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Dal libro al film: ecco la nuova “Versione” di Barney

“Ho letto ‘La versione di Barney’ per la prima volta quando Mordecai mi ha mandato il manoscritto. Il personaggio di Barney mi parla. E’ la storia di una vita pienamente vissuta, di un uomo con tanti difetti e vizi, ma con un buon cuore. In un periodo in cui il mondo occidentale, specialmente quella parte di mondo da cui provengo, pascola docilmente nella dittatura del politicamente corretto, fare un film basato su un libro magnificamente e ampiamente irriverente, mi è sembrata quasi una necessità”. Così il produttore Robert Lantos spiega la sua “magnifica ossessione” per quella storia incredibile e straordinaria. Perché per lui, la vita di Barney Panofsky doveva assolutamente rivivere sullo schermo.

Tratto dall’omonimo best seller di Mordecai Richler (pubblicato da Adelphi, solo in Italia ha venduto 300 mila copie) e dopo aver diviso i critici alla Mostra di Venezia, “La versione di Barney” arriva in circa 300 sale, co-prodotto dall’italiana Fandango e distribuito da Medusa. Il film è diretto dal canadese Richard J. Lewis (già regista di molti episodi di “CSI”) e racconta, attraverso quarant’anni e due continenti, la vita dissipata di un ricco ebreo (l’ottimo Paul Giamatti), ovvero i rapporti con le tre mogli (Rachelle Lefevre, Minnie Driver e Rosamund Pike), il padre bizzarro (Dustin Hoffman) che muore in un bordello, l’amico tanto affascinante quanto folle (Scott Speedman) del cui omicidio Barney sarà accusato. Tra feste ebree, sbronze a base di wisky e cene romantiche, lo vediamo a Roma mentre assapora una breve “vie de Bohème”, poi a Montréal alle prese con le sue produzioni spazzatura per la tv che ironicamente chiama “Produzioni assolutamente inutili”, fino a quando non si trova a fare i conti con la perdita della memoria per l’Alzheimer.

“La vera storia della mia vita sprecata”, come dice lo stesso Barney parlando appunto della sua versione dei fatti (da cui il titolo), è stata prima l’occasione per un libro cult e ora per un buon film. Certo, molti degli ammiratori del romanzo grideranno al tradimento, ma è un fatto che si ripete quasi sempre. Del resto stiamo parlando di due linguaggi diversi, l’uno personalissimo e rallentato, l’altro in qualche modo collettivo e sicuramente più immediato. L’elogio va prima di tutto all’attore protagonista: dopo averlo ammirato in tutto il suo splendore è difficile immaginare questo antieroe cinico e sensibile, sfacciato e romantico, scurrile e delicato, con una faccia diversa. Non a caso, dopo la vittoria ai Golden Globe come miglior attore, in molti prevedono anche una candidatura agli Oscar. Poi c’è il resto del cast: Hoffman più in forma che mai, le tre meravigliose mogli e l’indimenticabile amico del cuore. Un altro plauso va allo sceneggiatore Michael Konyves: tradurre un testo così corposo, complicato e raccontato in prima persona non era facile e lui ha vinto la sfida a pieno titolo.

E’ vero che la versione cinematografica non è perfetta: si potrebbe eccepire che la regia non è brillante, che il film regala al protagonista un accentuato sentimentalismo a scapito dello sferzante cinismo che tanto era piaciuto nel libro, o anche che la scelta di portare il protagonista a Roma anziché a Parigi è poco credibile. Ma chi l’ha detto che un film debba per forza dipendere dal romanzo originale e non possa vivere una fortuna tutta sua? Forse la pellicola è stata pensata per chi Richler non l’ha mai letto e magari, dal momento che non starà lì a perdersi in inutili e cavillosi paragoni, sarà proprio quel tipo di spettatore a ridere e a commuoversi più liberamente.

Alcuni commenti della critica:

“L’interpretazione di Paul Giamatti è una delle qualità migliori di un film che rischia di venir soffocato, specie in Italia, dal suo ispiratore letterario. (…) Il regista Richard J.Lewis e lo sceneggiatore Michael Konyves hanno dimostrato una certa sudditanza verso il testo, ingarbugliando solo per quel che serve la cronologia”.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera

“Il film è più bello perché il libro di Mordecai Richler è stato scritto per essere visto: era già una fantasia cinematografica. Ma il film è più bello anche perché toglie il grasso ad un romanzo troppo lungo, ad un libro-vetrina più recensito che letto”.
Francesco Merlo, la Repubblica

“L’ebreo Barney è un finto cinico che dietro il wisky, la scarsa considerazione di sé, l’irriverenza verso tic e tabù della sua comunità, nasconde un cuore grande così. (…) A questo punto però addio cattiveria: il film diventa una commedia comico-sentimentale concentrata sul difficile amore per la bella Miriam e la grandezza invisibile di questo antieroe che avrebbe meritato un adattamento meno timido e rispettoso”.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero

“Non si sarebbe scommesso un centesimo sulla riuscita cinematografica del film tratto dall’ultimo libro dell’impareggiabile Mordecai Richler. Eppure la regia, il cast e la sceneggiatura, sotto l’attenta supervisione del produttore Robert Lantos, sono riusciti nell’impresa. Seppur con qualche difetto”.
Anselma Dell’Olio, Liberal Mobydick

“Il film convince a metà. Il motivo principale è che il personaggio interpretato da un fantastico Paul Giamatti (è soprattutto per lui che vale la pena vedere la pellicola) non è il Barney Panofsky che abbiamo conosciuto nel libro. (…) E una regia senza idee non aggiunge nulla a una sceneggiatura troppo addomesticata”.
Alessandra De Luca, Avvenire


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