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Looking for Guadalupe

La segueste storia è l’ultima che viene dall’america “patinata” e vuole essere un semplice racconto di un viaggio che parte da Carmel per arrivare fino ad un paese chiamato Guadalupe.

Abbandonato il salotto esclusivo di Carmel, ci siamo trovati di fronte al classico bivio tra lo scegliere la strada veloce ma noiosa (la famosa 101), piuttosto che quella lenta, tortuosa, ma selvaggiamente bella della costa. Ovviamente per non rischiare di rinnegare lo stereotipo del romano, scegliamo la prima. Eravamo convinti della nostra furbata, ma alla prima GAS station cercando compiacimento dal benzinaio per la scelta fatta, restiamo atterriti per la sua estemporanea ed immediata risposta che suonava più come una massima del posto:

Se dovete prendere un aereo a Los Angeles stamattina, prendete la 101. Altrimenti la costa, perchè è la costa più bella del mondo.

Fottuti. Non avevamo nessun aereo da prendere a Los Angeles, nè tanto meno la mattina stessa. Abbiamo provato a fargli capire la nostra stanchezza cercando anche di rabbonirlo comprandogli delle patatine a 5 euro, ma non c’è stato niente da fare. Continuava a ripetere che quella costa, che stavamo cercando di evitare, era uno dei posti più belli del mondo, non solo della California. Quando ha provato a spiegarcelo anche in italiano ci siamo arresi, e gli abbiamo chiesto quale percorso avremmo dovuto fare:

Tornate indietro, vi fate la costa e fermatevi a Hearst Castle. Il giorno dopo proseguite per Santa Barbara.

Ma noi, sempre per non tradire lo stereotipo dei romani sfaticati, abbiamo optato per la nostra personalissima exit strategy: raggiungere Hearst Castle, passando comunque attraverso la veloce 101. Così abbiamo fatto, confondendo però il mezzo con il fine: infatti Hearst Castle è esclusivamente un posto per dormire. Decidiamo pertando di continuare la bellissima costa per raggiungere Santa Barbara

ma è qui che comincia il nostro viaggio surreale. Cominciamo a vedere degli strani cartelli che indicano un controllo della velocità delle macchine, all’inizio tramite radar, ed in seguito tramite aereoplano (dalla serie: “gli piace vincere facile”). Cartelli intervallati da altri avvisi, ancora più surreali: “No fireworks, fine 2000$”. Ci deve essere una ossesione da parte degli americani di accendere fuochi d’artificio ovunque, in ogni occasione. Ovviamente, questi avvisi venivano poi contraddetti da chioshi che i fuochi d’artifico li vendevano con cartelli pubblicitari a caratterei cubitali. Questa è la politica sadica che piace tanto da queste parti: “compralo ma non usarlo”.

Ma gli aspetti ancora più inquietanti si verificavano all’interno della nostra auto: avevamo due mappe della zona del tutto complementari: i luoghi riportati sull’una non erano presenti nell’altra e viceversa. Guadalupe era la nostra meta, un paesino poco a nord da Santa Barbara facilmente raggiungibile in un’ora e mezza. Viaggiavamo ma di Guadalupe non vi era traccia, mentre un altro nome invadeva i cartelli stradali: “santa maria”. Stremati, optiamo per quest’ultima. La raggiungiamo e un bel cartello ci avvisa di essere arrivati a Guadalupe.

Era troppo.

Scendiamo dalla macchina per chiedere consiglio, al secondo benzinaio della nostra stancante giornata. Il suo suggerimento è quello di addentrarci all’interno di Guadalupe per ammirare il suo centro storico e dormire in un motel della zona. Lo facciamo ma un ragazzo del posto ci dice che non esiste alcun centro storico, nè tanto meno alcun motel. Disperati ripartiamo, ma ci perdiamo in questo luogo fantasma, caratterizzato soprattutto da un enorme cimitero. La sera si  trasforma velocemente in notte, la stanchezza in ilarità nervosa e generalizzata, la fame in un crampo violento, il sonno in visioni oniriche. Ma noi siamo uomini web2.0, accendiamo l’iphone e speriamo in google maps, per rimediare un fottuto motel, in una qualsiasi zona che fosse nel raggio di mezzo miglio.

Il primo consigliato sembrava la location di uno dei tanti film sul vietnam, dove bordelli di infima categoria pullulavano di prostitute al soldo degli yankee americani. Il secondo richiamava la balera romagnola di Raul Casadei ma troppo caro per noi. Confidavamo molto nel terzo, ma non siamo riusciti a raggiungerlo perchè abbiamo finito tutto il credito per la navigazione internet dal cellulare. Alla fine ci siamo arresi, abbiamo parcheggiato, alzato la testa e un unico grande cartello ci avvisava di essere arrivati al famigerato “Motel Villa”, che poi avremmo rinominato in Psyco, per le scene poco rassicuranti che si intravedevano dalle stanze vicino alla nostra: la 117. Strane urla ritmiche, divani gettati nell’atrio, le loro porte spalancate, nonostante la fioca luce che ne usciva fuori.

Non abbiamo dormito tranquilli.

E’ qui che abbiamo scoperto di avere appena concluso il nostro viaggio nell’america patinata. Il giorno seguente ci aspettava il deserto polveroso.

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