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Festival di Roma 2011: tra vampiri, thriller e commedia, arriva la cronaca di Montaldo

Cronaca, thriller psicologico, fantasy, commedia nera e commedia brillante. C’è posto per tutti i gusti nella quarta giornata del Festival Internazionale del Film di Roma 2011, con pellicole che, per regia e prove attoriali, hanno raggiunto livelli discreti o anche al di sopra della media. Sul tappeto rosso della kermesse capitolina hanno sfilato, ieri sera, i protagonisti di “Mon pire cauchemar” e “L’industriale” (fuori concorso), seguiti da cast e registi di “The eye of the storm” e “La femme du cinquième” (in concorso). A mobilitare il pubblico più numeroso – circa 500 fans urlanti – sono stati, però, i giovani interpreti di “Twilight Saga: Breaking Dawn – Parte 1”, alias Nikki Reed e Jackson Rathbone, che nel pomeriggio hanno presentato 15 minuti in anteprima assoluta, tratti dal quarto film sui vampiri Cullen (in uscita in Italia il 16 novembre). Più o meno alla stessa ora non sono mancati gli applausi (con la solita ressa a caccia di autografi e foto) per il divo Riccardo Scamarcio, al Festival con l’amico Sergio Rubini per mostrare al pubblico un docufilm sul suo “Romeo e Giulietta”.

IN CONCORSO

“The eye of the storm”. Tratta dall’omonimo romanzo dell’australiano Patrick White, questa black comedy d’altri tempi (la storia è ambientata nei primi anni ’70) ha come protagonista una maestosa Charlotte Rampling, invecchiata di almeno 15 anni, nel ruolo di una madre ingombrante e anaffettiva i cui figli aspettano solo la sua morte per spartirsi l’eredità. Nel film diretto con maestria da Fred Schepisi (“Roxanne”, “La Casa Russia”), ma con una sceneggiatura troppo lunga e spesso ridondante, spiccano le interpretazioni degli attori principali (nel cast anche gli ottimi Geoffrey Rush e Judy Davis), che da sole riescono a mantenere viva quasi tutta la narrazione.

Così Rampling ha definito il suo personaggio: “si potrebbe dire che Elisabeth Hunter è come un Re Lear, una donna che ha osato molto durante la sua vita e ha lasciato dietro di sé tante vittime, in particolare i figli che devono pagare i suoi errori. E’ interessante interpretare una protagonista che sta morendo e non ha un fascino immediato, è un personaggio difficile perché antipatico e buffo, con un caratteraccio senza freni”. Sulla scelta di apparire più vecchia ha poi detto: “ci vuole coraggio per una parte del genere perché noi attori siamo narcisi e vorremmo essere sempre giovani. Tuttavia, se acconsentiamo a imbruttirci, ci rendiamo conto che si tratta di un elemento naturale, umano, e alla fine le gratificazioni arrivano”. Dato per potenziale vincitore del Marc’Aurelio d’Oro fino alla vigilia del Festival, il film si candida comunque al Premio per la miglior attrice.

“La femme du cinquième”. A metà strada tra realtà e sogno, l’altra pellicola passata ieri in concorso è un thriller psicologico che esplora la mente “folle” di uno scrittore, disorientando volutamente lo spettatore e rendendo labili i confini tra verità oggettiva e immaginazione. Lo scrittore in questione, interpretato dal poliedrico Ethan Hawke (l’attore è anche regista, romanziere e sceneggiatore), per la regia del polacco Pawel Pawlikowski, è il professore americano Tom Ricks, che arriva a Parigi intenzionato a riprendersi la figlioletta affidata all’ex moglie. La donna, però, spaventata dalla sua potenziale violenza, chiama subito la polizia. Derubato di soldi e bagagli, Ricks è costretto ad accettare un lavoro ambiguo da un individuo altrettanto ambiguo e a vivere nel suo fetido albergo. Una sera incontra la vedova di uno scrittore ungherese, l’affascinante Kristin Scott Thomas, con cui intreccia una relazione tanto misteriosa quanto pericolosa. Da quel momento, infatti, l’uomo è colpito da una serie di eventi tragici e inspiegabili.

“Il mio personaggio, in realtà, non esiste – ha spiegato l’attrice inglese – perché è un’invenzione del protagonista, la proiezione delle sue ansie. Con Pawel abbiamo cercato di lavorare su un tipo di dialogo che potesse sembrare allusivo e seducente. E poi abbiamo parlato del senso di frustrazione che può provare un artista, dell’impossibilità di ottenere ciò che si desidera. Ho apprezzato molto questo tipo di lavoro perché dà un’idea di quanto la collaborazione sia stata importante per il film”. Riguardo all’arte di disorientare il pubblico, il regista ha concluso: “ho pensato fosse un’operazione interessante, non perché volevo divertimi ma per creare una condizione di quasi-ipnosi, in modo da indirizzare l’azione verso una direzione precisa senza però determinarla”.

FUORI CONCORSO

“L’industriale”. Nella Torino agitata dagli scioperi, l’industriale Nicola Ranieri è strangolato dai debiti e dalle banche ma non vuole saperne di chiudere la fabbrica che gli ha lasciato il padre, né sopporta l’idea di affamare le famiglie di quei 70 operai che conosce uno ad uno. Sua moglie Laura, la figlia di una ricca proprietaria terriera, è sempre più lontana. Lui se n’è accorto ma non fa nulla per riempire il vuoto che da tre anni li divide: invece di parlare comincia a seguirla e scopre l’esistenza di un altro uomo, forse un amico o forse un amante. Intanto la situazione precipita: la compagnia tedesca che dovrebbe acquistare il 49 per cento dell’azienda ci ripensa, mentre Laura vorrebbe separarsi per un po’. Quando tutto sembra perduto e Nicola comincia a tirare fuori il peggio di sé, la situazione cambia in positivo. Eppure le cose non sono come sembrano e lui, l’industriale tutto d’un pezzo, finisce per commettere un reato grave.

Prendendo spunto dalla cronaca che ogni giorno troviamo sui giornali, Giuliano Montaldo costruisce un racconto lucido e appassionato di “come la crisi economica può distruggere l’individuo – commenta il regista – una fotografia di un momento storico destinato, purtroppo, a esserci anche domani”. Scritto con Andrea Purgatori, fotografato da Arnaldo Catinari (un bel bianco e nero che sfuma verso il seppia) e interpretato con incisività da un Pierfrancesco Favino in ottima forma, oltre che dai bravi Carolina Crescentini e Francesco Scianna, il film aveva tutte le carte in regola per la competizione ufficiale ma è passato fuori concorso. Quando gli è stato chiesto il motivo, Montaldo ha risposto intonando un vecchio ritornello: “non ho l’età, non ho l’età per il concorso…”. Accolto dal pubblico del Festival con grande entusiasmo (alla prima di ieri sera c’erano anche il Presidente Napolitano e sua moglie Clio), “L’industriale” sarà nelle sale nei primi mesi del 2012 con 01.

“Mon pire cauchemar”. Sempre fuori concorso, non si può non menzionare la gustosa e divertentissima commedia di Anne Fontaine “Mon pire cauchemar” (“Il mio peggior incubo”) che vede come protagonisti due perfetti opposti: la star del cinema francese Isabelle Huppert in un ruolo brillante e inedito, e il comico belga Benoît Poelvoorde, praticamente un mito nel suo Paese (“Giù al Nord”, “Niente da dichiarare”). Lei è la radical-chic Agathe, direttrice algida e autoritaria (Benoît la chiama “culo di ghiaccio”) di una fondazione d’arte, convivente di un editore passivo e tiepido (André Dussolier); lui è un ex galeotto dai modi spicci, spesso ubriaco, volgare e libertino, con un figlio scolasticamente migliore rispetto a quello di Agathe. Saranno i due ragazzi a intrecciare i destini della coppia, creando una sorta di lotta di classe, “un incontro amoroso – ha detto la regista – dove tutto è possibile, con i livelli culturali e le classi sociali che si annullano”.

Fontaine ha spiegato di aver pensato subito a loro per i protagonisti: “volevo questi due attori e nessun altro. Ero sicura che con loro sarei riuscita a trasmettere un senso di autenticità, nonostante il fatto che non ci sia niente di ‘ordinario’ tra i due personaggi”. E la Huppert ha aggiunto: “mi sono sentita estremamente a mio agio in questa commedia. Quando recito non faccio distinzione tra dramma e commedia, al massimo tra verità e falsità. Nelle commedie c’è più verità, perché la leggerezza è più vicina ad un comportamento quotidiano e reale. Un personaggio drammatico, invece, è frutto di un travaglio interiore e non sempre è naturale. Credo che nella vita di tutti i giorni si tenda ad essere il più possibile leggeri”. Interpretare una donna che ha una storia sentimentale con una persona così diversa l’ha messa in difficoltà? “Gli attori sono spesso identificati con i ruoli che interpretano – ha concluso Huppert – e Anne ha giocato con le nostre immagini, con l’idea di costruire piccole caricature di noi stessi”. Accolto con favore da pubblico e critica (entrambe le proiezioni hanno riscosso applausi e risate a go-go), il film uscirà in Italia con Bim Distribuzione.

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