Home Uncategorized “Re della Terra Selvaggia”, il coraggio da Oscar di una bambina

“Re della Terra Selvaggia”, il coraggio da Oscar di una bambina

Un piccolo progetto indipendente, con un budget di appena 1 milione e 800 mila dollari, è riuscito a dare vita a una specie di miracolo: un’opera di forte impatto visivo ed emozionale, definita da più parti il film rivelazione dell’anno. Non a caso, dal momento della presentazione al Sundance di Robert Redford, “Re della Terra Selvaggia” (“Beasts of the Southern Wild”, nelle sale dal 7 febbraio con Satine e Bolero) ha vinto una sessantina di premi e ora è candidato a quattro Oscar (miglior regia, miglior film, miglior sceneggiatura non originale e miglior attrice protagonista). Altro aspetto che colpisce è la giovane età della candidata all’Academy Award: Quvenzhané Wallis ha appena nove anni (ma quando ha girato ne aveva sei!) e come il comprimario Dwight Henry, nonché il regista Benh Zeitlin, è alla primissima prova cinematografica. La domanda nasce di getto: tutti premi meritati? Forse no, ma di sicuro lo è la nomination a miglior attrice protagonista per la piccola Quvenzhané. Certezza che viene da una convinzione: per l’intera durata del film guardiamo con i suoi occhi e sentiamo con il suo cuore (così come lei ascolta gli animali attraverso il loro battito), e l’impressione è che la magia dell’universo – l’equilibrio perfetto di tutte le cose – ci arrivi per mezzo del suo stupore di bambina.

La storia è quella di Hushpuppy (Wallis), mulatta di sei anni che vive con il padre Wink (Henry), in una comunità soprannominata Bathtub (La Grande Vasca), bacino paludoso della Louisiana più profonda. Una grossa diga, che serve a contenere l’acqua del mare quando arriverà l’inevitabile uragano, divide la zona dal mondo fatto di cemento e modernità. Wink sa di essere gravemente malato e per questo decide di insegnare alla figlia a cavarsela da sola. Sopraggiunge la catastrofe e tutto viene spazzato via: gli equilibri naturali si infrangono, i ghiacciai si sciolgono e arrivano gli Aurochs, misteriose creature preistoriche. Gli abitanti della palude vorrebbero rimanere nelle loro case galleggianti, ma gli uomini della società cosiddetta civile li obbligano a trasferirsi in sterili ricoveri. Abbandonata dal padre che ormai è in fin di vita, Hushpuppy cerca la madre (forse fuggita o forse morta) e finisce in un locale per prostitute e ubriaconi. Ma in questo postaccio, di norma considerato inadatto a una bambina, troverà nell’abbraccio di una donna (inadatta anche lei) il momento d’amore sognato per tutta la vita.

Tratto da un’opera teatrale di Lucy Alibar, “Re della Terra selvaggia” è un film che all’inizio disorienta ma poi, man mano che impariamo a entrare nel mondo della piccola protagonista, incanta. Ci stupiamo con lei, ci arrabbiamo con lei, soffriamo con lei e, infine, diventiamo forti quando lei diventa forte. Al di là della polemica ambientale, quello che noi spettatori costruiamo con Hushpuppy è una sorta di legame primordiale e misterioso, qualcosa che non ha tempo né luogo. Nel finale gioiamo della sua nuova tempra di guerriero-guida e lo sguardo con cui fiera domina gli spaventosi Aurochs vorremmo fosse il nostro. Il suo comportamento somiglia alla gente “tenace” e “fiera” della Louisiana del Sud (che nonostante gli uragani e le maree non si dà mai per vinta), perché è da loro che il regista ha preso ispirazione. “Hushpuppy è la persona che vorrei essere”, dice Zeitlin, ma è anche la persona che tutti noi vorremmo essere. Ecco perché non la dimenticheremo.

 

ALCUNI COMMENTI DELLA CRITICA:

Paolo Mereghetti, Corriere della Sera
Il film dell’esordiente Benh Zeitlin ci conquista con quella insolita poesia, fatta di asperità e di dolori ma anche di magia e di sogni. Proprio come sono le forze che guidano la giovane Hushpuppy verso il suo domani.

Federico Pontiggia, Rolling Stone
Beasts of the Southern Wild ha la freschezza del miglior Indie americano – da quanto non vedevamo qualcosa di questo valore? – e una sostanza poetico-filosofica senza confini.

Fabio Ferzetti, Il Messaggero
Se non fosse uno dei film più sorprendenti dell’anno, Re della terra selvaggia potrebbe essere un ciclo di leggende illustrate da un geniale pittore naif, o il libro di preghiere di un remoto culto locale ancora imbevuto di magia. Una magia mille volte più terribile e “vera” di tanti surrogati fantasy oggi di moda.

Curzio Maltese, la Repubblica
Il talento con cui Zeitlin combina le suggestioni del passato dà vita a qualcosa di mai visto al cinema, trascinante e definitivo. Forse l’unico paragone è davvero con il cinema di Malick, ma in versione povera e a ritmo folk.

Marco Triolo, Film.it
Spunti interessanti, anche se distribuiti in un film che fatica ad emozionare veramente. Zeitlin sembra più ansioso di dimostrare la sua intelligenza ed è troppo compiaciuto del suo essere “diverso” rispetto al “normale” cinema americano indipendente. Il risultato è un’opera che vorrebbe essere magica ed evocativa, ma che finisce per essere un esercizio di stile un po’ snob che alla fine tenta anche di giocarsi la carta del melodramma ma non si sporca le mani, non si mette mai davvero in gioco fino in fondo.

Marianna Cappi, MYmovies.it
Zeitlin ha trovato in Quvenzhane Wallis un’interprete straordinaria, viatico ideale per percorrere una storia che sovrappone realtà e immaginazione. All’interno di un quadro quasi documentaristico, che il regista ha conosciuto così bene da poter restituire con una naturalezza e una verità rare, Hushpuppy è infatti una bambina che ha paura e, come tutti i bambini che provano un’emozione forte, ha bisogno di illustrarla con delle immagini. In quei momenti, il regista passa dunque a lei il testimone del film ed ecco apparire le “creature selvagge”, del tutto simili ai bisonti delle prime pitture rupestri e infatti protagoniste del racconto di sé che la bambina sta lasciando ai posteri.

Federico Gironi, ComingSoon.it
Ecco che allora quella di Re della terra selvaggia diventa anche una fiaba sulla crescita e sull’infanzia nella quale, al pari di quanto avveniva in Nel paese delle creature selvagge, è il confronto con la propria natura intima, con le pulsioni più primordiali, a spingere verso il recupero di un sentimento (tutto femmineo) che della Cultura è declinazione nuova e coerente. Una fiaba che parla del confronto drammatico e impossibile con la Morte: la Morte che è impossibile accettare, né per gli adulti ruvidi e stoici né per i bambini vulnerabili e spaventati. E che pure accettare si deve, per poter vivere.

Mauro Corso, FilmUp.com
In un certo senso Re della terra selvaggia risponde ai canoni del romanzo di formazione, per cui una giovane protagonista vive una serie di esperienze che la rendono forte, adulta, pronta ad affrontare il mondo. Però in questo caso c’è un tocco particolare nella messa in scena, che non nasconde una realtà brutale pur alternandola a quella poesia che può essere colta solo dall’occhio di una bimba giovanissima. Il risultato è un’opera sontuosa, di grande respiro, del tutto insolita nel panorama cinematografico odierno.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here