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“6 passi nel giallo”, arriva il brivido in tv con i maestri Bava e Margheriti

Interviste a Lamberto Bava, Eliana Miglio, Edoardo Margheriti e Roy Bava

Dal giallo a tinte rosa al classico noir, dal thriller rompicapo all’horror da pelle d’oca. Arriva in autunno su Canale 5, “6 passi nel giallo”, la miniserie in sei puntate (ognuna delle quali è un film indipendente) con un unico fil rouge: il thriller/horror in tutte le sue declinazioni. Nata da una collaborazione tra RTI e la Leader Film Company di Lello Monteverde (distribuzione estera Dolphin Entertainment), la collana ha l’obiettivo di portare in tv quel genere che negli anni ’70-’80 tutto il mondo ci invidiava e a cui si sono ispirati autori di successo come Quentin Tarantino. Per l’occasione sono stati chiamati due maestri del settore: Edoardo Margheriti ha diretto i film “Sotto protezione” e “Souvenir”, mentre Lamberto Bava ha curato la regia di “Presagi”, “Vite in ostaggio” e “Omicidio su Misura”. “Gemelle” è invece stato affidato a Roy Bava (già regista di “Distretto di polizia 5”), figlio di Lamberto e nipote del grande Mario.

Girati a Malta in inglese e in presa diretta, destinati a un pubblico internazionale, i film vantano un cast altrettanto internazionale. Tra gli americani troviamo Kevin Sorbo (“Hercules”), Craig Bierko (“Cinderella Man”), Veronica Lazar (“La Luna” di Bernardo Bertolucci) e Katrina Law (“Spartacus”). Protagonisti italiani sono Daniele Pecci, Adriano Giannini, Nicolas Vaporidis, Ana Caterina Morariu, Eliana Miglio, Andrea Miglio Risi, Antonio Cupo, Giorgia Surina, Jane Alexander e l’ungherese Andrea Osvart. Sceneggiature di Stefano Piani, Alberto Ostini, Stefano Sudriè e Fabrizio Lucherini, musiche originali di Alessandro Molinari.

All’ultimo RomaFictionFest, dove la serie è stata presentata in anteprima, abbiamo incontrato i registi e l’attrice Eliana Miglio.

Lamberto Bava, di che cosa parla “Presagi”?
Una ragazza, Andrea Osvart, sogna pezzi di una storia probabilmente accaduta nella realtà, ma non sa se questi pezzi si riferiscono al passato, al presente o al futuro. Scoprirà in seguito di aver sognato un serial killer di bambine. Il film è un horror vero, con gli ultimi 25 minuti da fiato sospeso. Ha fatto paura anche a me!

E “Omicidio su misura”?
E’ la storia di un giallista che tornando a casa dopo una notte passata fuori trova la moglie assassinata. Il primo sospettato è proprio lui: l’omicidio è avvenuto esattamente come descritto nel suo ultimo libro non ancora pubblicato. Purtroppo la ragazza con cui ha passato la notte è scomparsa e lui è costretto a fuggire per scoprire la verità.

Che tipo di film è “Vite in ostaggio”?
E’ una situazione classica: una rapina andata male, con i banditi che devono arrivare alla sera e, non sapendo che fare, entrano in una villa dove prendono in ostaggio un’intera famiglia. Tutto quello che può succedere in 24 ore. E’ una bella sceneggiatura, la prima che ho girato e forse la più matura. Un susseguirsi di colpi di scena che non ti aspetti, ma tutti i film sono così: decisamente un’altra pasta rispetto alla fiction che si vede in Italia.

E’ difficile portare l’horror in tv?
Non credo, quando racconti una storia lo fai comunque per lo spettatore. Certo bisogna sempre tenere a mente che il film è rivolto a un pubblico televisivo, quindi le immagini non devono mai eccedere. E’ forse questa l’unica difficoltà.

C’è stata una rilettura americana delle sceneggiature?
E’ successo per tutte le storie, che venivano mandate in America per una specie di “lavaggio”. In alcuni casi è stato positivo, in altri le modifiche non ci piacevano e le abbiamo cambiate di nuovo.

Perché l’horror italiano non si fa più?
Noi eravamo dei maestri, ma ormai i film di genere li fanno bene in tutto il mondo. E poi oggi c’è un limite: quando si gira un lungometraggio bisogna pensare che andrà anche in tv.

Nel cast ci sono diversi americani ma anche attori italiani a cui è affezionato, come Eliana Miglio…
E’ un’attrice che mi piace molto perché è internazionale, come anche suo figlio, Andrea Miglio Risi, che ho scelto per interpretare uno dei tre banditi di “Vite in ostaggio”. Il casting non è stato facile, spesso gli attori bravi venivano esclusi per l’inglese.

Eliana Miglio, lei che ruolo ha in “Presagi”?
Per questo personaggio ho tinto i capelli di rosso: volevo che fosse più forte di carattere, una donna più libera e forse anche un po’ più ambigua rispetto a come sono io. Mi divertiva l’idea che per una volta il pubblico potesse inquadrarmi nel gruppo degli indiziati. In realtà sono una donna buonissima che si occupa amorevolmente della protagonista, la medium interpretata dalla Osvart. E’ un film che può piacere molto alle donne, perché parla di bambini e fa risvegliare quell’istinto protettivo che è in tutte noi.

Com’è stato ritrovare Bava dopo tanti anni?
Con lui avevo lavorato per altri due film, ma è successo tanti anni fa. Oggi mi ha ritrovata più matura, è stato un incontro molto piacevole.

Ha trovato differenze o difficoltà con i tempi e i modi della tv?
Lamberto è un regista molto tecnico e quindi non molla: anche in televisione esige lo stesso tipo di attenzioni e cure che mette nel cinema.

Edoardo Margheriti, nelle note di regia scrive che “Sotto protezione” è un giallo con dei momenti rosa in un’atmosfera noir…
Dei sei film è forse il meno giallo e il meno violento, perché ruota attorno alla storia d’amore tra una guardia del corpo e una giornalista americana. Lei viene in Italia per realizzare un reportage  su un omicidio efferato, un fatto simile al caso Meredith, per il quale è stato condannato un suo connazionale. La cronista scoprirà che il ragazzo è innocente, ma sarà anche minacciata e aggredita, e la sua società di produzione assumerà una persona per proteggerla.

“Souvenir”, invece, di che cosa parla?
E’ l’ultimo giallo della serie, una storia intrigante e molto forte. Racconta di un serial killer soprannominato “l’acconciatore” perché è solito rapire, torturare, violentare e uccidere le donne per poi asportarne una parte di scalpo e collezionarlo. Dopo averne ammazzate sei, smette per 25 anni. La nostra storia comincia con un ex criminologo dell’FBI che viene a vivere in Italia dopo che gli hanno ucciso la moglie. L’Italia è il Paese dove l’ha incontrata e lui viene qui per iniziare una nuova vita. Nel garage della casa che prende in affitto, però, trova una scatola abbandonata con dentro la collezione dei macabri trofei. Alla notizia del ritrovamento il serial killer torna ad uccidere e parte l’indagine.

Chi sono i protagonisti?
Scott Patterson, Demetri Goritsas, Nicolas Vaporidis e Giorgia Surina. Vaporidis è un venditore di appartamenti, il personaggio divertente che alleggerisce il thriller.

In tutti i film ci sono omaggi al cinema di genere. Qualche esempio?
Più che omaggi nei miei lavori ci sono citazioni di tecniche di ripresa: il taglio delle inquadrature, l’utilizzo dei grandangoli esagerati o delle lunghe focali con un personaggio in primo piano e un’azione sullo sfondo, tutte piccole cose che strizzano l’occhio al nostro giallo degli anni ’70-’80. In questo modo il film acquista un’impronta e un gusto diversi dalla solita fiction televisiva, avvicinandosi di più al cinema.

Perché il thriller-horror “Made in Italy” non va più come una volta?
Non è che non va più, il problema è che non si fa più. Se riuscissimo a riportarlo in Italia sarebbe sicuramente accolto come 30 anni fa. Forse si farebbe una versione più ridotta: il nostro cinema si è ridotto sia negli incassi che negli ascolti e poi, con la nascita dei canali tematici, tutto è più frazionato.

E’ più difficile portare l’horror e il giallo in televisione?
E’ una scommessa che abbiamo fatto con i produttori, perché con questi film abbiamo osato. Si tratta di thriller veri: molta violenza e molto sangue, tematiche abbastanza crude, un approccio diversissimo dai gialli “del condominio” che siamo abituati a vedere in tv.

Roy Bava, com’è stato questo esordio alla regia?
In realtà è un mezzo esordio, nel senso che ho già girato la quinta serie di “Distretto di polizia”. Del progetto mi ha attratto l’entusiasmo produttivo e la voglia di far bene che non sempre si trova. C’era una bella idea che è stata sviluppata velocemente: in sei settimane siamo arrivati al film!

Di che cosa parla “Gemelle”?
Di una donna americana che tornando in Italia dopo aver vissuto sei mesi negli Stati Uniti, chiede a un suo amico d’infanzia, un commissario italiano, di aiutarla a rintracciare la gemella scomparsa. Mentre le ricerche dell’uomo non portano a nulla, in città cominciano a verificarsi degli strani omicidi. Ben presto il commissario comincerà a sospettare della sorella scomparsa. All’inizio la storia si presenta come un mistery, ma le morti ci conducono verso un’altra direzione. I personaggi non sono mai quelli che sembrano e a poco a poco viene fuori un passato che svela significati diversi da quelli che abbiamo creduto.

Come ha scelto il cast?
Da subito abbiamo cercato di individuare degli attori che fossero adatti al ruolo e avessero una buona padronanza dell’inglese. I film è ambientato in Italia, per cui i ruoli italiani sono interpretati da italiani che parlano inglese (tra loro Daniele Pecci, ndr), mentre i personaggi americani sono stati affidati agli americani. Si tratta di Erica Durance e Tomas Arana: per loro sono stato davvero contento perché di norma chiedono cachet inavvicinabili, ma Tomas è un amico e ha accettato di partecipare a prescindere dal budget. Per non parlare di Veronica Lazar: sono orgoglioso della sua presenza.

Scoperte speciali?
Sono rimasto piacevolmente sorpreso da Erica, che interpreta le gemelle. Cercavo un personaggio che avesse spessore interpretativo e possibilità di cambiare faccia velocemente per essere fragile e dura allo stesso tempo. Il lavoro più grande è stato con lei.

Ha collaborato con tanti registi, tra cui suo padre e Dario Argento. A chi si sente più legato?
Sono molto legato a mio padre, anche se sono 11 anni che non lavoriamo insieme. Ho collaborato anche con Michele Soavi che stimo molto. Nel mio film si notano qua e là una serie di omaggi a Lamberto, a Dario, a mio nonno e ad altri maestri dell’horror-fantastico.

Me ne racconta uno?
C’è un personaggio legato a una sedia che è un omaggio a “Le Iene” di Quentin Tarantino, che a sua volta ha dedicato il film alla memoria di mio nonno. Anche la vittoria a Cannes l’ha dedicata a lui, dicendo che se non ci fosse stato Mario Bava non avrebbe mai fatto questo mestiere.

Che cosa si aspetta da questo film?
Che chi lo vede si diverta, perché i film si fanno prima di tutto per il pubblico. Nei miei lavori ho cercato di portare sempre la qualità: come aiuto regia o seconda unità ho collaborato a tutti i “Fantaghirò” e alle fiabe di mio padre, a “Paolo Borsellino” di Gianluca Maria Tavarelli, alle miniserie su Papa Wojtyla di Giacomo Battiato e così è andata per tutte le altre fiction. Insomma, il mio obiettivo è portare il cinema in televisione.

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