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“J. Edgar”, la verità sopra ogni cosa

La vita privata e pubblica del numero uno dell’FBI raccontata dal premio Oscar Clint Eastwood. Uno sguardo intimo sulla difficoltà di relazionarsi con gli altri, la smania di potere, il senso civico e la corruzione di J. Edgar. Nelle sale italiane dal 4 gennaio, distribuito dalla Warner Bros.

Uno sguardo storico e personale sulla vita dell’uomo grazie al quale l’FBI, il Federal Bureau of Investigation Statunitense, è divenuto l’organismo investigativo più famoso del mondo e più potente degli USA con una giurisdizione di oltre duecento differenti classi di reati federali.

Clint Eastwood porta sul grande schermo la storia di J. Edgar Hoover, direttore dell’FBI dal 1924 al 1972, ripercorrendo quei decenni con uno sguardo cronistico, ma al contempo personale. Gli avvenimenti della storia statunitense sono infatti riportati con gran cura dal regista, ma sono elementi funzionali al background della vita di J. Edgar.

Gli otto presidenti (da Coolidge a Nixon) sotto cui Hoover ha prestato servizio non vengono quasi mai mostrati di persona, ma vengono citati perché è Hoover stesso che racconta il suo rapporto professionale con loro. Questo sguardo intimo e personale sulla vita di Edgar ha dato la possibilità al regista di analizzare in maniera intima anche la sua vita privata. Passa infatti dal morboso rapporto con la madre Anne Marie (Judi Dench), alla sua storia d’amore con Clyde Tolson, il suo braccio destro nell’FBI e compagno, più o meno platonico, nella vita sentimentale.

Questa duplice visione ha permesso a Eastwood di raccontare sia il lato fedele alla legge e al lavoro, l’innovazione e la perseveranza dell’incorruttibile Edgar, che sosteneva di voler insegnare a dire la verità (“Above all, I would teach him to tell the truth”) per essere un cittadino migliore, quanto il suo lato umano e fragile, fatto di diniego e disprezzo verso la sua omosessualità e pervaso da un egoismo di fondo corrotto dal desiderio di potere e di rivalsa nei confronti delle istituzioni.

Sono passati ormai quindici anni da quando Leonardo DiCaprio si trovava sull’inaffondabile Titanic, e oggi come non mai l’interpretazione di questo controverso personaggio potrebbe fruttare al bel Leo il riconoscimento al suo talento artistico. Oltre alla nomination ai Golden Globe come miglior attore in un film drammatico, si parla già di sicura candidatura agli Oscar. Ottima anche l’interpretazione di Armie Hammer, il “doppio” gemello di “The Social Network”, che dialoga alla perfezione con DiCaprio ricostruendo il difficile rapporto fra Tolson e Hoover con destrezza, e con una strizzatina d’occhio alla romance fra altri due divi di Hollywood, Jake Gyllenhaal e Heath Ledger, in “Brokeback Mountain”.

Stilisticamente ineccepibile, lo stile di Clint Eastwood torna a farsi sentire più forte che mai. Per chi non è amante della storia americana il film potrebbe risultare lento e farraginoso, a causa dei flashback e flashforward temporali sulle diverse fasi della vita di Hoover. Ma l’opera resta inossidabile e solida, un’altra perla nella collezione di film più o meno perfetti del regista ottantunenne. Il problema fondamentale di questa pellicola è, purtroppo, il doppiaggio. Se è regola che noi italiani possiamo vantarci di avere i migliori doppiatori al mondo, l’eccezione che conferma la suddetta è data proprio dall’adattamento vocale di “J. Edgar”.

Alcuni commenti della critica:

“È un film cupo questo J. Edgar. Un film livido, plumbeo, addirittura claustrofobico in certi momenti. È il film di un fallimento e di una sconfitta: non tanto quella del protagonista, già giudicato dalla Storia, ma piuttosto quella dell’America, del Paese e del mito in cui più o meno si era sempre identificato Clint Eastwood… DiCaprio, convincente quando fa le sue prime sparate anticomuniste non ancora trentenne e straordinario quando una squadra di esperti (capeggiata da Jack Taggart e Tania McComas) lo invecchiano di cinquant’anni”.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera

“J. Edgar, il noioso biopic di Clint Eastwood sul leggendario capo dell’FBI”.
Simona Santoni, Panorama.it

“Così alla fine, a fronte di tante cadute di stile o di momenti che non rendono onore alla raffinatezza che sappiamo essere parte del repertorio di Clint Eastwood, per chi le vuole cogliere J. Edgar regala anche un’infinità di piccole delicatezze fuori dal comune, descrizioni minuziose fatte di sguardi, movimenti di camera leggeri, due note di pianoforte (suonate da Clint stesso), colori desaturati, ombre onnipresenti e montaggi invisibili ma di inesorabile precisione”.
Gabriele Niola, MYmovies

“Un racconto che da collettivo diviene sempre più personale e intimo, che restituisce un cinquantennio di storia americana attraverso gli occhi di uno dei suoi protagonisti: occhi il cui sguardo si fa sempre più limpido, spostandosi dall’esterno verso l’interno, arrivando a scandagliare alla fine, suo malgrado ma con un un’onestà totale, il suo stesso animo”.
Marco Minniti, Movieplayer.it

“Un biopic travestito, questo è il racconto della vita del fondatore, direttore e padrone del FBI, un soggetto perfetto per portare sullo schermo la solitudine di chi si è dedicato al controllo di un ordine costituito, perdendo di vista ciò che davvero conta nella vita. Eastwood si interessa molto di più al lato umano e melodrammatico della narrazione, piuttosto che a quello squisitamente storico di cui si prende quasi amabilmente gioco”.
Alessandro De Simone, Film.it

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