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Venezia 74: “La lucida follia di Marco Ferreri” di Anselma Dell’Olio in Venezia Classici Documentari

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“La lucida follia di Marco Ferreri”, film documentario diretto da Anselma Dell’Olio, sarà presentato alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Venezia Classici-Documentari.

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SINOSSI

“La lucida follia di Marco Ferreri” è un viaggio nel cosmo unico – insieme sovrannaturale e terragno – dell’autore. Un uomo che abbandona gli studi di veterinaria ma mai gli animali, scegliendo di occuparsi principalmente dell’essere umano nella sua essenzialità corporea e desiderante. Per avvicinare al mondo frastagliato e organico, per alcuni ostico di Ferreri, il film offre clip dei suoi film spagnoli, italiani e francesi, tra cui El cochecito, La cagna, L’ultima donna, Dillinger è morto, La grande abbuffata, Chiedo Asilo, Ciao maschio, Storia di Piera, La donna scimmia. Ascoltiamo il controverso regista riflettere sulla nomea di “provocatore” che l’ha sempre seguito, perennemente accompagnato da censure, scandali, contestazioni, accuse velenose.

Vi sono le risposte ironiche e taglienti, sue e dei suoi sostenitori più celebri e affezionati: Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Michel Piccoli, Philippe Noiret, e Ferreri stesso. Li ritroviamo in pieno vigore nei materiali d’epoca e backstage dell’Istituto Luce, Rai Teche e archivi francesi, alcuni inediti in Italia.

Ci sono testimonianze nuove, illuminanti sul suo modo di dirigere gli attori, offerte dai protagonisti che hanno dato il soffio della vita ai suoi personaggi (Roberto Benigni, Hanna Schygulla, Isabelle Huppert, Andréa Ferreol, Ornella Muti), i collaboratori più stretti (il musicista Philippe Sarde, il regista Radu Mihaileanu), lo scenografo Dante Ferretti, un forbito luminare del mitico Cahiers du cinéma (Serge Toubiana). Arguto, mirabile, penetrante è la poesia che fa da prologo al film, dedicata a Ferreri, scritta e recitata da Benigni. Il film compone, come in un mosaico, l’arte, il carattere, la poesia, il pensiero e la visionarietà di un autore inclassificabile.

Il nostro film prova a consegnare alcune chiavi per accedere all’universo prodigioso e carnale di un Mago Merlin con lo sguardo laser e il bernoccolo per gli affari. Ci interessava comunicare la compassione rovente con cui l’autore scandaglia senza ipocrisia, il nostro accidentato viaggio terrestre.

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NOTE DI REGIA

Era la primavera del 2016 quando Nicoletta Ercole, che avevo conosciuto come costumista e fiduciaria di Marco Ferreri, mi chiamò per chiedere se avevo voglia di girare un docu-film per rilanciare il suo immenso cinema. Autore dell’epoca omerica del cinema italiano, Ferreri era ormai caduto in un oblio che sa di rimozione, e sconosciuto dalle generazioni successive alla sua scomparsa. L’occasione era il ventesimo anniversario della sua morte avvenuta a Parigi il 9 maggio del 1997. Lavorare a stretto contatto con Marco Ferreri per lunghi mesi è stata una delle esperienze più sconvolgenti e decisive nella mia formazione professionale ed esistenziale.

Fare il critico mi ha permesso di approfondire l’esperienza pratica acquisita su tanti set, accanto ad autori italiani della stessa splendente costellazione di Ferreri: il progetto non poteva essere più calzante. Ho detto subito di sì.

Nel 1977 vivevo a Los Angeles, quando un giorno di primavera mi chiama Marco Ferreri. Voleva incontrarmi per parlare del film che avrebbe girato in inglese a New York e a Roma a fine agosto, Ciao maschio. Voleva arruolarmi per rendere più scorrevoli i dialoghi inglesi, per fare la dialoghista durante le riprese, e per fargli da aiuto regista per i dialoghi, sovente riscritti prima di un ciak perché aderissero meglio ai diversi attori e attrici. Quest’ultimo ruolo era il più delicato, un’enorme responsabilità. Voleva dire essere l’ombra e le orecchie del regista, che non aveva gli strumenti per distinguere se le battute, tutte in lingua inglese nella versione originale, fossero dette e pronunciate adeguatamente. Il compianto regista e autore Elio Petri, suo e mio grande amico, gli aveva fatto il mio nome. Marco non ha mai chiesto di vedere un mio curriculum – non era il suo metodo. Oltre alla segnalazione di una persona competente, gli bastava guardarti e osservarti con quello sguardo azzurro traforante e – quando si sentiva a suo agio – incantevole, per decidere se fidarsi di te.

Intorno a Marco Ferreri spesso aleggiava una sostanza cosmica; una magia, un incantesimo, una trascendenza. Aveva antenne che captavano sonorità nascoste, rimosse, spesso pericolose (per se stesso e per gli spettatori) lungimiranti e primarie. Basterebbe il modo in cui ha assorbito e restituito prima di tutti con chiarezza e senza storpiature la questione femminista e della coppia nei suoi film. Nemmeno Mary Wollstonecraft o Simone de Beauvoir avrebbero saputo drammatizzare con tanta affilata lucidità la condizione femminile e il tormentato, contradittorio dialogo maschio-femmina quanto l’ha fatto lui in ogni suo film.

Poi c’è la questione del profumo di zolfo che sempre circonda il cinema di Ferreri e il regista stesso. I suoi sostenitori lo amano e lo apprezzano per il suo spessore intellettuale e artistico. Altri l’hanno attaccato come furbo, pazzo, brutale e incontinente nel proporre storie che destrutturano il sistema e scassano l’immagine purificata, addolcita, che preferiamo avere di noi stessi. Chi lo apprezza coglie l’essenziale: la sua compassione per noi incespicanti figli di Eva. Ma è una verità eterna che chi rompe gli schemi, sconvolge i benpensanti.

Approfondire le opere di Ferreri arricchisce la fantasia, allarga lo sguardo sul mondo; ci si accorge del risveglio di neuroni cerebrali che – si scopre – prima sonnecchiavano. Pensavo di aver conosciuto piuttosto bene l’artista e l’uomo, lavorandogli accanto e vedendo l’arcobaleno gravido dei suoi variegati umori e doti. Mi sbagliavo. Sono arrivata a cogliere la sua originalissima visione artistica, l’incessante, irrequieta ricerca sul “legno storto dell’umanità”, solo dopo un salubre tuffo nel suo cinema, nel suo pensiero, nell’impronta che ha lasciato sui collaboratori. Se si seguono con attenzione i suoi film, così limpidi e poco ermetici che diversi spettatori restavano perplessi e anche sconvolti, si scopre un cinema il cui significato è come quello della lettera rubata: talmente palese che chi lo cerca spesso non riesce a vederlo. Se La lucida follia di Marco Ferreri invoglia a scoprire o riscoprire il suo cinema, il nostro compito è fatto.

Anselma Dell’Olio

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