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Bosnia, Sarajevo: la guerra al RIFF con tre doc di Giancarlo Bocchi

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A vent’anni dalla fine della guerra di Bosnia, il RIFF – Rome Independent Film Festival presenta tre documentari di Giancarlo Bocchi su Sarajevo che fanno luce su uno dei conflitti simbolo del ‘900. 

Molto si è scritto e detto su un assedio e un conflitto per molti versi ancora avvolto nel mistero e nelle nebbie della storia, che molti ritengono sia stato la primordiale scintilla dell’attuale guerra tra l’estremismo islamico e l’Occidente. Poco si è detto della gente di Sarajevo che ha resistito sotto le granate dei cecchini per quattro lunghi anni dimostrando una straordinaria resistenza civile.

In tre documentari, Giancarlo Bocchi racconta la complessa realtà di una grande tragedia, la più grande e simbolicamente rilevante dell’ultimo scorcio del ‘900. In vent’anni la Bosnia è diventata, secondo l’ONU, uno dei venti paesi più poveri del mondo. Sono quasi settemila i criminali di guerra che non sono stati ancora inquisiti o arrestati, e 2.500 le istruttorie che giacciono congelate negli armadi dei tribunali.

Lunedì 28 novembre alle 20.00 al Cinema Savoy sarà presentato Il ponte di Sarajevo in una nuova versione cinematografica per il ventennale dalla fine del conflitto. Il ponte Verbania è il luogo simbolo della tragedia bosniaca. Il 5 aprile 1992 inizia sul quel ponte di Sarajevo l’assedio più lungo della storia e un anno dopo si compie il destino di Moreno “Gabriele” Locatelli. Il 3 ottobre 1993, per rompere in modo simbolico l’assedio della città, quattro attivisti dei “Beati i costruttori di pace” decidono di attraversare il ponte, conteso da tutte le forze militari in guerra. Locatelli, sebbene sia contrario a quella manifestazione suicida, si unisce loro per aiutare gli eventuali feriti nell’impresa, a morire sul ponte sarà proprio lui, Moreno “Gabriele” Locatelli, eroe suo malgrado predestinato. La vicenda svela, per il regista, un intreccio di interessi delittuosi, che prospera sulla falsificazione e sul crimine e avvolge i vertici della Repubblica di Bosnia, protetto da una cortina internazionale di ipocrisia e menzogna.

Martedì 29 novembre alle 15.30, sempre al Savoy, sarà la volta di Gente di Sarajevo. Vent’anni fa, il 18 marzo 1996, con l’applicazione delle ultime clausole del trattato di Dayton aveva termine l’assedio di Sarajevo. Dopo più di mille giorni, i sarajevesi, silenziosi e composti nel loro dolore, tornarono quel giorno a popolare le strade della città. Non si abbandonarono a manifestazioni di esultanza, non sfilarono in parate, con discorsi ufficiali, soldati pronti a scattare sull’attenti, nuovi e vecchi eroi da decorare. Sotto un cielo plumbeo, in quella giornata storica, regnava il silenzio. Per le vie della città finalmente libera, c’erano anche Mimo, Greta, Serif, Edo che resero, con il potere della parola, una testimonianza diretta e dolente che oggi è un apologo esemplare su una fra le immani tragedie del ‘900.

Infine mercoledì 30 novembre alle 17.00, sempre al Savoy, sarà presentato L’assedio – Mille giorni a Sarajevo. Nell’aprile del 1992 il cinquantenne Hidajet, manager di un’azienda di Stato, ateo di etnia musulmana e fervente ammiratore di Tito, in poche ore si ritrovò con tutta la famiglia in prima linea. Costretto a combattere nelle trincee di Sarajevo contro i “cetnici”, la milizia riemersa dai sepolcri della storia, che gli aveva ammazzato il padre partigiano nel 1942, prima ancora che lui nascesse. Hidajet, pur imbracciando le armi, lotta per non assuefarsi alla morte e non accettare una guerra così inspiegabile e avvolta da una ragnatela d’interessi inconfessabili. A vent’anni dalle prime riprese del film, Hidajet e i suoi familiari sono tornati a raccontare l’assedio. La madre Muniba ha novantasei anni e vorrebbe morire senza vedere la quarta guerra della sua vita. Hidajet, dopo essere andato in pensione, si è laureato in letteratura e in una raccolta di poesie ha scritto: “Noi, gli ultimi del mondo di mezzo. Noi, tra i morti e i vivi”. Gordena è sempre afflitta e disperata per il suo paese oggi diviso in entità diverse in mano anche ai profittatori di guerra. Il figlio Nebojsa è ormai un artista conosciuto a livello internazionale, ma punto da amarezza profonda. “La guerra è stata persa da tutti in ugual modo. Sono passati venti anni ma la lotta seguita ancora”.

Per maggiori informazioni: www.riff.it

 

 

 

 

 

 

 

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