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Costanza Quatriglio: “nel 2011 non è crollata solo una palazzina ma un’intera civiltà”

Intervista alla regista di “Triangle”

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Le operaie tessili di Barletta morte sotto il palazzo crollato nel 2011 e le vittime, cento anni prima, dell’incendio nella fabbrica newyorkese Triangle. Un bellissimo documentario accosta le testimonianze, le immagini, il vissuto delle operaie di allora e di oggi per raccontare due vicende parallele che viaggiano in direzione opposta.

“Triangle”, il nuovo film di Costanza Quatriglio, presentato al Torino Film Festival nella sezione curata da Paolo Virzì e dove si è aggiudicato il Premio Cipputi, racconta due tragedie tra loro speculari che fanno riflettere sulla condizione del lavoro oggi e sui diritti della classe operaia. Dalla New York di un secolo fa all’Italia di oggi, poco sembra essere cambiato per le donne lavoratrici.

Barletta, 2011. A cento anni dall’incendio della fabbrica Triangle, quando nel 1911 prese fuoco l’ottavo piano del grattacielo di New York tra Washington Square e Greene Street, le operaie tessili muoiono sotto le macerie di un maglificio fantasma.

La vicenda italiana, attraverso la testimonianza di Mariella Fasanella, l’unica estratta viva dalle macerie (le colleghe Antonella, Giovanna, Maria, Matilde, Tina non ce l’hanno fatta) ci consegna la condizione esistenziale e materiale di chi non ha alcun diritto né la percezione di averne.

La regista di origini palermitane ancora una volta parte dai documenti, tema fondamentale nei suoi ultimi due lavori: “Terramatta”, sull’opera di Vincenzo Rabito, e “Con il fiato sospeso” con Alba Rohrwacher, ispirato alla vicenda dei cosiddetti laboratori dei veleni di Farmacia.

“Triangle” arriverà nelle sale il prossimo inverno, distribuito da Istituto Luce Cinecittà.

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Quando hai capito di voler realizzare questo film?
L’idea è venuta qualche mese dopo il crollo della palazzina a Barletta. Nell’aprile del 2012 mi era stato proposto per un progetto di visionare i materiali d’archivio della tragedia della Triangle, l’incendio del 1911. Il ricordo di quello che era avvenuto a Barletta era ancora molto forte. Ho pensato che l’unico senso era quello di raccontare quella storia rapportandola all’oggi. Mettere assieme queste due vicende, così lontane. Ho pensato che sarebbe stato interessante raccontarle con gli occhi di oggi.

Qual è stata la difficoltà più grande?
Trovare una chiave di lettura omogenea su un film unico, con un percorso drammaturgico unico. Narrare il lavoro è difficile. In “Triangle” ho cercato di mostrare come la condizione operaia oggi sia la stessa di quando c’era la fabbrica, anche nel rapporto con la macchina. Nel 2011 a Barletta a crollare non è stata solo una palazzina ma un’intera civiltà e io mi sono avventurata nelle regole del lavoro.

Che tipo di lavoro hai dovuto fare prima?
Ho lavorato su materiale d’epoca e su testimonianze dell’oggi. Ho effettuato un lavoro di ricerca su materiale d’archivio della New York dei primi del 900. Sostanzialmente ho scelto di costruire due esperienze parallele, vere. Da una parte volevo mettermi un passo indietro rispetto alla storia del 1911 e ascoltare come l’incendio diventa antefatto per raccontare l’acquisizione della consapevolezza dei propri diritti e un viaggio attraverso le conquiste del Novecento. E dall’altra parte l’esperienza di una perdita di consapevolezza dei propri diritti e di completo oblio. L’espierenza di oblio che è delle persone che oggi lavorano senza avere coscienza dei propri diritti o dei propri bisogni.

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Com’è stato l’incontro con Mariella Fasanella?
E’ stato difficile, all’inizio, chiarire la mia posizione sul diritto del lavoro, ma Mariella, pur non avendo mai interiorizzato la questione, ha una grande dignità del lavoro. Per me incontrarla è stata d’ispirazione. Ha una grandissima forza d’animo e mi ha dato un grande insegnamento: si può e si deve ricominciare da capo. Anche quando ci si trova davanti ad eventi così sconvolgenti.

Sei soddisfatta?
Non ho delle formule, ma ho cercato di mettere in dubbio alcune certezze proprio perché c’è oblio sui diritti dei lavoratori.

La città come ha vissuto la cosa?
All’inizio delle riprese è stato difficile confrontarsi con i cittadini. Solo la parrocchia si è dimostrata ben disposta. Poi i cittadini e i parenti delle vittime si sono stretti intorno al progetto. C’era bisogno di confronto pubblico. Mi hanno permesso di filmare le persone sul lavoro. Era un atto doveroso essere lì, per riportare le testimonianze. Un’occasione per unire la comunità, spero.

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