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Laura Chiatti tra carriera e chirurgia ne “Il volto di un’altra” di Pappi Corsicato

Dopo essere stato presentato in concorso all’ultimo Festival Internazionale del Film di Roma, arriva nelle sale “Il volto di un’altra”, ultimo lavoro di Pappi Corsicato con Laura Chiatti e Alessandro Preziosi.

Bella è l’affermata ed esuberante conduttrice di un famoso programma televisivo sulla chirurgia estetica. René è suo marito, un medico  chirurgo che nello stesso programma effettua gli interventi sugli ospiti. Licenziata dallo show a causa degli ascolti in calo, Bella lascia lo studio infuriata e, sulla via del ritorno a casa, ha un brutto incidente d’auto che la lascia sfigurata. Ma quello che potrebbe sembrare il colpo di grazia alla sua carriera, si rivela invece per lei un’occasione per rilanciare la sua immagine: Bella decide infatti di farsi ricostruire dal marito un volto totalmente nuovo, con il quale vendicarsi di chi la dava per finita e riconquistare l’attenzione e l’amore dei suoi spettatori.

Spesso paragonato all’Almodovar (con cui ha lavorato all’inizio della sua carriera) italiano, Corsicato resta fedele ad un’eccentrica messa in  scena e al suo tono surreale e grottesco, confezionando un film-iperbole in cui riflette, in maniera tragicomica, sull’importanza dell’immagine, l’esibizione del dolore nei salotti televisivi e l’ossessione per la perfezione estetica.

A loro agio nell’interpretazione tutti gli attori: da Laura Chiatti (stavolta più bella che mai) fino a Lino Guanciale e Iaia Forte, attrice feticcio di Corsicato.

“Il volto di un’altra” è nelle sale dall’11 aprile, distribuito da Officine Ubu.

CURIOSITA’: dopo aver girato questo film Laura Chiatti ha rivelato di essersi sottoposta ad un intervento di chirurgia al seno.

ALCUNI COMMENTI DELLA CRITICA:

Roberto Nepoti, La Repubblica
Corsicato non ci fa mancare nulla. Però il film arriva fuori tempo massimo: sul piano tematico (il cinismo odierno, l’imbesuimento dei media…) è buon ultimo fra tanti; su quello formale è un patchwork di stili diversi. A cominciare da quello di Almodovar: un altro che, come Pappi (vedi Gli amanti passeggeri), continua a immaginarsi come un monello.

Maurizio Porro, Corriere della Sera
Ci sono molti motivi di interesse, di attualità e di sadomasochismo culturale e sociale nel Volto di un’altra, nuovo film di Pappi Corsicato, il nostro Almodóvar per cui si spendono ogni volta gli aggettivi obbligatori di camp, trash, kitsch, queer, pop (…) Le star, Laura Chiatti e Alessandro Preziosi, sono belle, perfide e algide, riflettono una vita al silicone con gli amorali onori dei miti usa e getta, mentre i bravissimi comprimari Iaia Forte e Lino Guanciale sono in stato d’ironica grazia.

Alessandra Levantesi Kezich, La Stampa
Pappi Corsicato possiede una vena surreale che lo apparenta a certi registi spagnoli; o a un italiano d’eccezione come Marco Ferreri, ma con un temperamento meno grottesco, un’ironia più lieve. (…) Truccato e abbigliato in modo spiritoso Alessandro Preziosi è un fatuo e protervo René; Laura Chiatti un’incantevole eroina dal doppio volto angelico e dark che alla fine (forse) ritroverà un volto umano.

Francesco Alò, Il Messaggero
Un passo avanti rispetto a Il seme della discordia sulla linea della freddezza estetica rispetto ai film turgidi e solari dell’indimenticabile Corsicato anni ’90 (Libera, I buchi neri). Algido e crudele. L’Italia di plastica di oggi, si sbeffeggia così.

Massimo Bertarelli, Il Giornale
Bislacca commedia grottesca, che sbeffeggia la tv schiava dell’Auditel, e l’oscena moda delle trasmissioni sulla chirurgia estetica. (…) Un film quasi passabile, ma il troppo stroppia e i personaggi diventano caricature. Dal beffardo Alessandro Preziosi, con laido capello arancione, a Laura Chiatti, che bamboleggia senza freni

Valerio Sammarco, Cinematografo.it
L’importanza effimera dell’immagine, la spettacolarizzazione del dolore, la chirurgia plastica con cui ormai si è irrimediabilmente deturpato il concetto di audience: Pappi Corsicato non fa mistero di voler costruire un’iperbole continua per riflettere/giocare sull’inesistenza della verità (e la sua “riformulazione”) in un mondo che, continuamente esposto alla luce dei riflettori, è rimasto definitivamente accecato. Non ci mostra nulla di nuovo, Il volto di un’altra, anzi conferma l’ormai completa adesione del regista napoletano ai canoni estetico-narrativi del cinema di Almodovar (si pensi alla Pelle che abito), cineasta con il quale mosse i primi passi come assistente alla regia. E’ altrettanto vero, però, che mescolando vari generi e registri – e portando all’estremo il citazionismo (da Billy Wilder a Occhi senza volto, fino al sogno del Grande Lebowski – il film tenta di riaggiornare, attraverso la chiave del grottesco, questioni già sollevate nel corso degli ultimi 30 anni. Con un finale – quello della clinica invasa dal liquame – che magari avrebbe fatto sorridere gente come Buñuel e Ferreri.

Marzia Gandolfi, MYmovies.it
L’autore napoletano ci parla ancora di buchi neri dell’anima, formulando un’idea di cinema fatto anche per citazioni evidenti, profonde, svelate e svelanti il meccanismo cinematografico e finzionale, attraverso il medico delle assicurazioni convocato (proprio) per verificare la ‘realtà’ dei fatti. Il volto di un’altra prova a scorticare l’involucro narcisistico, dicendo l’inganno e rendendolo trasparente col bianco e nero della sala operatoria, con la prepotenza plastica e cromatica di Douglas Sirk, con un’illuminazione innaturale da melodramma, con un (h)orrore ‘travestito’, incapace di fare paura ma capace di produrre spettacolarità. La messa in mostra dei mostri e del mostruoso della tv, del suo linguaggio, della sua drammaturgia, della sua voglia di sensazionalismo, della sua chimica delle emozioni, della sua miseria morale, conduce tuttavia la commedia a un grottesco sedato, che non eccede mai e neppure eguaglia i propri referenti reali. Il film ha l’indubbio merito di obbligarci a riflettere sulla “mancanza a essere” ma è comunque sconfitto e vinto dalla cronaca. Il volto di un’altra fallisce poi dove Reality trionfava, non chiamandoci mai fuori dagli orrori rappresentati. La pioggia organica e ripugnante dell’epilogo risparmia invece lo spettatore, che infilerà la comoda via di uscita dell’immedesimazione o dell’indignazione. Il mondo che Corsicato voleva rivelare resta lontano, insuperato e insuperabile. La finzione rimane a guardare, impotente di fronte al compito di rappresentarlo e di ricostruirne il volto raccapricciante.

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