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“Il gioiellino”, il crac Parmalat raccontato dall’interno

Video interviste a Remo Girone, Andrea Molaioli e Sarah Felberbaum

“I soldi non ci sono più”, avverte uno sconcertato Remo Girone. “Dove li troviamo? Facciamo una rapina?”. “Inventiamoceli”, gli risponde impassibile Toni Servillo. Comincia così, dopo oltre un’ora di dialoghi serrati e avvincenti, la cosiddetta finanza creativa (e criminale) della Parmalat, la nota azienda agro-alimentare che, grazie alla connivenza di Consob, agenzie di rating e politici, ha potuto agire indisturbata per anni fino al clamoroso crac.

Nel film “Il gioiellino”, in questi giorni nelle sale con 170 copie targate BIM, il regista Andrea Molaioli, con gli sceneggiatori Ludovica Rampoldi e Gabriele Romagnoli, ne ricostruisce le tappe più significative. Si va dalla fine dei rampanti anni Ottanta al 2003, quando, con l’arresto del patron Calisto Tanzi, l’azienda cola a picco e con lei anche gli oltre centocinquantamila risparmiatori che avevano investito i titoli in Borsa. Ma i nomi sono cambiati: “l’intenzione era di raccontare una storia paradigmatica di quelle condotte imprenditoriali, spregiudicate e sprezzanti di ogni regola”, spiega il regista già autore del pluripremiato “La ragazza del Lago”. E poi “è meglio essere prudenti con i processi ancora in corso”, aggiunge la produttrice Francesca Cima.

Così la Parmalat diventa Leda (acronimo di Latte e derivati alimentari), Tanzi si chiama Amanzio Rastelli e ha il volto dell’indimenticabile cattivo de “La Piovra”, il direttore finanziario e suo braccio destro Fausto Tonna è Ernesto Botta, un ruvido Servillo disposto a vendere l’anima pur di salvare quell’azienda che è tutta la sua vita. Intorno ruotano una serie di personaggi più o meno inventati: l’ambiziosa nipote del capo (una brava Sarah Felberbaum) che nella realtà è la figlia, due giovani manager (Lino Guanciale e Fausto Maria Sciarappa), una moglie (Adriana De Guilmi) ignara di tutto. L’azione si svolge in un’imprecisata provincia italiana (le scene sono girate nella piemontese Acqui Terme e non a Parma), ma per il resto il film segue un percorso quasi didascalico: c’è il riferimento, sin dal titolo, alla famosa frase attribuita a Tanzi (“A parte quei 14 miliardi di buco, l’azienda è un gioiellino”), c’è il salto azzardato verso i mercati internazionali e la quotazione in Borsa con le azioni sovrastimate, ci sono le mazzette a polizia tributaria e politici (il senatore Crusco della finzione ricorda tanto Ciriaco De Mita!). E poi ecco gli intrecci con le società off-shore e le banche oltreoceano, fino alla radicale contraffazione della situazione economica aziendale. “Tanto il falso in bilancio non è più reato”, commenta a un certo punto la segretaria Carla (Lisa Galantini).

Eppure “Il gioiellino”, dichiarano gli stessi autori, non vuole essere un film di denuncia e di inchiesta, ma un racconto che si concentra sui personaggi e sulla loro umanità. Insomma, il crac Parmalat (e non solo) visto dalle stanze dei protagonisti, attraverso i ritratti psicologici, chiudendo la porta a tutto il resto. Certo lo spunto è interessante: ma come si fa a raccontare fino in fondo la spregiudicatezza che sta dietro a un disastro di tal portata, partendo dall’umanità degli artefici principali? Da abile giallista qual è Molaioli ci riesce, anche se solo in parte. Nel senso che il film prende – la trama è ben ordita e la coppia Servillo-Girone è straordinaria – ma nessuno dei personaggi risulta davvero “cattivo”. Non il patron Rastelli che nel tentativo estremo di salvare il suo “gioiellino” fa quasi pena; non lo stratega Botta, fedele all’azienda anche quando tutti si affrettano a distruggere le prove; e tantomeno Magnaghi, l’unico puro del gruppo, che sopraffatto dalla vergogna sceglie il suicidio.

Si tratta, come dicono gli sceneggiatori, di “una banda di manager di provincia proiettati sulla scena della finanza mondiale, armati solo di un diploma di ragioneria e di una buona dose di spericolatezza” e non di alta finanza, quella spietata che Oliver Stone racconta in “Wall Street” per intenderci. E allora, non c’è da stupirsi se nell’episodio in cui Rastelli va a battere cassa da un Presidente del Consiglio che possiede una squadra di calcio e racconta barzellette, proviamo solo compassione per questo piccolo uomo alle prese con un mondo più grande di lui. O se la frase che Botta rivolge ai giornalisti subito dopo l’arresto, “possiate morire di una morte lenta e dolorosa, voi e i vostri cari” (Tonna la pronunciò davvero), ci suscita ilarità anziché irritazione. Alla fine sembra quasi che Rastelli-Tanzi e Botta-Tonna abbiano scelto la strada dell’imbroglio non per mancanza di scrupoli, ma per eccessivo attaccamento all’azienda e per un’ignoranza provinciale che sfiora l’ingenuità.

Sarà andata davvero così? Chissà. In ogni caso il film è da vedere: perché il racconto è accattivante e scorre veloce anche grazie alle belle musiche di Teho Teardo, ma soprattutto per godere di due attori che sono riusciti a calarsi appieno nei rispettivi personaggi senza perdersi nella riproduzione dei ritratti che ci ha restituito la cronaca.

REMO GIRONE - intervista (Il gioiellino) - WWW.RBCASTING.COM

ANDREA MOLAIOLI e SARAH FELBERBAUM - intervista (Il gioiellino) - WWW.RBCASTING.COM

Alcuni commenti della critica:

“La scommessa di Molaioli si regge più che sull’esemplarità della sceneggiatura sull’efficacia degli attori, sulla loro capacità di entrare nei personaggi senza per questo scivolare nel bisogno di imitazione, nel noschesismo. E bisogna dire che Remo Girone e Toni Servillo supportano pienamente la scommessa del regista”.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera

“Un film significativo e da vedere, ma con qualche riserva”.
Paolo D’Agostini, la Repubblica

“Un racconto realistico, ma il ritratto di provincia italiana ipocrita rischia di prevalere sulla denuncia”.
Stefano Lepri, La Stampa

“Gli intrighi bancari sembrano cristallini come quelli di un giallo Mondadori. Ma come diavolo ha fatto Molaioli? Semplice, raccontando in modo semplice, piano, avvincente. E impostando in maniera più convincente i due cattivi principali: un Tanzi dannatamente umano e un Tonna, che impersonato da un impagabile Toni Servillo è uno dei ‘vilain’ più intriganti degli ultimi anni”.
Giorgio Carbone, Libero

“Il film di Molaioli è onesto, abbastanza ben recitato, però non morde, procede con ritmo pensoso, quasi soporifero, umanizza tragicamente i lestofanti (…). Alla fine il rivendicato affresco del dissesto etico-morale non divampa sullo schermo”.
Michele Anselmi, il Riformista

2 Commenti

  1. non sono d’accordo sulla seguente considerazione della recensione;”…Alla fine sembra quasi che Rastelli-Tanzi e Botta-Tonna abbiano scelto la strada dell’imbroglio non per mancanza di scrupoli, ma per eccessivo attaccamento all’azienda e per un’ignoranza provinciale che sfiora l’ingenuità.”
    Io sono uscita dal cinema nauseata per lo schifo che ci circonda!!!!

  2. In realtà Paola Visconti (interpretata dalla Felderbaum) è la nipote di Tanzi e non la figlia. Quindi l’affermazione

    “l’ambiziosa nipote del capo (una brava Sarah Felberbaum) che nella realtà è la figlia”

    non è corretta

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