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Venezia 72: al Lido arrivano De Palma e la vedova di Lou Reed, Laurie Anderson

Da Venezia la nostra inviata Marilena Vinci. Ottavo giorno. 

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Venezia, 8 Settembre 2015 – Dopo aver vinto per due volte il premio della Giuria nel 2010 con “Essential Killing” e nel 1985 con “The Lightship”, Jerzy Skolimowski torna in Concorso alla Mostra del cinema di Venezia con 11 Minut”.

“11 Minutes è la mia risposta all’action movie di Hollywood”, dice il regista polacco, che porta sul grande schermo le storie di un marito geloso, la sua novella sposa attrice, un regista hollywoodiano, delle suore, uno spacciatore e altri personaggi metropolitani i cui destini s’incrociano a Varsavia in 11 minuti, dalle 17.00 alle 17.11, a causa di una concatenazione di eventi.

“Quando ho cominciato a scrivere la sceneggiatura, – spiega Skolimowski – avevo in mente solo questo finale, poi sono risalito a ritroso nella trama, cercando personaggi e situazioni che portassero in quel posto quelle persone per il finale”.

A cosa mira il film? “Voglio mostrare la realtà, anche quei momenti che abitualmente vengono lasciati sul pavimento della sala montaggio. – dice il regista – Voglio seguire i personaggi in tempo reale, voglio la verità in 24 fotogrammi al secondo” ma è anche “un avvertimento, perché tutto può succedere nei prossimi secondi. La vita è un tale tesoro che capiamo solo quando la perdiamo. Questo è il messaggio del film, usiamo la vita nel modo migliore possibile finché siamo vivi”.

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In concorso è passato anche “Heart of a Dog”, film con cui l’artista americana Laurie Anderson (vedova di Lou Reed) torna alla regia a 30 anni dal suo ultimo film. Opera affascinante che mescola cinema e filosofia, il film è un’ampia riflessione sulla vita e sulla morte, una sorta di flusso di coscienza con protagonista il cane della Anderson.

“Ho scavato nel mio vissuto, cercando però di fare un film che parlasse a tutti. – dice Laurie Anderson – Avevo tantissimi filmini in super 8 della mia infanzia, che ho utilizzato. Avevo Lolabelle (il cane, ndr), avevo Lou. Ho cercato di trasmettere la sua personalità, la sua forza. Spero di esserci riuscita”. “Condivido molto gli insegnamenti di Wittgenstein sul linguaggio – continua l’artista – e trovo assolutamente vera la sua frase per cui non si può parlare di ciò che non esiste. Il linguaggio crea il mondo. Perciò esistono le storie. Senza, non esisteremmo noi”.

Lei, che è una musicista e scrittrice, racconta di aver  “costruito questo film come una canzone. Ci sono molti archi, solo strumenti a corde e nessun bip. Lo spettatore deve immergersi nell’inquadratura e condividere i vari punti di vista che gli offro. Spesso non vede i personaggi, deve immaginarli”.

“So di non aver fatto un film facile – conclude –. Lo spettatore è invitato a interagire e a toccare argomenti che generalmente non si trovano in un film, come il morire. Molti film mostrano la morte ma non che cosa sia il processo del morire. In America c’è una cultura che tende ad anestetizzare la morte. L’esempio è il veterinario che vuole addormentare Lolabelle per non farla soffrire. Per me invece è un processo che va vissuto. Non credo però di aver fatto un film funereo. ‘Heart of a Dog’ è un film sull’amore. Tutto gira intorno all’amore. Persino il suicidio, che è un tentativo di conquistare la libertà”.

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Protagonista della giornata anche Brian De Palma, sia come protagonista del documentario fuori concorso “De Palma” diretto da Noah Baumbach e Jake Paltrow, sia come destinatario del premio Jaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker.

A chi in conferenza stampa gli chiede se abbia rimpianti legati a qualche film, De Palma risponde: “No, non ne ho. Certo, come si capisce anche nel film, non sono felice di quanto sia accaduto con ‘Vittime di guerra’ perché ha avuto tanti di quei problemi di produzione che alla fine quando hanno finito il film lo hanno buttato via e non importava più a nessuno. Però sono stato molto felice di aver lavorato con Danny De Vito. Quindi anche quello è valso la pena”.

“L’ironia aiuta parecchio quando si fa questo mestiere – racconta il regista di film come “Gli intoccabili”, “Scarface”, “Carlito’s Way” – Perché quando si fa un film succede puntualmente il contrario di quello che ti aspetti: quando credi di aver fatto un capolavoro parlano del tuo film come di un lavoro orribile, quando sei scontento dicono che hai fatto una cosa bellissima. Quindi la verità è che l’unica via è avere ironia, credere in sé stessi, avere talento, persistenza e anche fortuna”.

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SPECIALE
72. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
2-12 settembre 2015

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