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RB Casting dà il Benvenuto a Massimo Boldi

Intervista esclusiva a Massimo Boldi

www.rbcasting.com/site/massimoboldi.rb

La storia di Massimo Boldi sembra la sceneggiatura di un film. Orfano di padre, da ragazzo allestisce vetrine e vende brioche per mantenere la madre e i due fratelli piccoli. Ha poco più di vent’anni quando, con la sua batteria e una piccola band, comincia a girare i locali milanesi. Un giorno finisce per caso al mitico Derby Club, tempio del cabaret anni ’70, e ne rimane folgorato. “Entrai nel locale in punta di piedi – racconta – e trovai un mondo favoloso: grandi artisti come Cochi e Renato, Enzo Jannacci, Paolo Villaggio, Giorgio Gaber. Facevano uno spettacolo esistenzialista, un po’ alla francese. Noi suonavamo una base dalle 9 alle 11 di sera, poi accompagnavamo i comici fino all’alba”.

Sul palco del Derby Boldi comincia a fare le imitazioni. E non passa molto che la sua comicità di ragazzone, irriverente e un po’ tontolone, esplode come un vulcano. Seguono trent’anni di successi: a teatro e sul piccolo schermo con Teo Teocoli (memorabili i personaggi di Max Cipollino e Mario Vigorone); al cinema con Christian De Sica e i film di Natale, che dominano il botteghino per oltre vent’anni. Nel 2006, dopo l’ennesimo boom d’incassi (“Natale sul Nilo” guadagna 21 milioni di euro), la coppia si scoppia e Boldi si mette in proprio. Nasce la Mari film, che fino ad oggi ha firmato la produzione esecutiva di quattro commedie (“Matrimonio alle Bahamas”, “La fidanzata di papà”, “A Natale mi sposo”, “Matrimonio a Parigi”) più una serie televisiva (“Fratelli Benvenuti”).

Ora l’instancabile “Cipollino” sta lavorando a un nuovo film, ma la scrittura, il casting e tutto il resto non l’hanno allontanato dai tanti fans. “Grazie alle nuove tecnologie – spiega – riesco a chiacchierare con loro ogni giorno! E’ importante avvicinarsi ai giovani, stare al passo con i tempi… E io mi sento ancora un bambino. Pensi che ho dovuto ampliare il profilo Facebook con una pagina ufficiale, le richieste di amicizia erano troppe”.

Che cosa le piace delle nuove tecnologie?
Amo l’iPad e amo Twitter, perché ti permettono di scambiare pensieri veloci. E’ come parlare da un palco di una piazza: alcuni ti ascoltano, altri ti mandano a quel paese.

Un pensiero che l’ha colpita?
I pensieri belli arrivano ogni giorno. Di recente un fan mi ha consigliato un libro sugli angeli, l’autore sostiene che non si muore mai.

Con sua figlia Micaela ha pensato a un progetto per la rete.
Si tratta di un’App gratuita per iPhone, iPad e Mac. Se cerca “iBoldi” nell’App Store, trova tante news su film e carriera. In più, ci sono le mie suonerie e un giochino divertente per mettere alla prova i fans. Si chiama “Non lo sapessi ma lo so!”, come la mia frase tormentone.

E la gente risponde?
Caspita! Siamo partiti da una settimana e siamo già al 12esimo posto nel settore dell’entertainment. Gli addetti ai lavori dicono che è un risultato pazzesco…

Di che cosa parla il suo prossimo film?
E’ rivolto ai più piccoli. Come se fosse un cartone ma senza personaggi animati.

Ha già scelto gli attori?
Non ancora. Sto pensando a un cast importante.

Quale “vizio” italiano prenderà di mira questa volta?
Il precariato, inteso come il vizio di chi non ha mai combinato nulla di buono. Dopo una vita passata a perdere tempo, un uomo si trova ad affrontare una cosa più grande di lui.

Lo sa che almeno due generazioni sono cresciute con i suoi film?
Me lo dicono spesso, mi fa sentire gli anni addosso. Non è mica brutto, vuol dire che artisticamente ho fatto tanto… E però mi fa pensare a tutto il tempo passato. Il bello è che vado avanti, con tante soddisfazioni.

La sua prima esperienza sul palcoscenico?
Una band musicale, gli Atlas: due chitarre, una batteria e un basso. Eravamo poco più che ragazzini, io picchiettavola batteria. Quando cominciammo a fare sul serio nacquero i “Mimitoki”. Era il 1967 e noi eravamo il gruppo di un giovanissimo Claudio Lippi.

Com’è arrivato al Derby?
Con Lippi mettemmo in piedi “La pattuglia azzurra” e ci andava mica male. Lui, però, era legato a una casa discografica che fallì. Ci ritrovammo per strada da un giorno all’altro: quando ci proposero di sostituire l’orchestra del Derby accettammo subito, anche se la paga era una miseria.

Sapeva già di avere un talento comico?
Sono sempre stato il giullare del gruppo, anche quando andavo a scuola. Spesso la maestra diceva: “ricreazione, Boldi ci racconta una barzelletta”. Al Derby ho cominciato imitando il proprietario del locale: il mitico Gianni Bongiovanni, che aveva un modo di parlare tutto suo. Poi ho stretto amicizia con gli artisti, soprattutto Jannacci, Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto. E l’avventura è partita.

E’ stato mai fischiato?
Ovvio. La prima occasione fu proprio al Derby: Jannacci mi aveva aiutato a montare uno sketch che non ebbe successo. Fui fischiato più volte e quasi volevo lasciare. Poi, da solo, aggiustai le battute e ne venni fuori.

Da soli si riesce meglio?
Nella nostra professione è così. Anche al cinema o in televisione: se ho un testo scritto da altri ho bisogno di riadattarlo a modo mio.

Al Derby c’erano tanti comici. Con chi è rimasto in contatto?
Sento ancora Teo, Renato, Cochi, Jannacci, Diego Abatantuono e Mauro Di Francesco. Qualcuno purtroppo è morto, e non sento quasi più Giorgio Faletti.

Con chi tornerebbe a fare cabaret?
Con Teocoli, eravamo una coppia mitica. Come è successo con Christian De Sica al cinema, così è stato con lui sul palco. Insieme abbiamo cambiato il modo di fare comicità. Quel che vediamo oggi, a cominciare da “Striscia la Notizia”, io e Teo l’abbiamo fatto tanti anni fa.

Parla dei primi tg satirici?
Esatto. Con Teocoli cominciammo a lavorare in una tv privata, “Antenna Tre Lombardia”. Il programma si chiamava “Non lo sapessi ma lo so”, autori Zuzzurro e Gaspare con Gino e Michele. Tra i miei personaggi c’era “Max Cipollino”, la parodia di un tizio che leggeva il tg su Teleradioreporter e mi faceva tanto ridere.

Adesso Gino e Michele firmano “Zelig”.
I conduttori della terza edizione, la prima ad andare in prime time, eravamo io e Simona Ventura. Quell’anno portai i “Fichi d’India”, che poi recitarono nei miei film e ottennero un gran successo. Oggi alcuni comici fanno il verso a quel che eravamo.

“Max Cipollino” è nato negli anni Ottanta. Oggi funzionerebbe ancora?
Ne sono certo. Un sessantenne che si comporta da trentenne fa tristezza, ma il testo è sempre forte.

E’ vero che i primi successi la facevano piangere?
E’ un discorso lungo. Non si tratta di essere snob, ma di una caratteristica mia: non riuscivo a capire che cosa stesse succedendo. Avevo 28 anni, mi ero appena sposato e avevo una bambina. Trovarmi di colpo sotto i riflettori è stato un grande shock. La popolarità mi faceva paura, oggi invece tutti la cercano! Su Twitter per esempio, migliaia di persone mi chiedono di apparire in un mio film: non sanno quanto il mestiere del comico possa essere strano e precario!

Il primo ciak?
Sul set di “Due cuori, una cappella”. Era sera tardi e pioveva, facevo fatica a parlare per l’emozione.

Com’è nata la collaborazione con Carlo Verdone?
Fu Carlo a chiamarmi. L’avevo visto in “Acqua e sapone” e mi ero detto: “cavolo, come mi piacerebbe fare un film così!”. Mi invitò a Roma per propormi “I due carabinieri”, che poi erano tre perché c’era anche Enrico Montesano. Parlammo fino a notte fonda: accettai con la garanzia che le mie scene non subissero tagli. All’epoca mi capitava di frequente e il pensiero che potesse succedere di nuovo mi angosciava.

In “Festival” di Pupi Avati ha interpretato l’unico ruolo drammatico. Osannato dalla critica e quasi ignorato al botteghino…
Come succede sempre. Aurelio De Laurentiis mi propose un ruolo diverso, di spessore, e ne parlò con Avati. Io non ero d’accordo, pensavo di non esserne capace. La sceneggiatura si ispirava alla storia di Walter Chiari, un grande comico in declino che si trovava a concorrere per la Coppa Volpi a Venezia. Accettai sapendo di correre un bel rischio… Ne uscii a testa alta.

Ma poi ha chiuso con i ruoli seri.
Perché io faccio il cinema popolare! Amo la festa di piazza e mi piace essere il menestrello che fa divertire tutti. Forse ho sbagliato, ma non ho mai cercato ruoli “importanti”. E non mi vergogno di far ridere, nonostante la mia età.

E’ difficile far ridere?
Ci vuole talento. Si sale e si scende: io non posso lamentarmi.

Si dice che i comici sono i migliori attori drammatici.
E’ vero, abbiamo un’umanità e un’umiltà che ci distinguono dagli altri attori. Forse vengono dall’insicurezza.

Un commento sugli anni con De Sica.
Abbiamo creato un genere e siamo entrati nel cuore dei giovani. Su Twitter sono migliaia le persone che mi chiedono di tornare con Christian.

La formula del “cinepanettone”, però, ha perso l’appeal di una volta. Nemmeno i Vanzina sono riusciti a salvarla dalla concorrenza dei blockbuster americani.
L’ultimo film (“Vacanze di Natale a Cortina”, ndr) era molto carino ma mancavano i comici e Christian si è trovato da solo a gestire tutto. Anche noi abbiamo incassato meno… Forse è finito un ciclo.

Com’è nata la Mari film?
Quando è mancata mia moglie ho deciso di chiudere il rapporto con De Laurentiis per cominciare una nuova carriera. Ho girato un film con i fratelli Vanzina, “Olè”, ma non è andato bene. L’anno dopo ho fondato la Mari film e ci ho riprovato con “Matrimonio alle Bahamas”, che è uscito a novembre… Un successone! In seguito abbiamo continuato a programmare le uscite in autunno, incontrando sempre un’agguerrita concorrenza. L’ultima commedia, “Matrimonio a Parigi”, ha incassato 4 milioni e mezzo: non sono pochi ma potevamo fare di più.

Ciak l’ha messa al 12mo posto della Power List 2011.
Una bella soddisfazione.

Anche “Un ciclone in famiglia”, la serie che ha girato con Mediaset, ha ricevuto delle critiche positive.
Forse i critici si sono resi conto che per durare tanti anni bisogna avere talento. E poi il pubblico continua a volermi bene.

Nelle sue ultime commedie c’è sempre una storia d’amore…
Cerco di raccontare i giovani, come succedeva nei film di Totò e Peppino. Per rendere credibile un uomo oltre i cinquanta, ci vuole una storia di ragazzi che hanno difficoltà a dichiararsi, mentre i genitori pasticcioni si mettono in mezzo. E’ successo anche a me con le mie figlie.

Mi racconta la storia d’amore con sua moglie?
L’ho conosciuta nel ’72. Nei locali non si lavorava più e io avevo preso in gestione una latteria-trattoria a Milano. Vidi questa bella ragazza che veniva a prendere il cappuccino e me ne innamorai subito. Ci sposammo l’anno dopo.

Come l’ha conquistata?
Con un film di Alberto Sordi: la invitai al cinema e ci baciammo. Ci siamo voluti bene per 34 anni.

Se dovesse pensare a una nuova relazione?
Adesso è complicato… Avrei bisogno di una badante giovane (ride).

Che cosa cerca in una donna?
Mi piace la donna vera: bella, simpatica e socievole. Una che sappia riempire la vita di un uomo solo.

A chi deve dire grazie?
Al regista Beppe Recchia, con Enzo Tortora ha fatto il successo di “Antenna 3 Lombardia”. E poi devo ringraziare Berlusconi, per me è stato come un papà.

Che cosa pensa della sua “uscita di scena”?
Ha fatto bene, è venuto fuori da una stagione di accanimento che è durata troppo. Mica è un delinquente… Ha avuto solo delle avventure che sono diventate pubbliche, gli altri fanno lo stesso ma nessuno ne parla. Lui ha costruito tante aziende e dato lavoro a centinaia di persone, se la gente lo ama ancora ci sarà pure un motivo!

Le piace il governo Monti?
Le riforme sono esagerate, non si può fare in pochi mesi quel che non si è costruito in 60 anni. E poi hanno diffuso un tale terrore tra le famiglie! La gente ha paura di spendere anche 20 euro… Dovremmo pensare a noi, non alle brutte notizie che sentiamo in tv.

Mi sembra sinceramente preoccupato…
Lo sono! Quando arrivi a una certa età e ti accorgi che tanti sogni, soprattutto quelli dei giovani, non si sono realizzati, ti mancano le forze. E non riesci a capire: si stava così bene prima! Insomma, mi sembra che questo governo voglia solo bastonarci.

La politica fa male al cinema?
Sono gli artisti attaccati alla politica che fanno male al cinema.

Ha mai pensato alla satira politica?
Non mi interessa, preferisco prendere in giro i vizi degli italiani. Con “Matrimonio a Parigi”, per esempio, ho anticipato di un anno il problema dell’evasione fiscale.

Chi sono stati i suoi maestri?
Tra i tanti De Laurentiis e Cecchi Gori, perché mi hanno insegnato a mostrarmi al pubblico senza paure. Mi hanno corteggiato e mi hanno fatto soffrire, ma con loro ho realizzato grandi progetti e grandi successi.

Che nonno è Massimo Boldi?
Un nonno che non vuole diventare nonno (ride).

Ma suo nipote ha già dieci anni!
Eh già… Però il bambino vorrei essere io.

Il suo piatto preferito?
Il risotto alla milanese.

Chi la fa arrabbiare?
Quelli che se la tirano.

Un suo pregio e un suo difetto.
Sono un po’ timoroso e non riesco a raccontare balle.

Se potesse tornare indietro?
Rifarei tutto allo stesso modo. In fondo è stata una vita bella.

Il suo sogno?
Vivere fino a quando sarà il momento, senza problemi di salute.

Che cosa le fa paura?
Ho paura per le mie figlie… Vorrei che avessero una vita felice.

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