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“The Social Network”, un’impresa epica per l’accettazione sociale

“Non arrivi a 500 milioni di amici senza farti qualche nemico”: è una frase che la dice lunga quella della locandina di “The Social Network” su cosa voglia dire ottenere un successo planetario e inaspettato che porta inevitabilmente ad enormi guadagni oltre che ad una mostruosa popolarità. Dopo i magnifici “Seven”, “Fight club” e “Il curioso caso di Benjamin Button”, David Fincher non delude e porta sul grande schermo, in maniera magistrale, il racconto della nascita del più grande social network del mondo tratto dal libro di Ben Mezrich “Miliardari per caso. L’invenzione di Facebook”.

THE SOCIAL NETWORK - conferenza stampa con Jesse Eisenberg - WWW.RBCASTING.COM

La storia è quella in cui sono coinvolti Mark Zuckerberg (interpretato da uno straordinario Jesse Eisenberg), brillante studente di Harvard che ha ideato il più rivoluzionario sito web del XXI secolo dopo essere stato lasciato dalla sua ragazza, dell’amico e collega Eduardo Saverin (Andrew Garfield), che ha fornito il capitale iniziale per l’avvio dell’impresa, il fondatore di Napster Sean Parker (a cui dà corpo il sorprendente Justin Timberlake) ed i gemelli Winklevoss, da sempre sostenitori della reale paternità del progetto. Il film prende le mosse dallo scontro nato immediatamente dopo la creazione del sito web tra queste giovani e brillanti menti, mettendo in scena un dramma, in cui si alternato creatività e distruzione, in maniera assolutamente oggettiva, mostrando i diversi punti di vista che, di volta in volta, decostruiscono la realtà mostrata fino a quel momento.

Il personaggio di Zuckerberg è un antieroe del XXI secolo, degno dei più grandi della letteratura: le sue incapacità si trasformano in risorse per costruire la sua fortuna, in lui convivono sicurezza e debolezza, paura e coraggio, misoginia e volontà di essere amato e accettato proprio da quelle donne che disprezza (da cui derivano le scene insopportabilmente maschiliste, unico neo di un film praticamente perfetto). Sullo sfondo l’America e la critica ad una società feroce, capitalista, consumista, individualista ed esteta.

Utilizzando una regia asciutta e tagliente con un montaggio dinamico, dialoghi dal ritmo serratissimo e avvalendosi della brillante sceneggiatura di Aaron Sorkin, Fincher narra con abilità una storia moderna che ha però i toni di un’impresa epica: quella dell’accettazione sociale di un giovane ragazzo nerd, sfigato, con pochissimi amici che, al solo e banale scopo di conoscere più donne possibili, ottiene ciò di cui ha bisogno creando il mezzo che ha cambiato il modo di comunicare in tutto il mondo. Da anni ormai, Facebook è entrato nella quotidianità di gente di ogni generazione, con un successo tale nel miglioramento delle relazioni, che recemente alcune aziende internazionali hanno cominciato ad usarlo persino per selezionare il personale. Nato come uno strumento elitario che aveva lo scopo di mettere in relazione gli studenti delle più prestigiose università statunitensi, Facebook è diventato il mezzo sociale più democratico al mondo, capace di donare a chiunque anche solo pochi attimi di protagonismo: esisti perché hai/sei un profilo. Ciò che inizialmente era nato come esclusivo, inverte dunque i parametri rendendo un escluso chi non fa parte di quella realtà e creando una nuova struttura sociale: con oltre 500 milioni di utenti in 7 anni, se fosse uno stato Facebook sarebbe il terzo paese più grande al mondo.

Da qui il paradosso della storia di Zuckerberg che crea l’applicazione “amicizia” ma non ha amici, crea lo “status sentimentale” ma non ne ha uno, crea il “social network” ma non ha vita sociale, chiuso com’è in se stesso e nel suo genio, incapace d’avere relazioni affettive. La sua ascesa al successo professionale combacia tragicamente con la sua discesa personale.

Con un cast di attori strepitosi, una regia magistrale ed un formidabile miscuglio di commedia, thriller e film processuale, “The Social Network” entra di diritto nei manuali di storia del cinema.

Alcuni commenti della critica:

“(…) è un gran bel film. Rapido, intelligente, ben scritto, con dialoghi notevoli e illuminati da un senso dell’umorismo a volte fulminante, The social network è decisamente da non perdere (…) Un’opera attualissima eppure con un sapore amaro anni Settanta, da rivoluzione tradita. Un film adulto, benché tratti di storie che riguardano protagonisti poco più che adolescenti. Un prodotto anomalo nel panorama del cinema americano di questi anni, dominato dalla tecnologia degli effetti speciali”.
Curzio Maltese – la Repubblica

“(…) poderosamente, intensamente e acutamente sceneggiato da Sorkin, che condensa nelle battute a effetto l’effetto planetario di questi demiurghi, ripassato dietro la macchina da presa da Fincher con la virtuosa eliminazione del superfluo che fa il genio e interpretato da Eisenberg con una vorace abulia, una differente indifferenza, una presenza totalizzante e insieme deprimente, può dare del tu qui e ora al Quarto potere di Orson Welles, almeno nella fotografia nitida e inquietante dell’informazione del potere e del potere dell’informazione”.
Federico Pontiggia – Cinematografo

“E’ il film dell’anno”.
Rolling Stone

“Capolavoro senza se e senza ma: merito della regia di David Fincher, della sceneggiatura di Aaron Sorkin (quello, tra gli altri, di West Wing) che sa come trattare l’insidioso e interessante libro Miliardari per caso di Ben Mezrich, già autore di Blackjack club, che al cinema è divenuto 21, di Robert Luketic. Merito di un Jesse Eisenberg che ‘deve’ vincere l’Oscar, vista la prestazione maiuscola e difficilissima (…)”.
Boris Sollazzo – Il Sole 24 ore

“(…) dialoghi a mitraglia, attori straordinari e una struttura che incrocia brillantemente commedia, thriller e film processuale (…)  il film di Fincher raconta benissimo anche il vuoto, i deliri di potere, l’ansia di relazioni, e il bisogno di definire la propria identità in rapporto a queste relazioni, avvertito con un’intensità e un’urgenza fino a ieri sconosciuta. Anzi riflette tutto questo nella sua stessa regia mobile e cangiante”.
Fabio Ferzetti – Il Messaggero


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