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Cinema e accessibilità alla Festa: “maggiore consapevolezza tra produttori, mondo politico e utenti”

FESTA-DEL-CINEMA-DI-ROMA-2015 

Roma, 20 Ottobre 2015 

L’accessibilità è uno dei fattori essenziali per il potenziamento del pubblico cinematografico. Secondo le statistiche nel mondo 1 persona su 6 ha una qualche forma di disabilità sensoriale: nel mondo oltre 1 miliardo di persone, ovvero circa il 15% della popolazione mondiale. In Europa ci sono oltre 70 milioni di persone sorde o ipoudenti. Questi numeri sono destinati a crescere ancora per due ragioni: l’età media della popolazione sta aumentando, i ragazzi hanno delle pessime modalità di ascolto (ad esempio utilizzano troppo le cuffiette a volumi troppo alti). Le disabilità sensoriali coinvolgeranno tutti (nei paesi in cui l’aspettativa di vita supera i 70 anni, le persone spendono in media l’11% della lora vita con una qualche forma di disabilità sensoriale).

Con questa premessa si è aperto l’incontro organizzato da SUB-TI “Cinema e Accessibilità” che si è tenuto ieri al MIA, il Mercato Internazionale dell’Audiovisivo della Festa del Cinema di Roma.

Dai numerosi interventi sono emerse discrepanze notevoli: ci sono paesi europei che sono molto più avanti degli altri rispetto al discorso dell’accessibilità, basti pensare che nel Regno Unito il 100% della programmazione televisiva è sottotitolata (anche i programmi in diretta), il 30% dei programmi sono audio descritti e i film che escono nelle sale e in home video sono nel 90% dei casi disponibili anche in versione accessibile. In altri paesi, tra cui l’Italia, si fa troppo poco nonostante la tecnologia permetta ormai di “distribuire” le versioni accessibili in maniera semplice attraverso applicazioni che consentono di scaricare sottotitoli e audio descrizione su smartphone, sincronizzando i contenuti con l’audio dalla sala.

“Il problema reale è che c’è ancora una visione delle disabilità nell’ottica di ‘charity’, come se fosse un problema di pochi, mentre i numeri sono incredibilmente elevati e il mercato potenziale è enorme. La politica se ne disinteressa se non in casi estremi. In Italia, poi, la normativa non prevede nessuna sanzione ai broadcaster che non si adeguano, – sottolinea Federico Spoletti amministratore delegato di SUB-TI – e da parte degli utenti manca una piena consapevolezza dei propri diritti, tutti quei diritti all’informazione e all’accessibilità culturale sanciti dalla normativa internazionale, dalle Nazioni Unite e dalle normative comunitarie. Se non c’è la richiesta da parte dei soggetti interessati, ovvero da chi ne trae vantaggio, tutto diventa molto più difficile. Ma perché la richiesta ci sia c’è bisogno di informazione, bisognerebbe far sapere che certi servizi esistono e che sono concretamente realizzabili e a costi contenuti (meno dell’1 per cento del costo globale medio di un programma tv, per esempio)”.

Si è discusso anche di Accessible Filmmaking, la teoria sviluppata da Pablo Romero-Fresco della Roehampton University di Londra. “Partendo dal dato di fatto che il 60% dei ricavi ottenuti dai film di maggior successo provengono da mercati stranieri dove il film viene visto tradotto (doppiato o sottotitolato) in altre lingue, o reso accessibile, sarebbe opportuno che tutti i produttori avessero la consapevolezza che per produrre quelle versioni tradotte o accessibili si spende dallo 0.1% all’1% del budget del film (meno dei costi di catering). Secondo la teoria dell’accessible filmmaking, la traduzione e l’accessibilità dovrebbero essere integrate già in fase di produzione (il che consentirebbe una qualità migliore e sarebbe molto utile con le coproduzioni). Diversamente, come accade Oggi per la maggior parte dei film traduzioni e versioni accessibili sono relagate alla fase della distribuzione, spesso fatte in condizioni sfavorevoli per traduttori o produttori di contenuti accessibili. In genere un film viene tradotto in 2 giorni da qualcuno che non ha nessun contatto con il team creativo e questo comporta in molti casi traduzioni non aderenti perfettamente adeguate alla lingua originale”.

Il reale problema dell’Italia e di molti altri paesi europei è che l’accessibilità sembra essere racchiusa solo in sfere medico/sociali e non come strumento di crescita economico/sociale.

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