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Fabio Segatori, “Ho fatto conoscere alla troupe lo stupefacente più sconvolgente di tutti: la stanchezza”

Intervista a Fabio Segatori per il film “Ragazze a mano armata”, nelle sale dal 19 Giugno. Il regista ci racconta anche del suo arresto nel ’96.

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Come è nata l’idea del film?
Il film è tratto da una commedia teatrale di Paola Columba che ha vinto il premio “Drammaturgia Oggi” e noi ne abbiamo fatto una versione cinematografica. Nel corso della mia carriera da regista ho fatto per lo più film d’azione e quindi, chiaramente, un regista d’azione che fa un film teatrale cerca di renderlo il più cinematografico possibile, nel linguaggio e nel racconto.

Qual è stata la difficoltà più grande?
Naturalmente il budget ridotto. Ci sono stati pochi soldi ma siamo riusciti a gestire tutto al meglio grazie ad una tecnica di produzione che ho imparato dal maestro cinese Tsui Hark. Lui è regista e produttore di tanti film d’azione spettacolari e durante un master a Berlino mi ha insegnato ad utilizzare la produzione cinematografica in tre unità diverse, due unità che preparano e una che gira. Questo è anche un sistema per tenere sempre in moto le energie positive degli attori, mantenendo sempre un flusso creativo e permettendo di triplicare la produttività nella catena di montaggio.

Un approccio zen, insomma.
Esatto. E questo ci ha permesso di portare a casa una media di 75 inquadrature al giorno, che è circa 3 volte la produttività media di un set italiano, e di girare il film in 18 giorni di riprese, che è circa la metà del tempo che ci vuole in Italia per fare un film.

Ecco, come ottimizzare il tempo al massimo.
A questo si deve aggiungere una sfida ancora più ambiziosa, fare un film con una troupe completamente alla prima esperienza.

Mi ha molto incuriosito questa scelta.
Sì, è controcorrente ed è l’impronta della nostra società. Cerchiamo sempre di percorrere strade inesplorate, cercando sempre di fare quello che non c’è, sia sul piano produttivo che su quello narrativo. Quello che già c’è non ha bisogno di noi. E quindi, un po’ grazie alle esperienze internazionali che ho avuto sia in Europa che negli Stati Uniti, e grazie soprattutto alla lezione del cinema indipendente americano, ho cercato di portare qui in Italia le cose che ho appreso. Perché i giovani? Non sono un benefattore, credo che siano più disinvolti nell’uso delle nuove tecnologie. Il film è stato girato totalmente con la 5D, una macchina fotografica, e credo sia la prima volta che succede.

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Come è andata la gestione di tutti questi elementi sul set?
La troupe era costituita per lo più da ragazzi di Messina che hanno fatto dei corti o dei clip musicali per band locali e non sapevano come funzionasse il cinema. Io non li ho introdotti nel mondo del cinema normale ma in quello cinese. E alla troupe, prima di cominciare, ho premesso: “Ragazzi, per tutta la durata delle riprese, stoppate l’uso di stupefacenti perché sto per farvi conoscere quello più sconvolgente di tutti: la stanchezza”. E questo è quello che è successo. Ho visto ragazzi crollare come mosche sul suolo perché erano sfiniti. Il mio aiuto regista ha perso 13 kg in 18 giorni. E la cosa insana è che molte di queste persone si sono anche affezionate a me. Potrebbe sembrare una pratica sadomaso. E’ stato un progetto esaltante per certi aspetti, ed è un piccolo miracolo rivederlo sugli schermi e ricevere le telefonate degli esercenti incuriositi. E’ un’operazione giovane, fresca, fatta con delle tecnologie leggere, si viaggia in tutta Italia col satellite, non sporchiamo, non inquiniamo. E’ un’esperienza pilota nel cinema indipendente italiano. E’ un film che vuole essere positivo, anche nella scelta stilistica della locandina traspare l’elemento “leggero”, un film semplice e scanzonato per un pubblico normale, non il solito film indipendente difficile, ostico, che chiede molto allo spettatore. Noi cerchiamo di dare un piccolo intrattenimento un po’ anticonformista, con dei personaggi molto presi dalla realtà. Abbiamo girato dentro un vero appartamento di studenti fuori sede. Da 12 anni in quella casa ci vivono degli studenti e ha tutte quelle caratteristiche che è difficilissimo riprodurre: fili penzolanti, colori delle pareti improbabili, elettrodomestici ingialliti e vecchi, l’incerata sul tavolo con i buchi di sigaretta. Poi c’è anche un ritratto di vita molto interessante: le 3 protagoniste sono diverse tra loro ma tutte vere allo stesso modo e riportano sullo schermo il modo in cui stanno le ragazze a casa, una vita vera come fosse ripresa con una “spy cam”. E dentro questo affresco sulla condizione degli studenti fuori sede, dei quali ho fatto parte anche io quando ero ragazzo, si possono riconoscere degli elementi veri. E la cosa curiosa è che noi cercavamo una ragazza siciliana un po’ alternativa, matta, disinibita, una ragazza dei nostri tempi; tutte le attrici che avevamo provinato avevano difficoltà ad entrare in questo personaggio un po’ “punkabbestia”. Se non che la proprietaria di questo appartamento era perfetta per il personaggio anche se non era un’attrice, aveva fatto solo qualche piccola esperienza in alcuni cortometraggi. Le abbiamo fatto 3 provini e ci siamo convinti che era proprio lei il personaggio che stavamo cercando. E quindi per la prima volta Giovanna Verdelli, che vive effettivamente in una sorta di comune, con cani e persone di passaggio che magari si appoggiano per una notte sul sofa, è entrata nel cast. E’ uno spaccato di come sono i ragazzi oggi e me ne sono accorto anche quando ho presentato “The Ghostmaker” a Taormina. Pensavamo non ci fosse nessuno. Invece la sala si è riempita di 500 ragazzi venuti da tutta la Sicilia, tra cui darkettoni, tatuati, coi piercing. Un fermento che non mi aspettavo. Fondamentalmente bisogna togliersi dalla testa quello che ci propone Raiuno. La Sicilia è diversa da quella che ci propongono in tv. L’idea è quella di fare dei film nuovi e diversi, che siano uno shaker di generi diversi.

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Come è andata la scelta del cast tecnico ed artistico. E come è caduta su Karin Proia?
Io e Karin abbiamo lavorato insieme tanti anni fa su “Terra Bruciata”, forse il suo primo ruolo importante. La conosco da tanto tempo ed è un’attrice estremamente bella, estremamente sexy ed estremamente autoironica, non si prende troppo sul serio, non fa troppo la diva anche se ne avrebbe tutto il diritto. Insomma è un talentaccio non da poco.

Che poi nella vita è molto discreta.
E’ una vera attrice. Negli Stati Uniti esiste una distinzione tra actress and celeb. In Italia siamo affogati da celebrità che fanno anche le attrici ma sono persone che sostanzialmente non hanno né arte né parte, non hanno nessun tipo di preparazione o di gusto professionale e fanno le attrici o compaiono nei film. Invece Karin è una vera attrice, che costruisce e interpreta un personaggio, discute col regista sulle scelte e soluzioni.
Un’altra bellissima scoperta è stato Nino Frassica. Gli ho fatto interpretare un ruolo malinconico e poetico, quello di un pasticcere professionista che, quasi asceticamente, cerca il cannolo perfetto, vive in montagna e spende tutti i soldi che ha per comprare ingredienti e migliorare i suoi cannoli, che però non mangia nessuno. E questa è anche una piccola metafora sulla situazione del cinema indipendente. Noi dobbiamo imparare dall’agroalimentare e da quelli che fanno il cibo di qualità, e dobbiamo fare i nostri film mettendoci i prodotti buoni dentro, rispettando il pubblico. Iniziamo a dargli un senso e a non mettere persone raccomandate nei film. Alcuni dei ragazzi messinesi che ho scelto sono proprio dei genietti. Il mio operatore è un inventore pazzo che fa dei timelapses pazzeschi. E dopo i miei film, durante i quali abbiamo parlato delle cose che si potrebbero fare in Italia, si è sentito incoraggiato, ha preso baracca e burattini e se ne è andato a Sydney e nel giro di 6 mesi ha lavorato nel film di Russell Crowe come assistente operatore; poi, il mio aiuto regista, quello che a perso 13 Kg, si è rimesso in sesto (ride, ndr) è partito anche lui per l’Australia e ha fatto l’assistente alla regia iniziando una carriera, nel film di Angelina Jolie. Una delle due scenografe, nonché fidanzata dell’aiuto regista, è partita anche lei è ha fatto l’aiuto scenografa nel film di Alex Proyas.

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Immagino sia una bella soddisfazione.
Decisamente sì, anche perché ho riportato il mio set organizzato all’americana, non in italiano. Loro erano già in pista perchè hanno capito come si lavora negli Stati Uniti. Bisogna avere un atteggiamento pragmatico nel cinema. Ed è importante avere dei grandi maestri. Io ho iniziato con Eduardo De Filippo che mi ha insegnato il rigore nella scrittura, il rispetto per lo spettacolo e lo spettatore. Poi ho fatto un master a Berlino con Jan de Bont, che mi ha insegnato a girare l’azione, come far saltare in aria un’automobile, che obiettivi usare, come fare le sparatorie, etc. E ho fatto subito un corto, “Bestie”, unico corto italiano nel ’96 al Festival di Pesaro, girato in bianco e nero e per il quale sono stato arrestato.

Cosa? Un aneddoto che val la pena raccontare.
Nel ’96, galvanizzato da questo master fatto a Berlino, con Jan de Bont, volevo subito mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti. Allora girammo con due attori fantastici che sono Joe Capalbo e Giuseppe Rugiano questo filmetto d’azione nel centro di Roma, nell’ingorgo del traffico. Un vero inseguimento che io, a mia volta, inseguivo con la macchina da presa. E mentre uno dei due puntava la pistola contro l’altro in mezzo al traffico, vedo un  terzo personaggio non previsto in campo con un’altra pistola. Io sono sbiancato e ho iniziato a urlare “Fermo, è un film!”. Era un poliziotto in borghese e quando ha capito che stavamo girando, ha avuto un collasso anche lui. Siamo stati arrestati e abbiamo passato una notte in cella.

E’ una storia incredibile! Ha in mente di fare altri film d’azione?
Al momento, mi sto concentrando sul nuovo film “Sarà bello”, per il quale abbiamo appena iniziato i provini e che gireremo in Puglia. È tratto da un romanzo di Manuela Salvi pubblicato da Mondadori che si chiama “E sarà bello morire insieme” ed è una storia d’amore tra teenagers. La protagonista è la figlia di un magistrato milanese interpretato da Laura Morante. E’ un dramma, per la regia di Paola Columba, la regista teatrale di “Ragazze a mano armata”, che qui invece dirige al cinema, alla sua opera seconda. Io qui sono in veste di produttore e sceneggiatore. Ora stiamo iniziando i provini a Lecce e a Bari per cercare il protagonista maschile in Puglia, che deve essere un ragazzo appena maggiorenne e bellissimo. Sono legato alla Puglia, perché proprio lì scoprì Bianca Guaccero con “Terra Bruciata” e la portai negli Stati Uniti per girare “Hollywood Flies”, unica italiana del cast.

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