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Julianne Moore, Premio Marc’Aurelio all’attore

È la più giovane tra i grandi interpreti che abbiano ricevuto il “Marc’Aurelio all’attore” al Festival Internazionale del Film di Roma (Sean Connery, Sophia Loren, Al Pacino, Meryl Streep), ma la sua carriera contempla già un numero sterminato di riconoscimenti internazionali tra Golden Globe, nomination all’Oscar, premi a Berlino e a Venezia.

Ciò che davvero colpisce nella sua avventura professionale ed artistica è la rapidità con la quale si impone all’attenzione di pubblico e critica. Quando nel 1994 si mette in luce in una strepitosa jam session di attori come America oggi di Robert Altman, Julianne Moore ha alle spalle soprattutto serie televisive e della parti da comprimaria in film di mainstream hollywoodiano: quando meno di cinque anni dopo, nel 1999 in Magnolia di Paul Thomas Anderson dà vita con il personaggio di Linda Partridge ad una memorabile nevrosi femminile che ha picchi di fragilità e rabbia quasi intollerabili, l’attrice è già considerata come una delle più dotate, e personali, della sua generazione.

In mezzo ci sono film come “Safe”, “Vanya sulla 42esima strada”, “Boogie Nights”, “Il grande Lebowski”. Forse la sua qualità più sorprendente è la disinvoltura con la quale passa da figure femminili esposte alle perturbazioni del sentimento, alle prigioni delle relazioni, alle convenzioni sociali (in film come “Fine di una storia”, “Lontano dal paradiso”, “The Hours”), in cui ogni disagio o turbamento sembra acquistare sul suo volto la detonazione sommessa di un trasalimento, a caratteri dai tratti grotteschi e volitivi, determinati ed esuberanti: è capace di irradiare intorno a sé l’erotismo aggressivo e ironico di una Mae West, ma ha al suo attivo uno scavo nell’animo di donne sospese tra la follia e il silenzio paragonabile al virtuosismo di una Meryl Streep.

L’apparenza di soffusa luminosità, color pesca e rame, dell’incarnato e dei capelli, suggerisce allo spettatore una trasparenza della vulnerabilità ed una intimità psichica con i personaggi che non ha molti eguali. Per questo quando, in film come “I figli degli uomini”, “Chloe” o “A Single Man”, sprigiona quasi senza preavviso energia, piacere del gioco, disciplina da battaglia, noi spettatori rimaniamo sorpresi e colpiti dall’estensione di una personalità le cui scale di espressione e il cui mimetismo sembrerebbero compressi da delicatezza, inermità e riservatezza impliciti nel suo aspetto.

Si tratta, con tutta evidenza, di un’attrice destinata ad occupare un posto di rilievo tra i grandi della recitazione nel mondo contemporaneo e il premio alla carriera del Festival intende sottolinearlo e celebrarla.

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