiglia aveva abbandonato i sogni: da ragazzino era un calciatore fortissimo, ma mio nonno non approvava. Mia madre lo aiutava con i conti, aveva sempre la battuta pronta e io ho preso da lei. Vive ancora a Sulmona, è una gran donna: a settantasette anni suonati è sempre in giro, tra volontariato alla Croce Rossa e pubbliche relazioni.

Quanto ha contato, nella tua carriera, il Laboratorio di Proietti?
E’ stato fondamentale. Intanto mi ha “inquadrato” e poi mi ha dato una certa credibilità. Ho avuto insegnanti come Vittorio Gassman, Arnoldo Foà e Alvaro Piccardi, tutti artisti che ti iniziavano al teatro vero. Poi succedeva anche che gli allievi prendevano la strada della comicità: nel mio corso, per esempio, c’erano Enrico Brignano, Flavio Insinna e Chiara Noschese. Un anno forte.

Chi sono i tuoi punti di riferimento?
Prima di tutto Gigi Proietti. Ho avuto la fortuna di fargli da spalla subito dopo il Laboratorio e per questo devo dire grazie ad Alessandra Collodel. Lavorava spesso nei suoi spettacoli e, dopo aver visto il mio saggio, suggerì a Gigi di “usarmi” in una serata estiva del ’90. Pensa che bello…

Che succede dopo Proietti?
Succede che faccio tanto teatro, anche quello tosto come Brecht e Pirandello, recitando al fianco di Piera Degli Esposti, Flavio Bucci, Lina Sastri. E faccio cinema: con Tony Scott, Paolo Villaggio, Alberto Sordi e Nino Manfredi.

Come arrivi a Zelig?
Volevo appartenere a una famiglia televisiva perché il teatro, che è la mia passione, non ti dà la popolarità della tv. In quel periodo andavano di moda i tormentoni e io mi son detto: devo entrare a far parte di una di queste famiglie. Così sono andato a Milano e ho fatto un provino. Inizialmente mi dovevano prendere per “Scatafascio”, lo spettacolo di Paolo Rossi, ma gli autori mi dissero che mi avrebbero chiamato per un altro programma. Pensai che mi stessero scaricando e invece mantennero la parola: il programma era Zelig.

Come nasce il tormentone “Chi è Tatiana?!?”?
Il personaggio è nato in macchina. Io e mia moglie stavamo andando al Gemelli e ci fermammo a chiedere un’indicazione stradale. Sul marciapiede c’era una ragazza tutta leopardata con gli zatteroni stile “Cugini di campagna”, che parlava con un tono un po’ mascolino. “Oh, devi andà dritto dritto dritto, giri a destra e poi a sinistra. Arrivi alla piazza e chiedi, che nun me ricordo più un c…. Ciao cocco!”. Per mia moglie fu una folgorazione, dovevo assolutamente rifarla.

E tu ti sei messo al lavoro.
Ho inventato la storia di Kruska, con tanto di amici e fidanzato. Quando sono arrivato all’amica del cuore, Tatiana, ho detto agli autori: vabbé, ma chi è questa Tatiana?  Quando lo ripetevo in un certo modo tutti ridevano. Ho provato con il pubblico, ha funzionato!

Come nascono gli sketch di Kruska e Tatiana?
Sempre con mia moglie. Insieme abbiamo scritto un libro (“Chi è Tatiana?!?”, 2001) che è stato il successo dell’anno. Nonostante Zelig andasse in terza serata.

Qualche ricordo legato ai tempi di Zelig?
Zelig sarà sempre una delle più grandi trasmissioni comiche, ma le edizioni dei primi tre-quattro anni sono indimenticabili. Eravamo una squadra che voleva vincere la Coppa dei Campioni, lo Scudetto, tutto. Se non c’è unità e determinazione non si arriva da nessuna parte e noi, in quegli anni, eravamo davvero forti. Gente strepitosa che aveva una storia nei cabaret e non lavorava solo per i tre minuti televisivi. Niente a che fare con i comici improvvisati che vanno di moda adesso.

Allora a condurre era la coppia storica Bisio-Hunziker. Ti davano dei consigli prima di entrare in scena?
Bisio è un grande capo comico che ti metteva in mano la sua esperienza. Alla Hunziker i consigli li davo io (ride), perché sono stato il primo e l’unico ad averla come spalla.

Dopo Zelig prendi parte a diverse fiction importanti, come “Chiara e Francesco”. Che esperienza è stata?
Bellissima. Io avevo il ruolo del co-protagonista, il Fra’ Leone che a San Francesco moribondo disse che i frati dovevano darsi delle regole. E’ stato lui a continuare  la missione del Santo. Per questa parte devo ringraziare soprattutto Fabrizio Costa.

E poi c’è stato “Un medico in famiglia”. Quante serie farai ancora?
Sto per iniziare la mia terza stagione, l’ottava in tutto. Io sono Dante Piccione, il fidanzato di Melina, la cameriera che ha sostituito la storica Cettina. In pratica ho il ruolo comico della fiction, quello che prima è stato di Enrico Brignano e Francesco Salvi.

Zelig ti ha dato una grande popolarità ma ti ha anche cucito addosso un’etichetta. Pensi ti abbia penalizzato rispetto ai ruoli drammatici?
Non mi ha né avvantaggiato né penalizzato. Il mestiere dell’attore, soprattutto in Italia, è molto difficile e se vuoi fare il gran salto devi avere la famosa raccomandazione o qualcuno che crede in te. Non si possono dare otto fiction su dieci a Beppe Fiorello, ci sono tanti attori bravi sul mercato.

Parliamo di cinema. Nel tuo showreel c’è una scena con Villaggio.
Un bel film che ha avuto successo quando è passato in tv, con sei milioni di spettatori la sera del 14 agosto. Il titolo è “Un bugiardo in Paradiso”, la storia di un figlioccio, ovvero di un poveraccio che si spaccia per il padre di un ricco mobiliere. L’idea viene al mio personaggio, Villaggio se ne appropria e io mi vendico. E’ una commedia poetica che al cinema non è andata bene perché i produttori, Lucisano e Cecchi Gori, non ci hanno creduto. La mia grande soddisfazione è stata quella di recitare al fianco dell’inventore di Fantozzi, il mio mito.

Con “Buona giornata” sei tornato un po’ a quel genere.
Ci saranno Diego Abatantuono, Christian De Sica, Vincenzo Salemme e Lino Banfi. Il film è diretto dai Vanzina, io sarò il segretario di Maurizio Mattioli, un imprenditore romano braccato dalla Guardia di Finanza. L’episodio fa ridere perché è attuale e poi Mattioli è un vero animale da palcoscenico: talmente bravo che si fa fatica a stargli dietro.

Se ti proponessero un cinepanettone?
Magari…mi sono proposto io, ma per adesso non sono nelle mire di chi lo produce.

Mi racconti il tuo primo ciak?
(Ride) E’ stato con Luigi Magni, “In nome del popolo sovrano”. Ero un garibaldino, avrò ripetuto il ciak almeno venticinque volte.

Quanti anni avevi?
Una ventina, ero appena uscito dalla scuola di Proietti. Magni venne a vederci al saggio di fine anno: c’era una scena bellissima tratta da “La Tosca” e interpretata da me, Insinna e Nadia Rinaldi. Mi scelse per il film che stava girando ma sul set ero troppo teatrale: allora mi veniva vicino e come fa un padre con il figlio mi spiegava le battute. Al cinema arrivò la sorpresa.

Cioè?
Dissi a tutti i miei amici di andare a vedere il film e anch’io ci andai, con la mia futura moglie. Che delusione! La scena era stata tagliata, ma nessuno me l’aveva detto. In seguito Magni mi telefonò per assicurarmi che in tv l’avrebbero rimessa.

Altri film a cui tieni?
“Senza calze” di Scott, dove interpreto un fattorino italiano. E poi c’è un film che ho girato due anni fa, “La città invisibile” di Giuseppe Tandoi, molto apprezzato nei Festival. E’ una storia d’amore vera, tra una ragazza aquilana e un ragazzo albanese che l’ha salvata dalle macerie. Un sentimento puro e contrastato dalle famiglie, come Romeo e Giulietta.

Il tuo ruolo?
Sono il prete della tendopoli, un personaggio a cui tengo tanto per l’affetto che mi lega a L’Aquila. E poi, quando da Marzullo è arrivato il momento di parlare di Cirilli, quei critici che hanno da ridire su tutto e tutti, hanno detto: “non ce l’aspettavamo, un attore molto bravo!”.

In tanti ti scambiano per romano ma le tue origini sono abruzzesi. Due modi di essere e due comicità diverse. In che modo hanno influenzato il tuo lavoro?
L’Abruzzo è la mia terra e mi ha dato la possibilità di rimanere vero. Roma mi ha regalato i natali artistici e se mi scambiano per romano mi fa piacere, vuol dire che lo faccio bene. Come quando a Teo Teocoli dicevano: “azz, sembri napoletano quando fai Caccamo!”.

Passiamo al teatro. Mi parli di “Donna Gabriella e i suoi figli”?
E’ il primo spettacolo prodotto dalla mia società, MAGAMAT – che poi è l’abbreviazione di Maria, Gabriele e Mattia – con la regia di Daniele Sala. Donna Gabriella era la mia creatività e i suoi figli i personaggi di questa creatività, gli alti e i bassi di un attore capace di grandi voli come di rapide cadute. Era un momento di stanchezza artistica: Zelig mi chiedeva ogni volta idee nuove e non è sempre facile mantenere il passo.

Nel 2010 “Le Cirque du Cirill” ottiene un gran successo e viene trasmesso in tv. Come mai hai scelto un genere così diverso dal tuo solito?
Perché adoro la contaminazione dei generi: sul palco con me c’era la voce di Noemi, il corpo di ballo di Zelig, il gruppo hip hop Double Struggle, il Dj Panico, il vincitore di America’s got Talent, i comici di Zelig Off, artisti di strada, ginnasti e contorsionisti. Mi piace l’idea che il pubblico goda di tutto all’interno di un unico spettacolo.

E’ vero che sei testimonial dei City Angels?
Le persone sfortunate meritano un’attenzione maggiore. Io mi ritengo fortunato, quando la mattina mi sveglio posso dire: “che bello sono un attore e ho una famiglia unita, che cosa posso volere di più dalla vita?”. Mi sembra giusto mettere tutto questo a disposizione di chi ne ha bisogno.

A chi devi dire grazie?
Sul lavoro a Proietti e agli autori di Zelig, Gino, Michele e Giancarlo Bozzo. Nel privato a mia moglie e a mia madre.

Con chi ti piacerebbe lavorare?
Con Pupi Avati, che ho cercato di incontrare senza mai riuscirci. Credo di essere giusto per le sue storie.

Un comico che stimi tanto?
Roberto Benigni, l’unico che in Italia riesce a fare satira. Quando è andato da Fiorello, però, mi ha deluso.

Se non avessi fatto questo lavoro?
Forse sarei diventato un calciatore, da piccolo ero portato come mio padre. Spero che Mattia abbia preso da me: ha 11 anni e gioca nei Pulcini del Milan.

Che papà sei?
Posso essere presuntuoso? Sono un papà bravissimo! Spesso in giro per lavoro, quando torno a casa voglio passare tutto il tempo con mio figlio. E forse lo vizio un po’ troppo.

E’ critico nei confronti dei tuoi spettacoli?
Si imbestialisce quando parlo di lui, ma è chiaro che quando scherzi sul figlio e sulla moglie si ride di più! Lui protesta: “non puoi dire che sono tuo nipote?”. E poi è un critico impietoso: se lo spettacolo è brutto me lo dice chiaro e tondo.

Mi racconti l’incontro con tua moglie?
E’ stato a Sulmona, a casa di una sua amica. Avevo quattordici anni e vidi questa ragazza pallida, bianca come un lenzuolo e bella come il sole. Capelli raccolti in una coda, camicetta blu a righine, maglioncino con scollo a V e salopette jeans. Ci siamo subito innamorati: amici fino a diciassette anni, quando è arrivato il primo bacetto. Da allora ne sono passati ventisette.

Sapresti immaginare una vita senza di lei?
Adesso no….e poi sono un tradizionalista, mi piace la famiglia e mi piacciono i valori. La carne è debole, ma il cuore non potrebbe fare a meno di mia moglie.

Sempre nel tuo showreel c’è un monologo molto commovente su tuo padre.
Ero a Zelig, la sera della festa del papà. Avevo bisogno di dire al mondo quello che pensavo e che da troppo tempo mi tenevo dentro. Con Marco Perrone, il mio autore, abbiamo scritto queste sensazioni ed è stato un gran successo. Il pubblico si è commosso, io mi sono commosso.

Che rapporto avevi con tuo padre?
Mio padre non voleva che andassi avanti con il mestiere. Anche per questo gli voglio bene, lui sapeva a cosa andavo incontro. Studia, mi diceva: era un modo per farmi sentire il suo amore. Tra noi c’era un conflitto continuo, eppure ci completavamo.

E’ mai venuto a vedere un tuo spettacolo?
Una volta sola, recitavo “Madre coraggio” di Brecht. Venne perché sentiva che stava per andarsene. Alla fine dello spettacolo ci abbracciammo senza dire una parola.

Un tuo pregio e un tuo difetto.
Il pregio è che sono sempre vincente. Il difetto la troppa bontà. In Abruzzo si dice: “chi troppe s’abbasse lu cule si scopre”.

Il vizio di cui non puoi fare a meno?
La buona tavola e il convivio. La solitudine mi ammazza.

Il tuo sogno?
Continuare a fare questo lavoro con onestà e dignità. Anche se in Italia  è difficilissimo.

La paura più grande?
Deludere mio figlio.

 

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