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Fernando Spiner presenta il suo film in Italia e “realizza un sogno”

Intervista a Fernando Spiner

Non è soltanto un western, è un film legato alla storia e alla tradizione argentina. E’ un’incursione nella “gauchesca”, genere molto sviluppato nella letteratura e nel teatro sudamericano. E’ con grande emozione ed orgoglio che Fernando Spiner ha presentato per la prima volta in Italia un suo film. Il suo terzo film, come tiene lui stesso a precisare: “Presentare il mio film a Roma significa realizzare un sogno, ed è stato emozionante incontrare tanti miei vecchi compagni”.

Già studente di regia, negli anni ’80, presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, Spiner è tornato oggi in qualità di ospite della rassegna CinemaSpagna, appena conclusa, per presentare il western gaucho “Aballay, l’uomo senza paura”, ambientato nel 1850 nella pampa argentina.

Aballay, gaucho fuorilegge, galoppa con la sua banda all’attacco di una diligenza. Dopo aver ucciso e derubato l’unico passeggero maschio, incontra lo sguardo terrorizzato del figlio della vittima: è qui che prende coscienza della propria brutalità. Decide allora di intraprendere una strada di penitenza senza ritorno: diviene un “Simón del Desierto” a cavallo. Passano gli anni e la sua figura diventa leggenda, ma Abballay sa che quel bambino, ormai uomo, è sulle sue tracce.

E’ la prima volta che presenti un tuo film in Italia. Che impressioni hai avuto?
E’ stato davvero emozionante. In sala c’erano i miei ex compagni del Centro Sperimentale, con i quali ho frequentato i corsi negli anni ’80. Oggi, molti di loro fanno parte dell’industria cinematografica italiana. Era presente anche uno dei professori, il grande Roberto Perpignani, e c’erano tanti amici di quel periodo. Per cui sono davvero emozionato, ho finalmente realizzato un sogno.

Come  nata l’idea di questo film?
Sono tanti gli elementi che mi hanno convinto a fare questo film. Il punto di partenza è stato l’omonimo racconto di un grande scrittore argentino, Antonio Di Benedetto. Ho trovato in questa storia la grande possibilità di fare un western gaucho, un genere molto vicino alla storia argentina, fatta di conquista di territori senza legge, di “uomini a cavallo”, appunto. Non ho deciso di fare un western estrapolando il genere, ma ho fatto un genere di film che appartiene alla mia tradizione. Anche negli anni ’50 in Argentina si facevano tanti film western, tutti diretti da grandi registi argentini dell’epoca. Allo stesso tempo è un’incursione nel genere della “gauchesca” che è molto sviluppato in letteratura e in teatro.

Quali sono stata le difficoltà più grandi?
Ne abbiamo incontrate tante. Abbiamo realizzato questo film in maniera artigianale, quindi abbiamo dovuto inventarci volta per volta modi di risolvere i problemi. E’ stato difficile fare un film tutto in esterni. Nel cinema americano ci sono degli addetti specializzati per ogni cosa, invece noi non avendo i budget necessari (il nostro si aggira sui 400.000 euro),  ce la siamo cavata con le nostre forze, disegnando tanti elementi. Dal punto di vista artistico, ci siamo chiesti tante volte come dovessero parlare e si dovessero muovere i personaggi. Abbiamo cercato di ricostruire un mondo che non esiste e provando a renderlo credibile.

In che modo ti hanno influenzato l’insegnamento e il cinema italiano?
Credo di aver visto più cinema italiano che argentino. Sono innamorato della commedia all’italiana. Ho avuto tra i miei insegnanti Furio Scarpelli, un grande sceneggiatore. In quegli anni ho scoperto i film di Sergio Leone, da lì è nato il mio amore. Oggi, amo molto il cinema di Nanni Moretti e Gianni Amelio. Ho imparato molto dal cinema italiano, ma ho fatto un film che è veramente argentino, e lo considero uno dei suoi punti forti.

Come mai negli anni ’80 sei venuto a studiare a Roma?
In quegli anni in Argentina c’era un grande amore per il cinema italiano e io volevo fare un’esperienza di studio all’estero. L’Italia era un posto molto vicino a me perché conoscevo Fellini, Bertolucci, Antonioni e tutti i grandi maestri del cinema. Venire qui in quel periodo era una grande occasione. Inoltre la cultura era molto simile.

 

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