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Ascanio Celestini, “Pro patria. Senza prigioni, senza processi”

“I morti e gli ergastolani hanno una cosa in comune, non temono i processi. I morti perché non possono finire in galera. Gli ergastolani perché dalla galera non escono più”. 

Ascanio Celestini con “Pro patria. Senza prigioni, senza processi”, in scena al Palladium di Roma dal 31 gennaio al 12 febbraio 2012, celebra il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, e naturalmente lo fa a modo suo: ironia e acido sarcasmo fanno da sponda alla sua vena di poetica fiabesca, per arrivare a scoprire che di Risorgimento non ce ne è uno solo, ma addirittura tre.

Punto di partenza per guardare indietro fino alla Repubblica Romana del 1849 è un carcere dei nostri giorni, dove i libri sono pochi e spesso molto vecchi: un ergastolano, che di tempo per leggere ne ha parecchio, si trova a farsi la sua formazione politica su polverose edizioni di “Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-’49” di Carlo Pisacane, sulle lettere di Ciro Menotti o dei fratelli Bandiera, oppure su “Memorie politiche” di Felice Orsini. Scopre così che “Quel Risorgimento di cui ha tanto sentito parlare – spiega Celestini – è stata una storia di lotta armata e galera, che i combattenti erano ragazzi tra i 18 e i 25 anni finiti in cella, al campo santo o con il tempo al governo”.

Se da una parte è significativa la scelta di quella Repubblica Romana soffocata nel sangue, alla quale partecipò il fior fiore della gioventù liberale e rivoluzionaria italiana – allora i liberali erano rivoluzionari –, per Celestini è il modo anche per parlare del passato più recente e poi perfino dell’attualità. Dopo gli spettacoli ambientati in manicomio, in campi di sterminio e nella fabbrica degli incidenti sul lavoro, con il carcere l’attore e drammaturgo romano ritrova uno di quei luoghi limite, dove la vita acquista una luce diversa e un significato particolare. Chiuso in una immaginaria cella di 2 metri per 2, ecco allora che attraverso la parola e il racconto Celestini crea scene e scenografie, evoca in vita persone del passato e del presente, vere e immaginarie. E avverte il pubblico: “Lo spettatore dovrebbe sentire che il racconto, il personaggio parla di tutti, di tutti noi, e non di sé”.

Per maggiori informazioni: http://romaeuropa.net

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