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Dal 27 agosto al cinema “Cosa resta della rivoluzione”, debutto alla regia dell’attrice francese Judith Davis

Il film apre la nuova stagione cinematografica di Wanted Cinema

Credit courtesy Wanted Cinema

“Cosa resta della rivoluzione”, debutto alla regia dell’attrice francese Judith Davis  (interprete in “Viva la libertà” di Roberto Andò) e realizzato dai produttori di “Il giovane Karl Marx”, la Agat Films & Cie di Robert Guediguian, arriva nelle sale italiane giovedì 27 agosto segnando l’avvio della nuova stagione cinematografica di Wanted Cinema.

Il film è una commedia in cui Davis indossa anche i panni della protagonista e con ironia e leggerezza indaga e riflette sull’eredità del mito del Sessantotto nell’epoca della crisi, invocando la necessità di un cambiamento per la società contemporanea.

“Cosa resta della rivoluzione” (titolo originale “Tout ce qu’il me reste de la révolution”) racconta la storia di Angèle, una giovane urbanista parigina che da sempre combatte con quella che è la maledizione della propria generazione: essere “nata troppo tardi”. Lei infatti rifiuta l’attuale tramonto dell’impegno politico e delle utopie e disprezza la generazione che ha “divorato” i trentenni, che come lei sono sottopagati e sfruttati. Tornata a vivere dal padre, rimasto fedele agli ideali maoisti, Angèle va in cerca di un equilibrio e si sforza di cambiare il mondo istituendo un piccolo collettivo civico. La conoscenza del bizzarro Saïd e la scoperta di una verità familiare, porteranno però scompiglio nelle sue certezze.

“Il film è nato da uno spettacolo teatrale che ho creato ma non è un adattamento – ha raccontato Judith Davis – ‘Cosa resta della rivoluzione’ è un racconto più intimo che risponde al mio desiderio di confrontarmi per l’ennesima volta con l’ingombrante eredità lasciata dal maggio del ’68. Ingombrante perché ogni volta che nasce un movimento di contestazione sembra lo si debba sempre e per forza confrontare con il maggio francese, come se non fossimo autorizzati a reinventare modelli di impegno politico perché sempre al di sotto di quelli nati in quel periodo. La protagonista ha però un lato anacronistico che la porta a sviluppare una rabbia secondo un modello di impegno tipico di quell’epoca. Per lei, tutto ciò che ha a che fare con la propria intimità ha meno importanza rispetto agli ideali, cosa che capisco molto bene in quanto anch’io ho ereditato l’idea secondo cui la famiglia è un valore borghese. Il percorso di Angèle consiste quindi nell’imparare ad accettare la convivenza tra l’impegno politico e la vita privata”.

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