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Venezia 68: i migranti di Olmi e le “Cime tempestose” di Arnold

Dal nostro inviato

“Vorrei suggerire ai cattolici di ricordarsi, qualche volta, di essere anche dei cristiani”. E ancora: “non è davanti ai crocifissi di cartapesta che bisogna inginocchiarsi, ma davanti alle persone che soffrono, i migranti”. Alla 68ma Mostra del Cinema di Venezia arriva il Maestro Ermanno Olmi che dall’alto dei suoi ottant’anni, di cui oltre cinquanta passati al servizio del cinema, non ha peli sulla lingua e, presentando fuori concorso il nuovo film “Il villaggio di cartone” (nelle sale dal 7 settembre con 01), dà a tutti una grande lezione di solidarietà cristiana. Come “Terraferma” di Emanuele Crialese e “Cose dell’altro mondo” di Francesco Patierno, appena visti alla Mostra, la pellicola di Olmi parla di “extracomunitari” ma lo fa in un modo più diretto, con allusioni precise ai comportamenti di Chiesa e Stato nei confronti del problema immigrazione e sottolineando, con una frase finale, che “o cambiamo il senso impresso alla storia o sarà la storia a cambiare noi”.

Interpretato da Michael Lonsdale, Rutger Hauer, Alessandro Haber, Massimo De Francovich e Elhadji Ibrahima Faye, il film racconta la storia di un vecchio prete che assiste impotente alla sconsacrazione della sua chiesa, smontata pezzo dopo pezzo e privata persino del Grande crocifisso di cartapesta appeso sopra l’altare. Una notte, un gruppo di disperati , degli immigrati probabilmente appena sbarcati da una carretta, bussa alla porta in cerca di aiuto. Lui si sente smarrito, non capisce cosa stia succedendo, eppure non si rifiuta di nasconderli. A poco a poco, le pareti nude della chiesa gli rivelano una sacralità che prima non appariva: non più la sede delle cerimonie liturgiche e degli altari dorati, ma la casa di Dio. Spiega Olmi: “se non apriamo la nostra casa, anche intima  e se non ci liberiamo degli orpelli, come possiamo comunicare con gli altri? Così facendo siamo destinati a diventare delle maschere, degli uomini di cartone”.

Tra i film in concorso di oggi, c’è l’ennesima trasposizione del celebre romanzo vittoriano di Emily Bronte, “Cime tempestose” (“Wuthering Heights”), che questa volta arriva sul grande schermo con la regia dell’inglese Andrea Arnold. Ambientata nelle aspre campagne dello Yorkshire, la pellicola porta alla luce temi di grande attualità come il razzismo e la non tolleranza, ma anche temi universali come l’amore, la gelosia e l’odio. I protagonisti Heathcliff e Cathy hanno i volti dell’esordiente James Howson e dalla star della serie tv britannica “Skins” Kaya Scodelario, ma la versione cinematografica non ricalca fedelmente  il libro: “volevo onorarne l’essenza – ha detto la regista inglese – cercando di prendere le decisioni più giuste per adattarlo al grande schermo. Non ho trattato la seconda parte ed è stato un peccato perché il personaggio di Heathcliff rimane alla deriva senza trovare pace. Se l’avessi fatto  il film sarebbe durato sette ore  e comunque non girerò un sequel per colmare questa mancanza”.

Sempre in concorso, arriva il giapponese “Himizu” dell’habitué dei Festival Sion Sono. Tratto dall’omonimo Manga, il film racconta di un ragazzino che noleggia barche nel suo paese sconvolto dallo tsunami. E’ un idealista: nonostante il padre sia indebitato e la madre assente, cerca con tutte le forze di costruirsi una vita serena e dignitosa. Ad aiutarlo, l’amore di una coetanea un po’ folle con la passione per la poesia francese. La buona volontà del giovane viene messa a dura prova dalla Yakuza (organizzazione criminale giapponese), che pretende la restituzione di un debito del padre e soprattutto dalle violenze di quest’ultimo. Ripensato dopo la tragedia che l’11 marzo ha sconvolto il Giappone (le prime immagini sono quelle di un luogo devastato dallo tsunami), il film vuole portare sullo schermo lo spirito battagliero di un popolo che nonostante le numerose avversità continua a combattere. “Per me era necessario recarmi nelle zone distrutte dallo tsunami – spiega il regista – se non l’avessi fatto me ne sarei pentito per sempre. In Giappone, dopo questo disastro il non quotidiano è diventato naturale, ma c’è ancora speranza, un messaggio che con l’ultima scena ho voluto dare a tutto il popolo giapponese”.

Infine, la Biennale ha comunicato il titolo del film sorpresa in gara: si tratta del cinese “Ren Shan Ren Hai” (“People Mountain People Sea”), in italiano “Mare di gente”, di Cai Shangjun. La storia si svolge attorno a Lao Tie, un uomo che dopo anni di lavoro in città torna senza soldi nella sua piccola comunità di montagna. Il suo obiettivo è trovare l’assassino del fratello minore: la polizia ne ha accertato l’identità ma non è riuscita ad evitarne la fuga. Per dargli la caccia Lao Tie intraprende un viaggio, durante il quale darà sfogo alla sua rabbia e sofferenza interiori, a lungo represse. “Ricalcata rigidamente in italiano  l’espressione del titolo diventa ‘Gente monte gente mare’ – si legge nelle note di regia – ed è proprio la rigidità del calco che rende l’espressione selvaggia, piena di vita, dotata di una forza invisibile. La forza di un mare di persone che cerca di sopravvivere”. Nel film “un uomo ne sta braccando un altro – continua Shangjun – quando l’obiettivo è ormai vicino, sospeso tra il prezzo della perdita e l’opportunità di guadagno, qual è la scelta giusta? In un’epoca di rapidi cambiamenti, come ritrovare la serenità d’animo e il vero io?”.

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