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Per affrontare i Cinquanta “Ci vuole un gran fisico”

In una commedia italiana dominata dai maschi, dove le donne fanno da contorno o poco più, fa piacere vedere qualche attrice che va controcorrente. E’ successo con “Amiche da morire”, la black comedy con Claudia GeriniCristiana Capotondi e Sabrina Impacciatore ora nelle sale, e succede sempre con Angela Finocchiaro, interprete poliedrica e campionessa di autoironia, in questi giorni protagonista al cinema di “Ci vuole un gran fisico” (Medusa l’ha distribuito in 300 copie). Sceneggiato dalla stessa Finocchiaro (insieme a Pasquale Plastino, Valerio Bariletti e Walter Fontana), e diretto dall’esordiente Sophie Chiarello, il film che è tagliato su di lei affronta con leggerezza ciò che per mondo femminile, società e grande schermo è ancora un tabù. Si tratta della soglia dei Cinquanta, con tutte le angosce/manie (ma anche le liberazioni!) che ne derivano.

La quasi cinquantenne Eva (Angela Finocchiaro) non ha vita facile tra rughe e rilassamenti, rate del mutuo da pagare, l’ex marito (Elio, delle Storie Tese) che vuole risposarsi con una giovane cinese, la figlia ribelle (Antonella Lo Coco, da X Factor) e la madre in calore (Rosalina Neri). Come se non bastasse, nel reparto profumeria del grande magazzino dove lavora tira una brutta aria: il capo (Raul Cremona) deve licenziare una commessa e tra lei e la procace collega (Laura Marinoni), Eva teme sarà proprio lei la prescelta. L’unico sfogo è l’assalto a colpi di trapano alle tavole Brico di Oscar (Jurij Ferrini), che la corteggia epperò Eva non se ne accorge, da troppo tempo ha rinunciato alla femminilità. Tutto sembra volgere in negativo fino a quando il destino non le invia l’Angelo della Menopausa (Giovanni Storti): un po’ cialtrone ma molto incisivo, lo strano individuo l’aiuterà a rendersi conto che arrivare alla mezza età non vuol dire smettere di essere “donna”.

Irriverente e maliziosamente ironico, “Ci vuole un gran fisico” ha il pregio di trattare un argomento che tutte le donne (e gli uomini) prima o poi si trovano ad affrontare, ma di cui nessuno parla apertamente. Meravigliosa mattatrice, Finocchiaro che non nasconde di avere parecchio in comune con il suo personaggio, è perfetta per il ruolo e determina la quasi riuscita del film che altrimenti non avrebbe sapore. Per contro, il punto di vista esclusivamente femminile e generazionale rende la commedia un prodotto di genere, che sembra essere confezionato per le donne cinquantenni e oltre, e per questo destinato al solo pubblico dell’8 marzo. Forse uno sguardo anche maschile avrebbe allargato gli orizzonti e arricchito il risultato finale.

ALCUNI COMMENTI DELLA CRITICA:

Giulia Iselle, Cinematografo.it
Nell’era del botox e della vecchiaia come tabù, cita il “corpo delle donne”, senza scadere nel moralismo, nella banalità e nella rivendicazione. Parte con brio, ma si perde e la seconda parte annoia, fortuna che la Finocchiaro, mattatrice assoluta, salva la situazione. Insomma, quelli di Grock colpiscono ancora. I cabarettisti non invecchiano, ma accusano un po’ di stanchezza. Ci sono quasi tutti: Aldo Baglio, con consorte e Giacomo Poretti ricompongono il trio e, insieme a Paolo Hendel fanno comparsate. Nonostante tutto, però, la comicità Old School lascia aperto uno spiraglio e fa ancora venir voglia di andare al cinema a vedere la commedia italiana.

Boris Sollazzo, MYmovies.it
Non basta il carisma di Angela Finocchiaro – comunque meno in parte del solito – a tener su un’opera che non sa neanche, di preciso, dove andare a parare. Vuol essere commedia anche grossolana, come farebbero pensare alcune gag molto fisiche, o arguto melodramma? Così la noia subentra abbastanza presto, salvata da una manciata di minuti e grazie al cameo di Aldo Baglio (presente nel film come i suoi sodali) ma non da Giovanni Storti, il cui angelo con il telecomando e poliglotta non sa conquistarti mai. Più si va avanti, insomma, in quest’ora e mezza, più si rimpiangono le occasioni perse da sceneggiatori e regista, sempre alla ricerca della risata facile e di un femminismo rassicurante e stereotipato.
La cineasta, che arriva a questo primo film dopo una lunga gavetta, non ha il coraggio di andare oltre un taglio televisivo – la fotografia e la canzone finale sembrano presi da una brutta copia di Tutti pazzi per amore – e qualche ammiccamento al cinema americano, dai rapporti di lavoro all’idea del botox che fa diventare Angela Finocchiaro un sosia di Joker. Troppo poco.

Luciana Morelli, Movieplayer.it
Angela Finocchiaro fa il possibile, ma la sua bravura nel gestire al meglio tutte le sfaccettature del suo personaggio non basta a reggere una commedia che ha sì qualche trovata intelligente, ma che nel complesso risulta sgraziata, sprovvista di fluidità e di concretezza narrativa.

Carola Proto, Comingsoon.it
Ci vuole un gran fisico è la coraggiosa risposta di casa nostra a quei film sulle seconde possibilità (…) E’ bene ricordare, infatti, che il personaggio della Finocchiaro si muove in un’Italia in cui il prepensionamento forzato e un certo sessismo sul posto di lavoro non sono realtà poi così sconosciute. La Chiarello però non vuole fare un film di denuncia e svicola da prediche e pesantezza introducendo un elemento surreale che dà sì leggerezza al racconto, ma che lascia anche un fondo di amarezza.
E’ molto brava Angela Finocchiaro a muoversi su questo doppio registro ed è logico che il ruolo sia perfetto per lei, dato che il film nasce da una sua idea. Amiamo la sua Eva quando è più malinconica e disperata, ed è bello che per lei arrivi un suggerimento: l’invito a guardarsi intorno, a lasciare andare, a sviluppare una propria originalità e a non professare il culto del corpo. Non sono consigli nuovi, ma nuova, o comunque insolita, è la scelta di un film girl power che ha una protagonista femminile di mezza età.

Marta Gasparroni, FilmUp.com
Ci vuole un gran fisico delude non tanto per uno script che registra battute lontane dal rispetto di quegli imprescindibili tempi comici, ma soprattutto per la scelta di sottoporre un comico funzionale alla brevità degli sketch televisivi ad una struttura che lo dilaziona in pause ed espedienti ingiustificati, se non nell’uso eccessivo di meccanismi ripetuti con l’unico risultato di sottrarre credibilità ed aumentare il disinteresse. Nell’arco di uno sviluppo rallentato si accumulano piccoli e continui quadretti che confermano una comicità più aderente a forme cabarettistiche che ad una visione mainstream, portando a compimento, d’altro canto, un’operazione di mercato per la presentazione ufficiale di Antonella Lo Coco, neo cantautrice fresca di X- Factor, che debutta sul grande schermo in occasione dell’uscita del suo primo album.
Nonostante le doti degli interpreti, più o meno avvezzi al genere cinematografico, la loro abilità non va oltre la presentazione manieristica dei propri personaggi, troppo superficiali per risultare perfino delle maschere, in un ritratto del comico che sfiora il kitsch.

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